Se non fai il bravo, la brava… è un ricatto

E ricordati che “Se non fai il bravo, la brava… Babbo Natale non… ” è un ricatto.

〰️che cos’è RICATTO?

Non è mica facile ora che ci penso, spiegare che cosa significa ricatto.

Proviamo a vedere com’è fatta questa parola. Viene dal latino “re”, di nuovo, o indietro e “capere”, prendere. Prendere indietro, in effetti ed è un po’ così anche nella pratica: se non fai una certa cosa… io mi riprendo indietro (quello che ti ho dato o promesso, per esempio). 

Usiamo anche entità esterne per farlo, così è più facile. Un grande classico natalizio è Babbo Natale che da simpatico generoso gli tocca diventare spia e giudice: “se non fai il bravo, la brava .. Babbo Natale non ti porterà questo o quello”. Ce la giochiamo con un’altra persona per sollevarci almeno per un attimo dalla responsabilità dell’io, e che palle, almeno Natale avere un attimo di tranquillità senza i soliti urli e capricci. 

Ce la giochiamo con un fattore importante: il tempo. Barattiamo il presente con il futuro e si sa, la speranza sta tutta lì. Se nel presente…. allora poi… nel futuro… Se nel presente tu sarai in un certo modo… allora poi nel futuro accadrà questo o quello.

Dentro c’è anche la meccanica della superstizione. Tu pensi che sia un gioco per farci cascare i bambini ma ci hanno fatto cascare anche i grandi e per secoli, sai, per secoli. Se non sarai buono, buona, allora Quello lassù se ne accorgerà e ti punirà con qualcosa di brutto. Se non sarai brava, bravo, allora vedrai, cosa succederà.

Se “riscattare” prende indietro grazie a un prezzo, anche “ricattare” lo fa. Essì, non avevi mai notato quanto sono simili, c’è solo una S che trasforma uno nell’altro. Eppure quando diciamo “riscatto” dentro facciamo un sospiro di sollievo, questa parola ci porta l’immagine di gente liberata e salvata. Ma in mezzo c’è sempre un prezzo. Qual è il prezzo che sei disposto a pagare? 

Se farai la brava il bravo allora avrai… quel giocattolo, quella promozione, quell’amore. In questi giorni parliamo tutti dei NO da dire, forse anche da questi vecchi schemi da abbattere potremmo imparare qualcosa di utile per il futuro.

Sono libera libero di essere come mi sento, sono libera e libero di pestare i piedi, alzare la voce, dire no, piangere di tristezza e gridare di rabbia. Non ci sarà l’uomo nero, Babbo Natale poveretto continuerà a preparare i regali perché gli va e se la promozione salterà pazienza. Mi

 terrò l’amore di chi lo dà, senza condizioni.

Ecco, senza condizioni. Questa è la vera bontà. La bontà è gratuita. L’amore è un dono, non è un premio. Pinocchio non diventa bambino perché fa il bravo ma perché avendo vissuto e sofferto tanto impara a essere umano: umanità. Umanità, una bellissima doppia parola che indica sia la stirpe umana, sia tutte quelle attitudini che dobbiamo usare molti termini per dire: umanità come solidarietà, gentilezza, empatia, comprensione e indulgenza anche, l’indulgenza che viene dalla comprensione.

Quindi, no. Non devi fare il bravo, la brava, non preoccuparti. Ecco, diciamo che non devi fare, ti basta essere. Sii ciò che vuoi diventare. Sii quello che ti rende gentile, diventa quello che aggiunge bellezza, generosità e sorrisi alla tua vita. 

Senza prezzo, perché nessuno deve pensare di poterti comprare. 

A fotterci è sempre l’aspettativa

A fotterci è da sempre l’aspettativa. Aspettativa si coniuga in millemila righe scritte diverse che se guardi bene hanno qualcosa di uguale che torna.

Aspettatica è quella che avevano da piccoli su di noi e lo sguardo di attesa che tu ti trovi ad avere sul lavoro, i compagni di vita, i figli. Aspettativa è la vita che immagini quando dici sì davanti all’altare e che poi fatta così, esattamente come l’avevi pensata, rimarrà solo nelle fotografie incorniciate di quel giorno fuori dalla realtà. Aspettativa è l’attesa dei primi passi e delle scoperte dei figli che oggi fra corsi di inglese, sport e musica sono stressati ancora prima di sapere cos’è lo stress e diciamo tutti che ognuno ha i suoi doni e i suoi talenti, ma nel frattempo in questa nostra società delle opportunità da cogliere per forza non aspettiamo altro che di vedere quale sia, questo talento. E sarà lo stesso processo che avrà fatto soffrire noi -il processo dell’attesa e la stasi che ha dentro – qualcuno che aspetta dei risultati e sta lì a osservare con la faccia che dice “adesso dimostrami che sai fare”. La facciamo mille volte quella faccia lì, adesso dimostrami che sai fare. Lo diciamo agli altri e a noi stessi.

E ci impegniamo, oh quanto ci impegniamo. È da tutta la vita che ci impegniamo. Del resto ci hanno insegnato così: bisogna impegnarsi, nulla accade senza impegno. E allora diventiamo guerrieri se ci capita un cancro; ci definiamo imprenditori e imprenditrici di noi stessi per darci coraggio e inventarci un lavoro in questo mondo dove farsi spazio un po’ sgomitando e un po’ supplicando. Mangiamo cose che crediamo migliori e cerchiamo le opportunità migliori in attesa che sbocci il talento nostro e dei figli. L’aspettativa è quel pensiero che ti fa piegare e stirare il presente fino a quando non prende la piega del futuro che immagini tu.

Ecco perché ci fotte. Perché l’aspettativa distorce la realtà. In lingua spagnola c’è una sovrapposizione che in italiano non esiste; riguarda il verbo “esperar”. Esperar significa sia “attendere”, sia “sperare”. Io la trovo un’incredibile trovata linguistica. In effetti quando attendi speri che quello che attendi sia in arrivo e del resto sperare significa essere in attesa di qualcosa che vorresti si realizzasse.

No. I vecchi molto vecchi – e con vecchi dico una parola bellissima, vecchio come un albero antico e non anziano – insieme ai bambini abbastanza piccoli da non avere ancora il calendario scolastico in testa sanno una verità semplice e meravigliosa. Il potere dell’ADESSO. Solo nell’ adesso abbiamo e troviamo il nostro potere. La vita è adesso. Lo stupore accade solo adesso. Vieni, ti dicono i bambini, vieni adesso! Anche la vita e la morte sono adesso, non prima e non dopo. Il momento è sempre nel qui e ora. Non si può certo dire alla vita, né alla morte, “mi dispiace ripassa più tardi”. Il tempo dell’universo è in un istante, e in ogni singolo momento che viviamo può accadere davvero di tutto: questa è la vera magia della vita.

È così che si sgretola l’aspettativa. Come un vecchio edificio crolla su se stessa quando ci accorgiamo che lei va sempre al momento dopo, il giorno dopo, l’anno dopo. Ma noi siamo vivi adesso, i bambini lo sanno e i vecchi molto vecchi sanno che già arrivare a stasera è un miracolo. In fondo tutta l’arte della meditazione si appoggia su questo, l’adesso. Basta osservare un vecchio e un bambino per ricordarlo; peccato che se ne incontrino sempre meno per caso, viviamo in posti dove ogni famiglia si vive i suoi anziani e i suoi bambini, senza realizzare che per millenni siamo cresciuti frequentando gente di età diversa perché abbiamo bisogno di imparare da tutto e da tutti, soprattutto da ciò che è diverso e questo è un ottimo motivo per cui vecchi e bambini insieme stanno benissimo.

E allora, se smettiamo di vivere la vita con aspettativa forse accadrà di iniziare a vivere con gratitudine. Perché a dire grazie forse non si impara, semplicemente si sente: accade quando iniziamo a vivere con lo stupore della meraviglia.

Tutto può diventare infinito stupore quando niente è scontato. È così: niente è scontato, questa è la lezione dell’esistenza, ogni giorno. Solo che fra bollette, corsi e orari incastrati ce lo perdiamo; i sopravvissuti se lo ricordano bene, invece. E allora facciamoci caso, che sopravvissuti in fondo lo siamo tutti, costantemente.

Siamo qui, siamo adesso: “siamo avventurieri!” mi ricorda ogni tanto un certo viaggiatore intergalattico. E se vivi davvero l’avventura allora non sai che lavoro farai o che casa abiterai, non sai se avrai voglia di imparare a cucinare o a giocare a scacchi, non sai quando ti verrà voglia di imparare a disegnare o piantare un albero. Non sai quali saranno i tuoi sogni di domani: sai quali semi stai piantando adesso, quali sogni stai guardando ora, sai su quale strada stai camminando in questo momento, sai quale orizzonte osservi, sai che cosa ti incanta ora, sai che cosa ti chiama in questo istante della vita. Ed è tutta l’incredibile bellezza racchiusa dentro questi momenti imperfetti e apparentemente casuali quello a cui dobbiamo imparare a fare attenzione. Ed esserne grati.

A essere gentili si impara

〰️mami, sono un po’ triste. Perché abbiamo litigato

Sì, anche io mi sento triste quando litighiamo. Sai? Le cose non sempre vanno come vorremmo.

È come la tua macchinina quando si è spaccata. Oppure quando sei pronto per partire e si buca una gomma, è come quando volevi intensamente qualcosa e la volevi proprio in quel modo ma poi non succede; è come i biscotti rotti nel sacchetto, quando fai tardi a un appuntamento a cui tenevi, quando si strappa la manica di un vestito bello o metti il piede sopra a una cosa di cui ti importa.

Si chiama imperfezione. Vuol dire che è tutto il contrario della cosa ben fatta che avevi pensato. Ma è la vita, la vita è proprio questo: scoprire che le cose non sono perfette, non vanno in modo perfetto e che noi possiamo viverle lo stesso. Fa arrabbiare moltissimo a volte, proprio moltissimo e non solo i piccoli, anche i grandi. Si chiama frustrazione, è quella rabbia forte che ti viene quando due pezzi del puzzle non combaciano e tu vuoi farceli stare per forza. Ma se non combaciano non c’è verso: bisogna accettarlo e questa è la cosa più dura della vita, ci si mette anni a imparare, forse tutta la vita.

Dal nostro litigio cosa abbiamo imparato oggi? 

〰️Gentilezza è no urlare e no lanciare cose in giro altrimenti poi siamo tristi delle cose che si rompono. Gentilezza è fare carezze… alle cose, alle persone… e anche agli animali

Abbiamo litigato e grazie al nostro litigio abbiamo capito qualcosa: desso ce lo scriviamo così ogni volta che lo vediamo ci ricordiamo di essere più gentili.

〰️ Però sono ancora triste.

Perché? Abbiamo fatto pace.

〰️Ma abbiamo litigato.

… Allora… Pensiamo a tutte le cose belle di oggi… Il sole, i biscotti con la cocacola, Kuki che ci viene a salutare, i cartoni animati, il bagno con l’acqua fino a qui, le barche che galleggiano e i sali profumati di vaniglia, il sole, giocare a essere su una nave e fare gli esploratori, la pioggia di pennarelli anche se poi è noioso raccoglierli tutti

〰️mi dispiace di aver lanciato i pennarelli. Mi dispiace molto. Non lo farò mai e poi mai più

Soprattutto quando succede cinque volte di seguito

〰️Mai più.

E adesso andiamo a cercare altre cose belle…..

I sopravvissuti guardano l’assenza

〰️Loro sono i morti?

no, sono quelli che rimangono.

〰️Che cosa guardano?

Osserva. Dove cade il loro sguardo?
Al centro, nel vuoto.
I sopravvissuti guardano l’assenza.

Chi resta continua a guardare là,
dove stava chi non è più.

Eppure guarda: dall’altra parte anche loro, i morti, continuano a guardare in direzione degli altri. I loro sguardi continueranno a trovarsi e incontrarsi al di là della linea che li divide.

Sai perché? Per amore.
Per amore si attraversano mondi. Per amore si attraversa il tempo, per amore si ricorda e sul ricordo si costruiscono vite intere; si odia, persino. Si combatte e si muore, di nuovo. Per amore si resta, anche se questo dovesse voler dire morire di nuovo.

〰️Perché le facce non si vedono?

Perché i visi se li porta via la morte. Il tempo si porta via le voci e i dettagli. Non sappiamo più sono stati. Non possiamo ricordare ma nemmeno dimenticare. I loro capelli, il modo di parlare, lo sguardo, il sorriso: ognuno è un mondo e lo abbiamo perso.

Eppure loro sono ancora qui, sai? Chi se ne va lascia dietro una scia di piccole impronte: sono scritte nei baci che ci siamo dati, nelle parole dette e nelle idee, negli abbracci, nelle azioni, nelle aspirazioni.

Sono sulla nostra pelle, nelle cellule, nei pensieri.

A cucire la Storia è un invisibile microscopico filo arrotolato che abbiamo chiamato Dna e non contiene solo il colore dei nostri occhi, ma anche i sogni, gli amori, le storie e le guerre che hanno fatto vivere e morire chi adesso non c’è più.

C’è un filo infinito che si srotola dall’inizio del mondo a oggi e cuce insieme la fine all’inizio.
Non conoscerai in faccia tante persone che non ci sono più, eppure sono presenti. Sono dentro il tuo cuore e loro lo sanno come lo sai tu: l’ amore sa viaggiare nel tempo.

Il cuore batte anche per gli assenti. Continua a vivere anche per chi non ce la fa.

Sei l’ultimo anello di una catena infinita.
Un giorno sarai grande e ci sarà una nuova generazione dopo di te.

Ogni nuova generazione continua la precedente. Perché le nuove generazioni, le persone che vengono dopo di noi, sono alberi nati dai semi che osiamo lasciar cullare al Tempo.

Com’era il mondo una volta?

Com’era il mondo una volta? Come si buttavano le cose, come si beveva e come ci si scaldava? Com’erano le case? Un viaggio nel tempo

Come si buttavano i rifiuti?

Là in strada ci sono i cassonetti e proprio in questi giorni li stanno cambiando: giallo la plastica, azzurro per la carta, i rifiuti misti e la campana verde del vetro, che adesso sarà sostituita da un paio di bidoni più piccoli e facili da manovrare, con il solito spazio rotondo sopra per introdurre le bottiglie. In altre città non ci sono nemmeno i cassonetti, per esempio dove vivono i nonni in Lombardia già da qualche anno la raccolta è casa per casa: si lascia fuori dal cancello il secchio del colore giusto e a seconda del giorno della settimana sarà ritirato. Anni fa, quando ero piccola io, era ancora diverso. Per tutti gli anni Ottanta, Novanta e in parte Duemila si mettevano grandi sacchi neri fuori dalle case: il camion dei rifiuti grigio passava la mattina presto. Ricordo che mia nonna spiava sempre il loro arrivo fra le tende colorate della finestra del soggiorno e per Natale lasciava un paio di bottiglie di vino proprio sul muretto rosa accanto, in segno di augurio.

E prima ancora? Come si buttavano le cose? In realtà di rifiuti ce n’erano molti meno. La plastica, per esempio, non esisteva. Il polipropilene è stato scoperto nel 1954 e pensa un po’, proprio da un ingegnere chimico italiano. Per questa scoperta Giulio Natta riceverà il Premio Nobel insieme al tedesco Karl Ziegler, il quale aveva isolato il polietilene nel 1953. La plastica occupa molto dei nostri rifiuti: sono di plastica i sacchetti, gli involucri delle cose, le bottiglie. Invece, una volta le bottiglie erano di vetro e non venivano buttate: si usavano le stesse bottiglie per imbottigliare di nuovo il vino e per prendere da bere l’acqua della fontana. Le verdure arrivavano dall’orto oppure dai mercati: si legavano con dello spago e venivano trasportate nei cesti di vimini, o quando necessario, avvolte in un foglio di giornale.

Anche per la pasta era così: non stava in un sacchetto di plastica. I negozi di alimentari, le botteghe, avevano grandi vasi di vetro o cassetti appositi di legno dove stava la pasta. I fogli di carta con cui venivano avvolte le cose potevano essere utilizzati per disegnare, scrivere e infine per accendere la stufa: non si buttava via nulla. Gli scarti di cibo? Venivano dati agli animali di casa e alle galline, oppure gettati fra la terra dell’orto. Ecco, un mondo dove si consumava meno: un mondo dove tutto veniva usato, riparato e trasformato di più. Non si conosceva la parola “riciclo” eppure si riciclava continuamente; le case erano spesso piccole, ma c’era quasi sempre abbastanza posto per conservare e custodire. Difficilmente si buttavano via le cose a cuor leggero, perché potevano tornare utili in modi imprevedibili.

Perché cadono le foglie?

〰️hai visto che c’è una foglia caduta? mi hai fatto notare tu settimana scorsa.

Hai visto che ora la terra si sta lentamente coprendo di foglie secche? ti ho detto io stamattina.

Sono dappertutto e il sole è ancora caldo, ma gli alberi non si ingannano. Il volo delle foglie non si arresta; è come una danza. Il crepitio leggero nel silenzio, mentre anche gli stormi se ne vanno, in lontananza.

〰️ perché cadono le foglie?

Cadono le foglie perché la clorofilla diminuisce e nella foglia appaiono altri pigmenti, come il giallo e l’arancione del carotene. Cadono le foglie perché la luce alla fine dell’estate inizia a diminuire: l’albero lo sente e gradualmente smette di nutrire le foglie. La linfa è come il nostro sangue; attraverso le radici l’albero prende dalla terra acqua e sali minerali che si diffondono in ogni cellula, come accade nel nostro corpo.

Siamo fatti di cellule: sembrano piccole stanze viste al microscopio, sono porte: porte minuscole che si aprono e chiudono lasciando entrare e uscire ciò che ci serve.

Cadono le foglie perché l’albero nella sua istintiva e infinita silenziosa saggezza sa che sta per arrivare l’inverno. Se la neve pesasse sulle sue foglie sarebbe la fine.

Non potrebbe sopportare il peso di tutto e allora lascia andare, in questo sta la saggezza dell’albero. Accetta di lasciar andare il superfluo, si spoglia dell’eccesso: rimane così, nudo e leggero. Essenziale.

È per tutti questi perché che cadono le foglie in autunno. Tempi difficili si affrontano con la bellezza coraggiosa dell’essenziale, forse è questa ispirazione che ci possiamo portare.

Puoi portare sì, ma sopportare fino a un certo punto e anche noi umani dovremmo forse farci più caso.