Holi, festa dei colori all’inizio di primavera

In India Holi è alla fine dell’inverno e preannuncia la nuova stagione, l’arrivo della primavera: segna un giorno di festa in cui celebrare la vita, fare pace, pregare e ripartire riparando ciò che ha bisogno di nuova luce.

La festa di Holi inizia di notte, davanti al fuoco. Tra le fiamme danza il demone Holika Dahan, la cui storia è stata raccontata tanto e tanto tempo fa sulle pagine dei sacri libri dei Veda. Holikā Dāhana significa “Holika che brucia”, in sanscrito, che è la lingua in cui sono scritti i Veda. La storia racconta che Shiva ridusse in cenere il demone Holika con il suo terzo occhio: ogni anno si rivive questo rito ballando e pregando intorno al fuoco.

Non è l’unica leggenda, di storie ne circolano moltissime. A seconda della regione geografica può variare il racconto e il contesto, eppure questo rito di accendere un fuoco nella notte a me ricorda i falò che anticamente bruciavano alla fine dell’inverno anche nelle nostre campagne, che oggi rimangono in forma di rito e festa. E Holika Dahana, questo demone che brucia nelle fiamme, in fondo mi sembra che suggerisca a ognuno di noi di incontrare i suoi demoni: l’ombra si incontra nell’oscurità, la notte che a qualsiasi età sa scatenarci dentro emozioni primordiali. I demoni della rabbia, tristezza, paura ci mettono in guardia sui nostri umani, umanissimi, limiti: è sulla soglia, al confine di noi, che sappiamo prenderci cura della nostra pelle e rimetterci in pace con tutto ciò che – non- possiamo. Sì, abbiamo dei limiti. Anche la vita li ha. Questo meraviglioso viaggio ha un inizio e ha una fine. Al termine dell’inverno il seme, che è rimasto rinchiuso mesi nella oscura terra, muore e si trasforma: alcuni si fonderanno con il fango e la pioggia, nella terra, altri diverranno pianta. La morte, la nostra paura più grande e ineludibile, si fa tangibile e nel sole della primavera che si affaccia celebriamo di nuovo la vita, con emozione, altrettanta paura e vulnerabilità, con tenerezza e col respiro in sospeso

In India e in Nepal nei giorni prima di Holi si accendono pire e il fuoco brucia, simbolo di purificazione e rigenerazione. Al mattino del giorno di Holi si gioca con le polveri colorate simbolo di questa festa, che ogni anno torna all’inizio di marzo, in giorni simili ma diversi poiché in India si segue il calendario lunare.

La storia del re Hiranyakashipu

Desidera la vita eterna Hiranyakashipu ma non può chiedere l’immortalità. Il dio Brahma gli concede cinque desideri: non morirà “né fuori né dentro la sua residenza, né di giorno né di notte, né in cielo né in terra, né a causa di un essere inanimato o un animale”. Hiranyakashipu nel cuore nasconde uno sterminato odio verso il dio Visnu a causa dell’uccisione di suo fratello. Nel suo regno proibisce il culto di Visnu tuttavia a disobbedire è proprio suo figlio. Prahlada, infatti, cresce devoto a Visnu: dopo aver cercato di dissuaderlo e convertirlo il re prova a uccidere il figlio, ma alla fine sarà lui a morire. Considerato un demone dalla mitologia indiana, Hyranyaksha verrà sventrato e divorato dagli artigli di Narasimha, incarnazione di Visnu, né essere inanimato né essere vivente, al crepuscolo, quindi né notte né giorno, sulla soglia del suo palazzo, né dentro né fuori. Anche Visnu cadrà preda dell’ira e solo il saggio, mite Prahlada riuscirà a fermare la sua incontenibile rabbia.

Il lato ombra dietro al demone

Machig Labdrön, maestra e asceta nata intorno al 1055, in Tibet diede forma a una pratica spirituale che si diffonderà con il nome Chöd, letteralmente “separazione, rottura, o tagliare”.

“I nostri demoni sono ciò di cui abbiamo paura. Come diceva Machig, qualsiasi cosa blocchi la nostra libertà interiore è un demone. Machig parlava anche di dei-demoni. Gli dei sono le nostre speranze, ciò che ci ossessiona, che desideriamo intensamente, i nostri attaccamenti”

Tsultrim Allione, “Nutri i tuoi demoni”

Che differenza può esistere fra la speranza e ciò che speranza non è più? Forse solo un margine sottilissimo, e ciò nonostante evidente. Potremmo definirla aderenza alla realtà, eppure non può essere solo questo. I sognatori sanno che a volte per custodire e portare in porto una grande impresa è necessario battersi anche contro ciò che è ragionevole. Ma quando la speranza di qualcosa diventa ossessione allora l’idea ci tiene prigionieri: succede anche in amore, o nella passione per qualcosa. Fingere che non sia importante non è la strada: non si smette di amare solo perché lo si vuole, non si smette di essere arrabbiati o tristi solo perché si butta l’ombra da una parte. Anzi, nell’oscurità l’ombra diventa più grande.

Facciamo un esperimento, scrive Tsultrim Allione nel suo libro, che forma daresti al tuo dolore? Una sedia vuota di fronte a noi: ci sediamo. Chiudo gli occhi. Respiro. Che forma ha… l’emozione che sto provando? Se dovessi disegnare che colori userei? Scopro che a seconda del tempo diversi sono i miei demoni, alcuni bellissimi, altri che mettono terrore solo a guardarli. Perché c’è sempre un filo di paura a guardare negli occhi un demone, ma forse proprio quel filo ci porta davanti alla vita e alla morte, alle cose importanti dell’esistenza.

A volte, più spesso di quanto pensiamo, guardi un demone negli occhi e scopri che quello sguardo lo conosci, lo conosci bene. E ricordiamocelo, anche la parola “felicità” ha a che fare con i demoni: dal greco eudaimonia, eu-buono, daimon, demone. Che ad accompagnarci e possederci sia un demone benefico. Abbracciare il demone, quello più pungente e oscuro, forse significa proprio questo, addomesticare e trovare un punto di connessione con il selvaggio che è in noi, una zona fra ombra e luce dove tendere la mano e trovare il contatto, al di là della rabbia, della tristezza e della paura.

Luce e ombra danzano insieme

A chilometri e chilometri dall’India e dalla turbolenta storia di Hiranyakashipu viene in mente Serse, il re della Persia, figlio di Dario, che nel 485 a.C sale sul trono e vuole conquistare la Grecia. Serse aveva una flotta potente e un esercito di duecentomila soldati di tantissime diverse nazionalità: nel giugno del 480 aC attraversa lo stretto dei Dardanelli, allora chiamato Ellesponto. A causa di un traditore, Efialte, che confida l’esistenza di un sentiero segreto, l’esercito persiano riesce a sorprendere alle spalle gli Spartani, che per due giorni alle Termopili avevano resistito eroicamente insieme al comandante Leonida: piuttosto che arrendersi i greci combattono fino alla morte. Intanto Serse continua la guerra e riesce a invadere una terra dopo l’altra, Focide, Beozia e Attica. In settembre raggiunge Atene; la città e il porto del Pireo vengono incendiati. L’ateniese Temistocle, alla guida della flotta greca, attira le navi persiane nella baia di Salamina, dove le imbarcazioni greche, più piccole e veloci, hanno un vantaggio. Serse osservava la battaglia da un trono posto ai piedi del monte Egaleo: in dodici ore la flotta persiana viene distrutta.

Erodoto racconta che per consentire il passaggio del suo esercito sull’Ellesponto Serse aveva fatto costruire un ponte sullo stretto vicino alla città di Abido, in Asia Minore, e un altro, nello stesso periodo, fu costruito presso il monte Athos. Una tempesta distrusse il ponte e Serse decise di punire il mare, con trecento frustate e maledizioni. La cultura greca definirà gesti come questo un’azione legata all’hybris: è l’arroganza di chi pecca commettendo azioni ingiuste senza comprendere il giusto limite, per il piacere di umiliare. Ancora una volta, il limite. Serse non è invicibile, anzi ironicamente il mare sarà teatro della sua sconfitta definitiva. Saturno è destinato a essere sconfitto e da suo figlio: il Tempo non si può arrestare, l’umana lezione è un lento imparare i cicli della natura. Hiranyakashipu non può essere immortale. Eppure, dentro ha un dolore che non dà pace, per la morte del fratello: la tristezza, quando non viene riparata, si trasforma in un demone di rabbia che tutto vorrebbe possedere e distruggere. Persino Visnu, il grande dio Visnu, signore che preserva e custodisce l’equilibrio del mondo, non è immune dalla rabbia.

Attraverso le polveri colorate di Holi possiamo ricordare a noi stessi, di nuovo, che tutto è in grado di trasformarsi. Mai come in questo tempo dell’anno in cui non è più inverno e ancora non è primavera ogni cosa è mobile, nella natura e in noi. In Europa è il momento delle ultime nevicate e dei primi coraggiosi fiori; la forza della luna piena, il sole che sta per ritornare, forte sulla pelle e nell’anima; l’attesa dei semi e delle piante messe a dimora. Ce la faranno? (Ri)nasceranno? La morte danza con la vita, la vita danza con la morte. Sempre. Ogni giorno è un viaggio di cui non conosco la fine né l’inizio. Solo, viviamo. Danzando. Celebrando i colori che sono dentro di noi e che iniziamo a ritrovare là fuori, fra gli alberi e la natura che inizia una nuova stagione.

Cose che si fanno d’inverno

Le piccole cose capaci di renderci felici durante il tempo invernale. Giorni lunghi, lunghissimi che poi ci si volta indietro e ancora una volta sembrano passati in fretta. I giorni dell’inverno sono quelli in cui avremmo voglia di casa e di rotolarci fra le coperte e invece magari bisogna svegliarsi presto e uscire quando è ancora buio – che succede anche questo – e poi scopri comunque che può essere bellissimo, passato il primo momento più difficile, l’aria in faccia e il mondo che si sveglia, ognuno a modo suo, le giornate di nebbia infinita, guardare fuori dai vetri di uffici e scuole, sognare, immaginare, preparare biscotti e nuove idee…

Cose che si fanno d’inverno

Ascoltare musica e se si può i dischi, con il vecchio mangiadischi arancione o un nuovo giradischi per tornare a sentire il fruscio dei 45 e 33 giri, imparare a posizionare la puntina… piano piano, nel punto giusto

macinare i chicchi di caffè e immergere il naso nel profumo forte, scaldare le fette di pane nel tostapane e preparare colazioni sontuose con marmellata, burro salato o formaggio. E poi i pancakes: il cesto dei pancakes della domenica, quando svegliarsi è più dolce e papà con la frusta impasta tutto poi cuoce per tutti

i caffè lunghissimi e i piedi nudi sul divano, mangiare biscotti dalla scatola e non importa per le briciole

passare da una stanza all’altra, giocare e fare caos e poi riordinare tutto e trasformare anche il riordino in un nuovo gioco, in cui trovare cose e riscoprire oggetti perduti

disegnare, dipingere con gli acquarelli, leggere libri belli, guardare film e inventare storie

spiare il Tempo dalla finestra, che come diceva lo scrittore Joseph Conrad «Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?»

indossare sciarpa e cappello di lana e poi uscire fuori, con l’aria fredda che soffia sulle dita e sulle guance

osservare i rami degli alberi disegnati dal ghiaccio, le case e le aiuole: pensare a quando ci sarà così sole che diremo – si muore di caldo- e indosseremo pantaloni corti e infradito e magliette e sembrerà così strano ripensare a queste giornate qui, immerse nella nebbia e strizzate nel gelo, sembrerà strano tanto oggi sembra strano e innaturale immaginare che fra qualche mese saremo in questa stessa strada, svestiti e con le braccia abbronzate, circondati di fiori e alberi pieni di verde

fare picnic in salotto, con tanto di tovaglia da stendere sul tappeto e tramezzini e frutta

ascoltare la pioggia che cade di notte e se nevica rimanere minuti interi incantati a osservare il pulviscolo della tormenta di fiocchi attraverso la luce gialla dei lampioni sotto casa

accendere fili di luci per tutta casa e mica solo a Natale, arrotolati lungo le scale e sul soffitto della cucina, per scaldare le stanze di casa e il cuore

rispolverare i giornali vecchi e i libri che non si ha ancora avuto tempo di leggere perché non è vero che accumulare è peccato: ci sono momenti in cui troviamo cose, oggetti, libri e sogni e li mettiamo da parte, in angolo della testa e dell’anima, poi arriva il giorno giusto e allora li apriamo ed esploriamo, succede così di tenere fra le mani sorprese che avevamo preparato per noi stessi, senza saperlo, infiniti momenti fa

preparare il tè delle cinque e se non è a quell’ora poco importa, l’importante è fermarsi e sorseggiare piano. Piano piano, che il tempo: il Tempo, questo nessuno ce lo regala, ce lo dobbiamo prendere e a volte anche rubare, disegnare per noi e per ciò che amiamo, per trovare spazio per glia abbracci e cuscini sul divano, parole da scrivere e raccontare, piante da annaffiare

e non importa se è inverno, forse fioriranno anche i gerani se li lasciamo dentro alle finestre. Per fare finta che l’estate sia già tornata, o forse mai passata: la bella stagione del cuore, che non importa quanto freddo faccia, è un battito di farfalla dentro, un arcobaleno nella pioggia

svegliarsi e riaddormentarsi. Perché almeno una volta durante l’inverno dobbiamo concederlo a noi stessi, di non sentire la sveglia e continuare a sognare e rotolarci fra le coperte quando ormai è troppo tardi per fare tutto.

Fiori di primavera

Germogli di bucaneve, come ogni anno di fianco alla porta di casa

Fiori di primavera o di fine inverno? Mentre la neve si scioglie sui prati fra i sentieri fa sobbalzare il colore intenso dei nuovi fiori

Fiori di primavera

Crocus

L’ho avvistato per primo fra tutti quest’anno, una piccola esplosione viola fra il color terra delle foglie secche. Il crocus è temerario e di frequente è il primo a sbocciare, fra la fine dell’inverno e l’inizio di primavera. Appartiene alla famiglia delle Iridacee (Iridaceae) e il suo nome viene dalla lingua greca, Kròkos. Questo piccolo fiore, viola o bianco, è citato fra le pagine dell’Iliade: significa filo di tessuto. All’interno sono ben visibili i lunghi stigmi che nel suo cugino più celebre, il Crocus sativus (comunemente noto come zafferano!) vengono sfruttati in cucina.

Il piccolo crocus durante la stagione primaverile sa trasformare i prati in un dipinto. Nell’Appennino tosco-emiliano il crocus spunta ovunque, fra le zolle di terra brulla e l’erba ingiallita scampata alla fine dell’inverno insieme ai piccoli cespugli di violette e le primule. Cresce in Europa, ma si trova anche in in Africa nord-occidentale e in Asia occidentale, fra le vallate dei Monti Altaj, un posto magico, dove anticamente nacque lo sciamanesimo e i popoli che vivevano qui consderavano sacre le montagne. Qui si trovano le vette più alte della Siberia e il confine fra Russia, Mongolia, Cina e Kazakistan.

Ma io alla fine dell’inverno ogni anno attendo, con trepidazione e curiosità, i bucaneve. Perché la natura ritorna, con magica puntualità, da anni, così tanto che noi non abitavamo in questa casa e non eravamo nemmeno nati. C’è un unico piccolo gruppo di bucaneve, qui in giardino; non sono che tre o quattro eppure da più di cinquant’anni, tornano, alla fine dell’inverno, sempre di fianco alla porta di casa. E io spio il loro arrivo.

Bucaneve

Il bucaneve, Galanthus nivalis, è della famiglia delle Amaryllidaceae: galanthus, così viene chiamato anche in lingua inglese, da due parole greche: gala, latte, e anthos, fiore. Fra i parchi del Regno Unito in questa stagione è ovunque: se ti trovi a camminare fra i parchi di Londra nel mese di febbraio vedrai un tappeto di minuscoli bucaneve, ai piedi delle querce. In Irlanda il bucaneve era il simbolo della festa di Imbolc, una festa antichissima che poi in epoca cristiana divenne la Candelora. Sai che il bucaneve inglese ha un legame con l’Italia? Fu la regina Elisabetta a introdurre i primi bucaneve in Gran Bretagna, dalle montagne italiane.

L’arte del vedere

Vedere è un’arte, sai? Sì, perché non basta vedere o poter vedere: saper vedere è un allenamento e un’ispirazione, va coltivata ogni giorno e quanto spesso ce ne dimentichiamo. A vedere si impara, ecco perché si tratta di un esercizio quotidiano. Nella storia della medicina i casi di chi ha potuto vedere grazie a un intervento chirurgico ci hanno fatto scoprire che fenomeni come la prospettiva non sono un fatto scontato bensì una costruzione: noi vediamo con il cervello e la nostra vista si allena nel tempo. La visione che abbiamo, del mondo e anche di noi stessi, delle forme, dei colori e di come percepiamo le cose è il risultato di tanti fattori: del nostro carattere e delle nostre unicità, della cultura che respiriamo e della storia in cui siamo collocati. È il nostro universo di senso. Se ci fermiamo su questo pensiero – il modo in cui ognuno di vede è unico – allora può accadere un’incredibile rivoluzione e a partire da questo possiamo persino iniziare a costruire la nostra visione, che non ha solo a che fare con la vista perché diventa il modo che abbiamo per chiederci quali sono i nostri sogni, le direzioni in cui ci interessa andare, la strada che stiamo percorrendo giorno dopo giorno.

Neve nel Vermont

Se ti capitasse di pasare per Cleveland al museo di arte, Cleveland Museum of Art, troveresti appeso questo quadro di Mary Altha Nims. Era nata nel Vermont all’inizio dell’Ottocento, 1817 e si occupava di pittura su velluto, theorem painting.

Chissà, Mary Altha Nims che faceva in quel giorno di neve. Io me la immagino dopo una tazza di tè per colazione, con gli stivali che affondano nella neve a guardare per un attimo l’orizzonte mentre la tempesta si arresta per un attimo e la voglia di uscire è troppa. Poi, per uno strano scherzo della mente ritornare fra le pareti di casa e restare là fuori nella neve: sedersi alla finestra e guardare la casa dall’esterno, attraverso se stessa nella neve, Alice allo specchio.

E allora prendere i pennelli, la tela e il bianco: lasciare l’impronta della giornata candida e tempestosa, che rimanga sulla carta e nella memoria. Perché certe immagini si può solo abbracciarle e cullarle così, strette al cuore. Come le giornate d’inverno bianche di nebbia e nevicate, con il fuoco del camino che scalda l’anima; un senso di immobilità e immaginazione che pervade ogni cosa.

Giugno

primo giorno di giugno, il “mese delle ali di cicala”, uno dei nomi di giugno in Giappone.
La guerra in Ucraina è al giorno 97, fra tre saranno cento: è passato febbraio con gli ultimi strascichi di inverno, sono sgocciolati via marzo e aprile con la Pasqua, che quest’anno si è magicamente sovrapposta fra cristiani cattolici, ortodossi e la fine del Ramadan. Scivolato via maggio, con gli acquazzoni che sconquassano e il sole che già fa immaginare l’estate, è un nuovo mese

il 24 di giugno, san Giovanni, è il momento di raccogliere i fiori di camomilla, si diceva un tempo.
Questo è il mese del solstizio e dei fuochi, che celebravano la danza del sole e la natura che di nuovo cambia e incontra una nuova fase. Il mese delle vacanze estive, del grano e dell’amore.

Nella notte infinita del 24 si davano appuntamento le streghe e forse ancora lo fanno, nascoste tra foreste antiche e giungle di cemento. Torneranno le lucciole, a breve, aleggeranno luminose sui prati di notte, mentre i pipistrelli ci sfiorano con un brivido.
E nei falò si bruciavano le ossa per scacciare i diavoli e si ballava intorno cantando la notte e prendendosi per mano, furtivi. La stagione dell’amore sì, del grano da tagliare, dei papaveri che inondano il mondo di rosso e del caldo che ferma il mondo. Ma proprio quando il sole è al massimo già inizia a calare e il buio, lentamente tornerà a farsi posto nelle ore di luce.

Questa è la lezione del solstizio e dell’estate, l’ombra è là dove la luce risplende di più. E un po’ prende la gola, questa inquietudine leggera. È il senso della fine che sta in tutte le cose, che di giorno ce la dimentichiamo ma il tramonto la ricorda.
Con la cenere dei fuochi di san Giovanni ci si strofinava per togliere il malocchio e la sfortuna, un tempo. La mattina, nell’acqua di san Giovanni fatta di fiori lasciati a riposare alla luce della luna, le ragazze leggevano il loro futuro e poi si lavavano il viso con la rugiada, che gli antichi Romani pensavano avesse moltissime proprietà. È tempo di raccogliere le noci, ancora verdi, per preparare il liquore nocino.

Mia nonna guardava alla finestra il sole e sapeva che in un certo punto, lì lungo il profilo sul crinale delle montagne, tramontava in giugno, in un altro punto a settembre. E così, l’estate aveva una durata che si misurava nello spazio, sulla punta delle dita e con lo sguardo. Che in fondo questo è la vita, ricordarsi ogni tanto di fermarsi
e avere tempo per guardare dove finisce il Tempo

Torna il cucù

all’improvviso
stamattina

cucù… cuucù

è tornato a farsi sentire, come ogni primavera
il suono proviene dallo stesso punto in cui si sente da sempre,
un posto imprecisato fra gli alberi, oltre i meli in fiore nel prato di fianco alla chiesa
uno spazio d’aria custodito dalle montagne,
così verdi in questa stagione che rinasce

torna il cucù,
cucco cucù cuculo

«Canta il cucco sulla quercia nera
ricordati padrone che è primavera»
recita un detto antico dell’Italia del sud,
il suo canto dice che è primavera.
Nella Germania contadina di secoli fa
quando il cucù si sentiva di nuovo cantare
per chi lavorava la terra
era tempo di ricevere fondi per le campagne

è il tempo dell’amore
quello segnato dal cucù,
forse anche quello dei cucù di legno.
Abbiamo creato un segna tempo per ricordarci che
del movimento del Tempo
solo
vale la pena
quello che
ticchetta l’amore

il cuculo con il suo canto segna il territorio
tenetevi alla larga, dice.
Deporrà un uovo, simile agli altri di cui invade il nido
poi se ne va, senza l’impegno di crescere i piccoli o scovare cibo

solitario
all’inizio dell’estate
vola già
sulle rotte dei cieli d’Africa

solo, sì
solo. Perché il cuculo migra da solo
solo arriva, all’inizio di primavera
solo se ne va, all’inizio dell’estate.
I piccoli, ormai giovani uccelli adulti
se ne andranno alla fine dell’estate
attraversare il mare per la prima volta mentre l’autunno inizia,
soli anche loro
con una mappa che non sanno di sapere,
imparata chissà come dalla misteriosa saggezza del dna

dalla mattina all’alba fino a sera
canta il cucù. E nelle campagne un tempo si diceva
non si sa quanti anni viva
– vecchio come un cucco –
un numero incalcolabile di tempo,
forse perché da soli
si perde il conto
degli anni.

Chissà se è stato il suo fischio a
ispirare
uno dei primi giochi dell’umanità
il cuco.

Impastati nella terra, cotti nei forni d’argilla
cuchi antichissimi
ritrovati nelle tombe di bambini nati millemila anni fa,
nell’antica Grecia
e poi in Inghilterra
cuchi messi nella cappa del camino,
in segno di buona sorte
un cuco nella culla dei neonati, tradizione bavarese
affinché l’aria si faccia melodia di vita e
gli spiriti del male scappino via,
così si racconta al Museo dei Cuchi di Cesuna,
frazione del comune italiano di Roana, in provincia di Vicenza

Adolescenza

Stagioni della vita: adolescenza,
tempo dei grandi ideali e dei grandi dolori.
Da adolescenti è il sogno a guidare l’azione,
sognare l’innesco per la realtà

Adolescenza,
irrequietezza e ricerca della felicità.
Grandi amori.

Da adolescenti si cerca di capire se stessi
l’amore diventa la freccia verso il cuore,
non solo in senso romantico, ma
strumento per trovare se stessi e
come una freccia scavarsi,
trovare il centro
andarci verso quel centro

provare, provare tutto e di tutto
sperimentare la vita,
questo vuole ogni adolescente
e i genitori hanno paura,
perché spesso la paura verso chi si ama
supera ciò che noi stessi abbiamo desiderato:
passione, amore, sperimentazione

da adolescente vuoi capire la vita e la vita è pericolosa
l’amore è pericolo,
sperimentare il pericolo è sobbalzo per il cuore
esperienza per la mente.

Mai come in altri momenti dell’esistenza si sente il pericolo
si vuole comprendere il dolore.

Di un altro ci si innamora per una luce che vediamo splendere nello sguardo
e allora la scintilla prende fuoco. Andremmo fino in capo al mondo per amore,
da giovanissimi

abbiamo bisogno di guardarci dentro nell’anima e tirare fuori il fango,
guardare nell’oscurità,
ci innamoriamo di chi è oscuro perché
abbiamo bisogno di vedere nella nostra oscurità

(per) comprendere il dolore del mondo

vedere il peggio e provarlo
sperimentare
accanirsi, contro se stessi contro il mondo o contro tutti e tutto

come hai potuto farti così male?
non sei migliore o peggiore del resto delle persone,
più magri o più grassi, più bassi o alti, intelligenti quanto basta, ma
coraggiosi al punto da
autodistruggersi

gli adolescenti,
non visti,
mai creduti
sviliti

sappi che non importa se nessuno ti vede.
Quando inizierai a vederti tu,
allora guarirai

il senso di vuoto che senti
immenso
l’ho sentito anche io.

Il corpo ci insegna
attraverso i vuoti
le emozioni che cacciamo via.

Hai bisogno di amore,
desideri equilibrio e calore.
Ci vorranno anni, sì.
Va bene così, ripetilo
anche quando non ci credi:
va bene così.

Tutto è dalla tua parte,
anche il dolore che senti
anche lo squilibrio
anche il vuoto

imparerai a stare in equilibrio
grazie
a
squilibri
precari

entrare in relazione con il dolore

adolescente,
vuoi che qualcuno veda la tua anima,
ricorda che tu puoi essere la prima persona a
vedere
te

allo specchio
guardati come se non ti conoscessi.
Perché è così,
non ti conosci.
Guardati con gentilezza,
come faresti con chi ami

perché guardiamo sempre gli altri generosamente
e mai noi stessi?

E poi, il cambiamento.
Da adolescenti si cambia,
improvvisamente
totalmente.
In realtà, non solo durante l’adolescenza ma in ogni periodo della vita
si cambia quando osiamo farlo.
Tutto il resto del mondo continua a considerarti come ha sempre fatto.
Difficile è accettare il cambiamento di qualcuno se
non osiamo accettare il cambiamento in noi stessi,
più facile e comodo lasciare che le cose vadano avanti come sono sempre andate.
Quando ti dicono “non sei più la stessa persona di prima”
tu ricorda di dire, agli altri e a te:
per fortuna.

Grazie alla vita, che
ci fa cambiare
trasformarci
evolvere.
Grazie agli incidenti, che non solo mai solo di passaggio bensì un passaggio
grazie al dolore che ci sveglia
grazie alla bellezza che ci soccorre
grazie alla curiosità e al viaggio, che ci salvano
grazie a tutto ciò che ci è servito per imparare a nuotare e stare a galla

quando diciamo grazie a noi stessi già cambia qualcosa nella percezione
quando ti dici grazie includi e non dividi

SEI UNA DONNA
SEI UN UOMO
questo significa trasformarsi da bambin* in adult*
hai varcato quella soglia
guardati con fierezza e orgoglio
celebra le tue trasformazioni
celebra le tue perfette imperfezioni

avrai “periodi” diversi
di abiti, vestiti, capelli
modi di essere, pensare e agire
va bene così,
per crescere abbiamo bisogno di sperimentare

con il senno di poi, a quarant’anni vedrai quanto eri pieno e piena di insopprimibile bellezza
tu fallo ora, celebrati. Qualsiasi sia il momento della vita, ovunque ti trovi

La tua metà esiste, è dentro di te e
non l’hai ancora vista
ci metti tutta la vita a incontrarla
non avere fretta
va tutto bene

ci saranno cose che non accadranno
adesso
o non accadranno mai,
va bene così
portale con te,
nella valigia dei giorni
c’è tutto quello che ti è accaduto e
tutto ciò che non è successo,
tutto quello che può ancora accadere
ti plasma

ricordati che ci saranno giorni in cui l’inquietudine e l’infelicità
toglieranno il respiro.
Proprio quando sentirai di non respirare più,
andrai a cercare dove respirare di nuovo
il tuo orizzonte

una domanda da farti è

dove voglio andare?