Ragazze di un altro secolo

se n’è andata l’otto settembre 1969, a 101 anni.
Alexandra David-Néel, l’occidentale che per prima entro nel mistero assoluto di Lhasa
era nata a Brussels nel 1868
adolescente, viaggiava in bicicletta
Francia, Spagna, Inghilterra.
Dirigerà il teatro di Tunisi, è l’inizio del Novecento.
Mentre in Europa si impazzisce per la prima guerra mondiale, lei attraversa India, Giappone e Cina.
Nel 1924 arriva a Lhasa, città sacra chiusa agli stranieri: ci arriva a piedi, in pellegrinaggio come fanno i Tibetani, dopo otto mesi di cammino.

Due anni dopo, nel 1926 nasceva la regina Elisabetta, e per inciso anche mia nonna, una donna del popolo che di umile aveva poco perché come mi raccontava sempre chi l’amava, era piuttosto matta, orgogliosa e persino arrogante. Tre donne cone milioni ce ne sono state: di polso, con dei sogni, troppo sprezzanti del pericolo e amanti dei sogni per piegare la testa e arrendersi alla realtà.

A scuola la regina Elisabetta non c’è nemmeno mai andata, homeschooler quando nemmeno esisteva il termine, peraltro inglese. La futura regina studia a casa, al 145 di Piccadilly a Londra e nella White Lodge di Richmond Park, infine a Buckingham Palace: la sua giornata di studio andava dalle 9 alle 13. Studia scrittura, lettura, pianoforte, danza, francese, tedesco, una parte fondamentale delle sue lezioni viene insegnata da una governante scozzese, Marion Crawford. Non lo sa quella bambina destinata a uno dei regni più lunghi della storia, ma se ne andrà anche lei in un giorno otto, 8 settembre 2022, otto simbolo di infinito

Ecco,
la tenacia di chi cammina

la forza di chi sa prendere decisioni che vanno al di là dell’interesse per sé

l’orgoglio che
chi ce l’ha
glielo leggi negli occhi

queste ragazze di un altro secolo
ci sono accanto

e vorrei poter dire che non importa se sono femmine o maschi,
perché nel mondo di domani non importerà
ma in questo di oggi ancora ne abbiamo bisogno
di sapere che sì,

il coraggio delle donne

l’orgoglio e la pazzia, la sfrontatezza,

l’acciaio che si mescola al sangue,

l’amore

chi osa
lo
fa
con Amore
al fianco

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Il ginepro: da una passeggiata di Vita Sackville West ‘Un giardino per tutte le stagioni’

… ho visto un ginepro rampicante, del tipo frondoso, crescere in Scozia su terreno ricco di torba, intento ad arrampicarsi selvaggiamente per una distesa boscosa sotto le betulle bianche.

Me ne sono portata a casa una bracciata di rametti, e li ho scaldati nel mio caminetto, agitandoli poi per la stanza come fossero vecchi steli di lavanda o rosmarino, fragranti quanto l’incenso, ma molto più rinfrescanti e meno pesanti nell’aria.

Dopo alcune ricerche ho scoperto trattarsi del ginepro comune, reso nano dal cervo e dai conigli che lo mangiano d’inverno.

Formava un bel tappeto fitto e scuro sotto il chiarore delle betulle bianche.

Piccoli ruscelletti gocciolavano formando un’irrigazione naturale. Le loro bollicine si sollevavano come perle scoppiettanti sui ciottoli semi sommersi.

Mi ha fatto desiderare di possedere non un giardino più o meno formale, ma uno completamente informale, con un bosco selvaggio ai margini

da “Un giardino per tutte le stagioni” di Vita Sackville West

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Che cosa ci portiamo dei nostri sogni?

Che cosa ci portiamo dei nostri sogni? I sogni dei bambini sono grandi, belli, non temono confronti: è tempo di ritrovarsi e crescere sognatori

Che cosa ci portiamo dei nostri sogni?

I nostri sogni, la nostra libertà.
Se c’è una cosa che spesso manca è questa: insegnare ai bambini a coltivare un sogno. Non lo facciamo nemmeno più noi.
Finalmente ci hanno fatto desistere.

Ormai sei grande per queste cose

Quante volte ti hanno detto questa frase? Ormai sei grande per queste cose.

Essere adulto significa stare con i piedi per terra, smettere di coltivare sogni troppo lontani e ambiziosi, guardarsi intorno e pensare alla sopravvivenza….

Essere adulto significa stare con i piedi per terra, smettere di coltivare sogni troppo lontani e ambiziosi, guardarsi intorno e pensare alla sopravvivenza?

 

Si può sopravvivere davvero senza sogni?

Sì, si può sopravvivere senza sogni. Lo fanno centinaia di persone, ogni giorno.
Puntano la sveglia la sera prima, si alzano, vanno al lavoro, fanno la spesa, fanno uno sport o vanno al cinema, cucinano e brindano, vanno al ristorante; fanno figli, mutui, costruiscono case e vite. Proprio come tutti gli altri.
Solo che si riconoscono perché hanno lo sguardo spento, seppellito da tonnellate di sabbia e dura terra: è lì che hanno sepolto i loro sogni, nella polvere del tempo e degli anni, chiusi in soffitta e nei cassetti.

 

I sognatori hanno lo sguardo brillante e il cuore che va lontano. I sognatori non li compri perché non si arrenderanno mai. I sognatori sono in mezzo alla gente di sempre, ma te ne accorgi: loro se lo ricordano. Siamo tutti viaggiatori del tempo, qui per esplorare questo pianeta azzurro, piccolo e grande insieme, ma non possiamo ripartire senza aver completato la nostra missione. Qual è la tua?

I giapponesi usano la parola ikigai per dire tutto ciò che ci tiene in vita, tutto ciò che ancora ci tiene in vita: tutto ciò che vale la pena, per cui vale la pena alzarsi e affrontare la giornata, combattere e tramandare agli altri. Non è solo una la passione, ma tante: sono tutte quelle che ci fanno brillare gli occhi e venir voglia di uscire allo scoperto. Sperimentare, esplorare.

Stai divagando, concentrati su una cosa sola

Ci hanno detto che la passione è una, tutto il resto sono hobby, o peggio ancora, perdite di tempo. Se ami la fotografia, esci, fotografa, impara tutto sulla fotografia, vendi le tue foto e diventa fotografo: altrimenti si vede che non era quella la tua passione. Diventa un esperto. Un esperto in qualsiasi cosa, purché ti fermi e impari a concentrare tutte le energie lì.

Multipotenzialità, dall’inglese multipotentiality, identifica le capacità e la propensione di persone che tendono a focalizzarsi su più interessi e attività: di solito sono soggetti che presentano una forte curiosità intellettuale, possono eccellere in più di un campo e possiedono grandi risorse creative

Nel 1972 lo psicologo R.H. Frederickson crea la definizione di “multipotenziale”. Sebbene la tendenza ancora oggi sia verso l’iper-specializzazione non demoralizziamoci. Caro viaggiatore intergalattico, il mondo e questa incredibile vita hanno una complessità e una ricchezza così esplosive da non poterle ridurre in pochi scatoloni. O meglio, potremmo, ma perché farlo?

Quando diventerai grande dovrai pensare al lavoro e alla tua sopravvivenza

Sì, la sopravvivenza qui sulla Terra è una grossa questione. Una di quelle questioni che non puoi eliminare così alla svelta, ti ci vorranno anni per esaminare il problema a fondo e poi pensare a delle soluzioni possibili. Anni in cui metterai la sopravvivenza sopra a ogni cosa perché dovrai pagare l’affitto, mangiare e fare tante altre cose che magari non sono indisensabili ma fanno comunque parte della vita. Salvo poi ricordarti, magari dopo anni, dove sono finiti i miei sogni? Che cosa ne ho fatto e che cosa sono diventato nel frattempo? Non preoccuparti, è successo a tanti, forse tutti. Si perché forse un po’ a tutti capita di dimenticare, anche solo per un attimo, qual’era la cosa che non dovevi dimenticare.

La ritrovi là dentro, nel respiro del cuore che batte: la cosa da non dimenticare mai, caro viaggiatore delle stelle, è quello per cui batte il tuo cuore. Che cosa ti fa vivere e sorridere e respirare, ancora? Riportalo a galla e avrai la chiave della felicità

La felicità non è domani, non è il successo. Ricorda che lasceremo tutto un giorno, è nel destino di questo viaggio. La felicità è nell’attimo di adesso, è ciò che ti fa sorridere anche se sei nella situazione più grigia. Per questo hanno sbagliato tutto a raccontarci dei sogni: i sogni che vale la pena inseguire non lo sono per via della sopravvivenza, o perché hanno successo o si trasformano in un lavoro. Lo sono a dispetto di tutto questo. Lo sono perché portano pace nella nostra anima.

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Passeggiata nel bosco

Passeggiata nel bosco di un sabato d’inizio autunno: le foglie, i colori, l’ora alla fine di un mattino che sa di sole e nebbia in arrivo,

‘namo, dice lui
senza sapere che dice una parola che esiste in altri luoghi e invece lui la dice un po’ per abbreviare e un po’ perché è pur sempre uno straniero, un viaggiatore intergalattico che afferra a spizzichi e bocconi, qua e là
e afferrando inizia a formulare concetti, farsi capire, spiegare e spiegarsi
comunicare, da buon ospite di questa terra, piccolo uomo fra stranieri che fanno discorsi in lingue complesse, pieni di sensi doppi e tripli, deviazioni e angoli ciechi

‘namo, dai
insieme
tutti

mammi, papà, io, dudi

dove?

‘namo là.

Ovviamente.

E allora andiamo.

C’è la pineta e il bosco che si apre alle sue spalle, silenzioso.
Il mattino del sabato e uscire tutti insieme, ognuno alla sua velocità
La lagotta dudi non ne può più di stare in casa e allora corre, corre più forte di tutti
poi si gira e ci aspetta, abbaia ai caprioli e torna indietro
sfreccia nel prato, ci sfiora di gran corsa

il piccolo viaggiatore cammina ma si lamenta perché con le sue gambette, diventate grandi ma pur sempre piccole, ogni micro passo rende la passeggiata super
io b(r)accio, io piccolo
poi gli facciamo notare dei funghi prataioli nati così, selvatici, e allora la sua passione si ridesta
non si sente la stanchezza quando la curiosità supera tutto

camminare, osservare le piante intorno a noi
mettersi in tasca qualche foglia e ripromettersi di cercare i nomi
respirare il bosco, l’aria silenziosa del mattino

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Perdersi a Madeira

Passeggiare al mattino al Mercado dos Lavradores di Funchal, tra le contrattazione di chi vende il pesce pescato nella notte e i banchi con i mille colori dei fiori

A zonzo per Funchal incontrare l’immensa balena blu sui muri di Rua de Santa Maria

Con la funicolare salire fino a Monte, la parte alta di Funchal

La spiaggetta vicino al Forte di São Tiago

A piccoli passi il giardino botanico, Madeira Botanical Garden, e Monte Palace Tropical Garden

Santa Luzia Public Gardens, il parco pubblico inaugurato nel 2004 per cercare – ovviamente – l’area giochi insieme ai piccoli viaggiatori

Le piccole cascatelle che si tuffano fra le onde oceaniche sulla spiaggia nera di Seixal

Camminare dal Pico do Aireiro al Pico Ruivo aspettando l’alba

Arrivare fino alla punta più a est dell’isola: Ponta de São Lourenço

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Le officine del gas a Bologna

officine-gas-Bologna
Dall’archivio personale di Domenico Alvisi

L’Ottocento è stato il secolo dei grandi stravolgimenti tecnici, sociali ed economici che hanno colpito il mondo intero e di conseguenza anche Bologna. In città abbiamo avuto cinque grandi innovazioni tecnologiche: La costruzione del primo acquedotto, il tram, l’energia elettrica, la ferrovia e le officine del gas. Ora, vorrei parlare proprio di queste ultime. Come alcune delle altre innovazioni tecnologiche anche le prime officine del gas, sorte nel 1846 fuori porta san Donato, furono non so se create, ma sicuramente appaltate a due banchieri inglesi. Cominciò così la distribuzione del gas illuminante (o gas di città) tramite tubazioni sotterranee che giungevano fino al centro della città. Di conseguenza vennero installati anche quei meravigliosi lampioni di ghisa artisticamente lavorata.
Nell’aprile del 1862 l’appalto passò alla Compagnia Ginevrina dell’Industria del Gas, e le officine vennero ampliate e l’illuminazione venne estesa a tutta la città dentro il perimetro delle mura.
Nel 1863 iniziò, tra la Porta san Donato e la Mascarella la costruzione del grande stabilimento di quasi 15.000 mq. tuttora esistente. Nel maggio del 1900, primo caso in Italia, il servizio venne municipalizzato e la gestione venne assunta direttamente dal Comune. Negli anni seguenti lo stabilimento venne nuovamente ampliato e dotato di sempre più moderni aggiornamenti tecnologici.
La funzione principale delle Officine era, come detto, la produzione del gas illuminante ma diverse altre produzione uscivano nel corso delle trasformazioni. La lavorazione partiva dal Litantrace, che è un carbon fossile la cui formazione si fa risalire a 250 milioni di anni fa.
Il Litantrace, moderatamente scaldato si trasforma in una sorta di carbone chiamato coke, e libera una miscela di gas che depurato diviene il gas di città.
Con la distillazione del Litantrace si ottenevano anche: catrame, benzolo, toluolo (diluenti per vernici), naftenici da cui la naftalina un tempo regina dei nostri armadi, fenantrene che, assieme ad altri prodotti chimici, serviva a produrre il creosoto, tra l’altro conservante per traversine ferroviarie, il cui odore pungente deliziava le nostre narici nelle stazioni ferroviarie.
Il gas di città fu indubbiamente una grande conquista. Ora noi abbiamo notti piene di luci e ci riesce difficile concepire una Bologna completamente al buio, almeno che uno abbia vissuto la città, in tempo di guerra, durante le notti dell’oscuramento. Un tempo era normale e di notte, per stare tranquilli, bisogna uscire con le lanterne.
Naturalmente non bisogna dimenticare la funzione che ebbe il gas nelle cucine, finalmente era possibile, per cucinare, disporre una fonte di calore comoda e pulita a scapito della carbonella.
Naturalmente i fanali dovevano esse accesi e spenti, uno per uno tutti i giorni e a questa mansione provvedevano un certo numero di “accenditori” ai quali erano anche di competenza di sorveglianza dell’illuminazione, la pulizia e le piccole riparazioni. La città era divisa in quattro quartieri per ognuno dei quali era predisposto un certo numero di accenditori che dovevano trovarsi nella sede predisposta dieci minuti prima dell’ora di partenza. Al mattino, alle prime luci, venivano spenti, ma gli addetti dovevano, a turno, fare anche servizio di sorveglianza notturna ed essere disponibili tutto il giorno.
Altra grande innovazione la introdusse il “carbon coke” che dette la possibilità, specie in locali pubblici e preso abitazioni private (dei più abbienti) di installare impianti di riscaldamento con caldaie e termosifoni.
Col tempo la luce elettrica sostituì il gas nei lampioni e il metano il gas illuminante e le officine del gas cessarono la loro produzione e si trasformarono in distributori di metano.
Domenico Alvisi

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Perdersi in Austria

Da Venezia al Tirolo lungo la strada verso Merano e Innsbruck fino a Salisburgo: perdersi in Austria

Il bosco delle biglie sul Glungezer a 1.560 metri

Merano e i giardini di Sissi,
camminare fra gli alberi
girare in monopattino per Innsbruck, soprattutto se sei un piccolo viaggiatore intergalattico

Passeggiare in una sera di fine estate lungo il lago di Seefeld, dove
sempre se sei un piccolo viaggiatore intergalattico, ti interesserà esplorare il parco giochi,
La casa capovolta a Terfens, una ventina di minuti da Innsbruck.

Salisburgo, la città di Mozart
passeggiare sul colle dei cappuccini
la vista della città
da lontano, la fortezza Hohensalzburg
e poi scendere dai vicoletti
dalla piazza del duomo
attraversare il ponte Staatsbrucke
sul fiume Salzach
fermarsi sulle gradinate al sole

in una giornata di pioggia a Salisburgo il Museo dei giocattoli per sperimentare i giochi antichi
e la Casa della natura, il Museo della natura e della tecnica di Salisburgo
dove immaginare la vita segreta degli universi marini e quelli di altri mondi, nello spazio lontano.
A Salisburgo ci sono anche il Museo delle Marionette, nell’antico soffitto della Fortezza Hohensalzburg,
il Museo di arte moderna, il Museo di storia militare,
il WasserSpiegel, Museo dell’acqua nel serbatoio sul colle Mönchsberg per andare alla scoperta del sistema di rifornimento idrico di Salisburgo
il museo del Natale (a proposito, nel cuore più antico della città, non distante dalla Casa di Mozart c’è un piccolo negozio dove è Natale tutto l’anno),
il museo della birra Stiegl, dove si visita il birrificio privato più grande dell’Austria
la casa natale del poeta Georg Trakl, figlio di un commerciante di ferramenta di Salisburgo e morto a ventisette anni all’ospedale militare di Cracovia all’inizio della prima guerra mondiale
e poi Hangar-7, il Museo degli aerei, all’aeroporto di Salisburgo, dove i Flying Bulls di Salisburgo recuperano e restaurano rari velivoli storici

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