Siamo bellissimi e nessuno ce l’ha mai detto

Appunti sul Tempo di Maddalena De Bernardi

Siamo bellissimi e nessuno ce l’ha mai detto

Diciamo ai bambini di essere “bravi”, di fare i bravi. Ma in realtà nessuno di noi è bravo o non-bravo. Siamo tutto, siamo tutti. La parola “gentile” in origine significava “appartenente alla stessa famiglia”, ecco se pensiamo di appartenere a un’unica famiglia forse possiamo diventare più gentili. E non si tratta solo dell’umano. Apparteniamo alla tribù, così variopinta, così diversa nelle forme e nella manifestazione, che si trova qui in viaggio sul pianeta Terra.

Siamo alberi, siamo pioggia e fiume, siamo mare, siamo umani, siamo tigre, siamo lepre. Siamo sogni, siamo attesa, amore, passione, rabbia. Quando siamo gentili è perché vediamo la bellezza dentro l’altro che siamo noi e ci ricordiamo che apparteniamo tutti alla stessa grande famiglia di viaggiatori in questo immenso sconosciuto universo.

Riflettevo tempo fa, abbiamo questa idea di dover tirare fuori il meglio da noi stessi e dal mondo. Invece basterebbe vedere quanto siamo già tutto questo e oltre, altro.
Eravamo bellissimi, quando abbiamo iniziato a percorrere questa strada, appena precipitati su questa sfera azzurra chiamata Terra.
Siamo bellissimi e nessuno ce l’ha mai detto.

Che cosa voglio fare del mio tempo?

La domanda è questa e non ci sono scappatoie. Che cosa voglio del mio tempo? Perché le cose da fare sono tante, è vero; sono tante anche quelle che sembrano belle, buone giuste. Eppure non c’è tutto il tempo del mondo: non avrai tutto il tempo del mondo, nessuno di noi lo ha.

E allora succede di doverci pensare e riflettici bene, sul tuo tempo, perché ne va del filo che intesse la vita intera. Inseguilo quel filo, tienilo fra le dita e guardalo.

Dove mi porta il filo del tempo? Nel Taoismo wu-wei è “non-azione”. Le cose verranno a noi, dicono i saggi di ogni tempo in tutto il mondo: tutto arriva al momento giusto, né prima né dopo. Ciò che non è affatto semplice, invece, è l’attenzione. Un po’ come quelle ragazze nella notte, raccontate in una pagina antica della Bibbia cristiana, che attendono lo sposo; attendono con una lampada e dell’olio, ma se ne usi troppo, al momento sbagliato, non ci sarà per l’attimo fatale in cui servirà. C’è sempre un attimo fatale, in cui all’improvviso ti devi svegliare e alzare: il momento catartico in cui esserci, non si sa quando ed è per questo che dobbiamo stare svegli.

Io me l’immagino così. In piedi, nella notte. Non vedi là fuori, cosa accade nell’oscurità: è il buio della coscienza. Attendi. Sai di avere una luce, è lì accanto; ce l’hai dentro. Per qualcuno sarai la luce, un faro nella notte: qualcuno lo è stato per te. Poi c’è l’attimo decisivo in cui la fiamma inizia a brillare, si sveglia la consapevolezza ed ecco che accade l’incontro con l’altro, che hai sempre sognato di incontrare. L’altro che in fondo sei tu, null’altro che Tu

Che cosa significa “attendere”? Che cosa facciamo mentre aspettiamo? Oggi mi hai detto di sentirti – molto triste, quando papà è al lavoro. Anche a me dispiace quando non c’è, ho risposto io. Davvero, davvero anche a te dispiace? Mi hai chiesto tu, con la faccia dipinta di sorpresa. Certo. Al tempo stesso so che a volte si seguono strade diverse per poi ritrovarsi; si fanno altre cose, si sta da altre parti: poi ci si incontra di nuovo e sarà bellissimo fare nuove cose insieme, portando quelle incontrate su altre strade e direzioni. Come barche esploratrici, come ataviche tartarughe marine nella corrente, seguiamo il flusso: andiamo, alla scoperta. Ogni giorno.

Ogni giorno è un viaggio che non conosco.

Intanto, cosa si fa quando si aspetta? Si fa o non si fa? Un concetto antico, che abbiamo perso, è quello della veglia. Le ragazze di quel racconto biblico vegliavano, nella notte. Le donne un tempo vegliavano spesso, nelle lunghe ore di buio invernale. Si diceva perfino, nel linguaggio popolare, “andare a veglia”, a vejgghh, nel dialetto di queste montagne dell’Appennino. “A veglia” si ricamava e cuciva, ci si incontrava e si aggiustavano le cose rotte, anche i rapporti; ci si fidanzava e ci si conosceva, si passava tempo insieme, gomito a gomito. Ecco, il tempo: forse era il tempo la ragnatela che stava dietro a questo filare, di parole e di ore. Oggi la parola passatempo è quella più vicina e che ha sostituito il concetto antico della veglia, ma il passatempo è spesso solitario e dentro ha questo “passare” che finisce un po’ per sfilacciare il tessuto del tempo, invece di rafforzarlo.

Wu-wei è “quando agire, quando non agire”. Il cinese Lao Tzu, considerato il fondatore del Taoismo, ha scritto: «Ecco come bisogna essere! Bisogna essere come l’acqua. Niente ostacoli – essa scorre. Trova una diga, allora si ferma. La diga si spezza, scorre di nuovo. In un recipiente quadrato, è quadrata. In uno tondo, è rotonda. Ecco perché è più indispensabile di ogni altra cosa. Niente esiste al mondo più adattabile dell’acqua. E tuttavia quando cade sul suolo, persistendo, niente può essere più forte di lei». Allenarsi a stare in questo significa allenarsi a stare nella condizione che in cinese è ming, “chiarezza”. Come l’acqua del fiume: quando ci metti i piedi dentro e allora devi fermarti un attimo e attendere che la polvere si posi per vedere di nuovo chiaro.

Sarebbe bello imparare il non-fare nel fare. Allora potremmo lavorare e pulire, cucinare o passare l’aspirapolvere con la stessa leggerezza di quando i bambini lavano le tazze della colazione giocando con l’acqua per mezz’ore intere. Potremmo dipingere, cucire, pettinare, sbrogliare, saltare, sguazzare, senza occhio per l’orologio. Potremmo perdere il tempo, goccia dopo goccia, e poi miracolosamente, ritrovarlo. Nell’istante in cui tutto accade improvvisamente la perdita si ricostituisce e la ferita, come insegna la colata d’oro dell’arte kintsugi, diventa esperienza: nel tempo dell’attesa lavora il desiderio, nel tempo di dipana il filo dell’esistenza. Siamo, in ogni istante. Anche quando lo dimentichiamo, credendo di attendere qualcosa o qualcuno. Sei adesso. Anche il tempo è adesso, lo tieni in una mano: a ogni respiro lo soffi via e te lo riprendi, con una magia che è la vita stessa.

“Pensi di poter prendere il controllo dell’universo e migliorarlo?
L’universo è sacro.
Non puoi migliorarlo.
Nella ricerca della conoscenza, ogni giorno guadagniamo qualcosa. Nella ricerca del Tao, ogni giorno perdiamo qualcosa.
Facciamo sempre meno finché non raggiungiamo la non-azione.
Il Tao rispetta la non-azione, eppure nulla rimane incompiuto”

Lao Tzu

Calendimaggio

Calendimaggio, o cantar maggio: è la festa del primo maggio che, in alcuni luoghi, si festeggia nei giorni immediatamente seguenti. Una festa antichissima quella di Calendimaggio, già presente nel calendario dell’antica Roma. Nell’Europa del Nord, dall’Irlanda alla Germania, era la festa gaelica di Beltane, che astronomicamente è l’opposto del giorno dedicato ai morti, in autunno.

Dall’irlandese Lá Bealtaine e dallo scozzese Là Bealltainn, Beltane o beltaine: “fuoco luminoso”, da accendere durante la notte fra il 30 aprile e il primo maggio.

Quante le feste dei falò che accendevano le notti nelle campagne: in ogni parte d’Europa, in parte per ripulire la terra in un momento in cui ancora non c’è il rischio di incendi, quando l’inverno è ancora alle spalle e la primavera sulla porta, in parte, simbolicamente per salutare un nuovo inizio. Maggio è il tempo delle nuove nascite, il tempo delle piogge e delle ultime nevicate, in montagna: tempo per l’orto e di attesa. Mai come adesso, con il potere degli acquazzoni e del sole che diventa ogni giorno più forte, la natura si rigenera e le foglie nei boschi sfoggiano un colore di un verde così giovane e intenso che entra nel cuore.

Primo maggio, Calendimaggio: non sempre lo ricordiamo ma c’è stato un tempo in cui bruciavano falò nella notte e sotto la luna
si cavalcava sul dorso di una lepre fino ai monti sacri. Come il monte Brocken in Germania e le montagne italiane dell’Appennino.
Per onorare la luna e la nuova luce, accogliere la primavera. E con la primavera il nuovo anno. Che un tempo l’anno iniziava ora, con l’aria che si faceva dolce e i semi pronti a nascere, le piogge forti e il sole sempre più forte. Dopo i mesi passati al focolare, nuovi giorni di là da venire in cui tornare a lavorare la terra e stare all’aperto, portare il gregge nei pascoli più alti e attendere il periodo dell’anno in cui la notte è più chiara e luminosa.

La notte di Valpurga

La festa di Beltane con la diffusione della religione cristiana verrà sovrascritta dalla notte di Valpurga, il cui nome deriva da Valpurga di Heidenheim, monaca bavarese dell’VIII secolo canonizzata dalla Chiesa Cattolica e venerata il primo giorno maggio. Fu badessa nel monastero di Heidenheim, in Baviera, ed ebbe due fratelli, entrambi santi (!): sembra che il padre fosse il nobile san Riccardo d’Inghilterra.

Ma la santa e la notte di Valpurga non riescono del tutto a cancellare il potere di un femminile ancestrale: un potere capace di affascinare e incutere timore come gli sconquassi delle burrasche di primavera e della luce del sole che senza che si sappia esattamente come, ci abbraccia e sparisce ogni volta a suo piacimento. Secondo tradizioni antiche durante la notte fra l’ultimo giorno di aprile e il primo di maggio le streghe uscivano dai loro rifugi e si incontravano nei boschi per danzare in onore della Luna. A citarle è anche Goethe nel suo dramma in versi Faust, pubblicato nel 1808.

Arrivavano lì galoppando, minuscole, una lepre, animale sacro e notturno, volando su oggetti rimasti nell’immaginario come la classica scopa di saggina o persino grazie al potere dei sogni, viaggiando con l’immaginazione

Si incontravano nel folto della foresta e sul monte Brocken ballavano il sabba, che in lingua basca era conosciuto come akelarre. Sabba è una parola che nessuno sa esattamente cosa significhi, ma ha un’assonanza con il termine ebraico shabbat e infatti, di solito, aveva a che fare con un convegno segreto che si teneva il sabato notte. Sembra che il termine compaia per la prima volta nelle carte di un processo di metà del Quattrocento, registrato dai tribunali francesi. Chissà come li chiamavano loro, questi incontri segreti, questi balli notturni illuminati dal potere delle stelle e della luna: forse non avevano nome, come tutte le cose belle che non hanno bisogno di essere chiamate o catalogate.

Sul monte Brocken in Germania

Da settembre a maggio sul monte Brocken c’è la neve e spesso una nebbia così fitta che non si vede a un palmo di naso, sarà forse per questo che fosse il luogo preferito, così nascosto e discreto, da queste donne antiche, che arrivavano lì galoppando, minuscole, una lepre, animale sacro e notturno, volando su oggetti rimasti nell’immaginario come la classica scopa di saggina o persino grazie al potere dei sogni, viaggiando con l’immaginazione. Oggi il monte Brocken, che si trova nella catena montuosa dell’Harz, ricco di boschi e giacimenti minerari (il nome, letteralmente significa “foresta”) è parco nazionale e ospita un giardino botanico inaugurato nel 1890 di piante di montagna. C’è un piccolo treno a scartamento ridotto a condurre i visitatori fino lì, dove si trova una vecchia torre televisiva che ora è utilizzata come osservatorio ma un tempo, all’epoca della costruzione del Muro di Berlino, venne utilizzata dalla polizia segreta della Germania dell’Est, la Stasi, come centro di spionaggio. Ancora prima, il Brocken e la sua stazione meteorologica, vennero bombardati dagli Alleati, il 17 aprile 1945. I danni furono ingenti ma la torre televisiva si salvò: era stata la prima al mondo a essere costruita, proprio qui, su queste montagne, la prima a portare in diretta televisiva l’Olimpiade di Berlino del 1936.

La notte di Valpurga in Svezia

Nella città universitaria di Uppsala, nelle vicinanze di Stoccolma, il 30 aprile, sista april o Valborgsmässoafton, si fa colazione con un bicchiere di champagne e verso le dieci di mattina si va sulle rive del fiume per il tradizionale appuntamento con forsränning. Gli studenti discendere le rapide del Fyrisån, chiamato anche Full o fiume Sala, a bordo di zattere allegoriche, costruite da loro stessi nelle settimane precedenti. Poi si pranza con il buffet tipico, sillunch, con il meù della tradizione e aringhe. Sala era l’antico nome del fiume, che in seguito fu cambiato, per l’esattezza fra 1600 e 1700, in onore della pianura paludosa di Fyrisvellir, a sud del villaggio di Gamla Uppsala.

Anticamente, i viaggiatori per raggiungere il tempio e la residenza del re di Svezia, situati a Gamla Uppsala, dovevano lasciare le imbarcazioni e proseguire a piedi. La parola, dalla lingua norrena, Fyrva fa riferimento al “rifluire” e alle inondazioni che periodicamente sommergevano la piana d’acqua. L’area poi fu bonificata e oggi le navi possono risalire il fiume Fyrisån dal Mälaren, il lago in cui sfocia, vicino alle sponde del mar Baltico, fino alla città di Uppsala, dove due chiuse impediscono un’ulteriore risalita. Durante l’ultimo giorno di aprile già un secolo fa gli studenti tentavano l’impresa di risalire il corso del fiume con le zattere e si ritrovavano, dopo pranzo, in Carolinabacken indossando il berretto universitario tradizionale, lo studentmössa, bianco con visiera nera, per suonare e intonare canti tradizionali di primavera. Ancora oggi lo mösspåtagning, quando il rettore si affaccia da una finestra agitando il berretto e tutti lo agitano con lui in segno di saluto, viene trasmesso dalla televisione svedese. La stessa tradizione viene ripetuta ogni anno anche nell’università di Stoccolma, Göteborg e Linköpin, dove ci si ritrova nel cortile del castello cinquecentesco, accompagnati dal coro.

Calendimaggio in Italia: Assisi

Nella città di Assisi si celebra Calendimaggio e il ritorno della primavera con una festa che rievoca le feste e gli usi degli Umbri, l’antico popolo che un tempo abitava le terre della valle del Tevere fino al mar Adriatico, che Plinio il Vecchio commentava come la popolazione più antica d’Italia, i quali, riporta nella Naturalis Historia, che sarebbero stati chiamati Ombrici dai Greci perché sopravvissuti alle piogge quando la terra fu inondata. Sulle tavole eugubine, in bronzo, ritrovate nel territorio di Gubbio nel Quattrocento e oggi conservate nel Palazzo dei Consoli della città, sono descritti in una difficile lingua che mescola umbro e latino, alcuni riti dell’epoca. Gli umbri credevano nella dea della terra Cupra e nella triade divina Ju-pater, Mart, dio della guerra e Viofonus, equivalente del latino Quirino.

Simboli di maggio sono le viole, le rose e l’ontano, di cui i Maggerini trasportavano un ramo dove appendere doni. Intorno agli ontani, alberi sacri, si ballava e cantava. Per l’equinozio di primavera in Romagna si festeggiava la Fogheraccia e i riti del nuovo anno, che per molti popoli della Terra iniziava con la primavera.

Incontrare la morte

Si muore, accade ogni attimo. Eppure non ci pensiamo, non ci pensiamo mai altrimenti forse impazziremmo. Come si spiega la morte ai più piccoli?

~ una volpe. Dorme? sì, una volpe. Non sta dormendo, è morta.

~ posso toccare? no, meglio di no

~ posso vedere? Posso vederla da vicino?

~ perché non va via?

perché è morta. Non può andare via.

Allora si volta e mi guarda ~ cosa succede quando muore?

Quando si muore succede che si lascia il corpo. Il cuore smette di battere. Il corpo si ferma dove si ferma il cuore, è rimasto qui.

~ perché ha gli occhi aperti?

Perché mentre moriva aveva gli occhi aperti.

~ è una volpe piccola. La sua mamma dove sarà, viene a cercarla. Guarda, ha la bocca aperta e si vedono i denti. Perché ha la bocca aperta?

~ perché quando si muore si respira, così. Ssss. Si espira. L’ultimo respiro ritorna nell’aria. Il cuore si ferma, il corpo si ferma e il respiro esce, vola via.

~ e dove va?

nessuno lo sa. Forse verso l’alto insieme al cielo e alle nuvole, forse diventa aria che respiriamo noi e gli alberi, terra e bosco. Aria e vento, leggeri e liberi

Senti. Adesso fermiamoci un attimo. Prendiamoci per mano e salutiamo la volpe. Respiriamo un attimo così. Inspiriamo e poi soffiamo via il nostro respiro. Anche i nostri respiri sono aria e ritornano all’aria.

Guardiamo la piccola volpe.

buon viaggio, volpe. Il tuo corpo è qui, ti auguriamo che il respiro del tuo spirito sia in cammino, libero e leggero

~ con la sua mamma. E di’: che non arrivano i cacciatori, ma persone buone tornano a accompagnarle

E che persone buone tornino ad accompagnarvi

~ e che arrivate in un bosco grandissimo, senza neve. Senza neve, con il sole. Aggiungi.

Buon viaggio, piccola volpe. Ti auguriamo che la tua mamma torni a prenderti e che non incontriate i cacciatori, ma persone buone che vi trovino e possano accompagnare verso un grandissimo bosco, dove l’inverno sia già passato, una radura piena di fiori, alberi e del tepore del sole, dove giocare libere.

Mentre lo diciamo, un raggio di sole arriva e illumina la piccola volpe e la neve intorno che filtra dall’ombra dei pini. Le minuscole, infinite minuzie, piccole cose incredibili che mi stupiscono dell’esistenza. Allora sorridiamo, davvero un po’ sorpresi.

Ecco, hai visto? Un raggio di sole, proprio come avevi tu. Dentro c’è nonno T, anche lui accompagnerà la piccola volpe come le persone buone che gli hai augurato di incontrare. Perché le cose belle, le sorprese improvvise, gli arcobaleni e le farfalle portano l’anima delle persone a cui vogliamo bene. Quando le persone muoiono continuano a mandarci una carezza, ovunque siano, trovano il modo di farci sentire vicini, ancora.

~ perché la volpe è morta? perché si muore?

Questo non lo sappiamo.

Stamattina siamo usciti per fare una passeggiata. Camminavamo senza meta, osservando i fiori di primavera che spuntano dal ghiaccio; il giallo delle prime quattro primule fra le radici contorte dell’albero di amarena. Poi, prima della pineta l’abbiamo vista: una volpe, bellissima. Stava distesa sulla neve, come fosse addormentata. Addormentata in un momento di neve. Non c’erano tracce di sangue, forse se fosse stato un lupo l’avrebbe divorata. O del fucile di un cacciatore sarebbe rimasta una traccia. Invece no, nulla. Solo una volpe immobile nella neve. Allora ci siamo avvicinati. Il primo impulso è quello di aggirare e andare lontani. È sempre un colpo al cuore quando si vede la morte, non importa come e quando accade. Viviamo sempre più lontani dalla morte; non cacciamo gli animali che mangiamo, la maggior parte di noi. Le malattie e la morte sono diventate un fatto d’ospedale, igienico e non visto: raramente ora guardiamo nelle bare o diamo l’ultimo saluto, anche quando il tempo per farlo ci sarebbe. Eppure, la morte esiste. Anche per i bambini, anche fra i bambini. Ai bambini a cui è permesso vivere a contatto con la natura capita ancora così, di incontrare la morte su un sentiero. Il primo contatto con la morte avviene nell’universo misterioso del piccolo, in cui Natura crea la legge del suo filo di vita nel fluire incessante e imperscrutabile. Nel microscopico di sottoboschi e fondali marini come accade nell’infinitamente grande, fra galassie, scoppi di stelle e buchi nero. Nel piccolo come nel grande e nel grande come nel piccolo. La vita si impara anche così, attraverso la morte. Osservando la fine.

La vita è un viaggio

Caro amore,
questa lettera è per te. Ci vogliono anni al futuro per trasformarsi in presente eppure è già tutto qui, nel miracoloso attimo di adesso.

Viaggiamo nel Tempo. Sì, anche tu. Perché viaggiamo nello spazio eppure per tutta la vita, ogni singolo giorno di questa esistenza, non facciamo altro che viaggiare nel tempo.

Sei qui da un giorno che non ricordi e un giorno te ne andrai, questa è l’unica regola del gioco. C’è un inizio e una fine, qui. Il viaggio ha un inizio e una fine: non sai quando, non sai come… nessuno lo sa. Ecco, adesso vorresti dimenticarlo, o ignorarlo; mille volte farai finta di niente, tenterai di giocartela come se tutto fosse possibile. Lo è, ma non per sempre.

Sembra che gli studiosi abbiano visto che il cervello umano alla nascita contiene un potenziale infinito. Dentro, abbiamo tutte le lingue del mondo, tutti i numeri e tutti gli inizi. Ogni cosa è, all’inizio. Solo per un attimo. Poi, il viaggio inizia e allora le strade si concretizzano, come una mappa del possibile che piano piano diventa il percorso che stai percorrendo.

Stai percorrendo la tua strada. Non prenderla come una sfortuna. Lo abbiamo già fatto in mille modi di spaccarci la testa e il cuore per prendere il tempo e strapparlo, stirarlo, annullarlo, ripiegarlo. Il fatto è questo: non avrai tutto il tempo del mondo. Puoi scegliere di diventare ciò che vuoi, ma avrai bisogno di tempo e non avrai il tempo per diventare tutti i te che vuoi essere. Ti toccherà scegliere.

Ma c’è un segreto. Quando corri a più non posso, anche il tempo corre. A volte, invece, c’è bisogno di fermarsi e guardarlo negli occhi: questo Tempo è il tuo tempo, ti batte dentro, è ritmo nel sangue e nelle vene, è il tuo sogno. Non dimenticare di chiederti quali sono i tuoi sogni perché dentro c’è la mappa verso cui stai andando da ogni giorno della tua esistenza.

Tu immagina una strada fra mille altre: è la tua. Ci sono sentieri scavati nel fango e strappati alla tempesta, strade asfaltate che corrono nel blu e vie disegnate nel segreto di foreste altissime o deserti millenari. Mentre cammini fai il tuo andare, è il tuo passo a decidere la meta.

Un giorno ti renderai conto che l’adolescenza è come vedere il mondo dall’alto. Sì, è vero ti dà un brivido incredibile tutta questa straordinaria visione, ebbrezza infinita. Non farti ingannare. Il fatto è che non puoi rimanere lì in eterno, perché intanto il sole si fa alto e la luna compare cantando all’orizzonte: è il momento di camminare. La vita è tempo in movimento, è cammino. 

Passo dopo passo a volte ti sembrerà di infossarti in un labirinto, perderti dietro a un vicolo cieco e dentro a strade in cui non ti riconosci più. Succede. Questo, però, è l’unico modo che abbiamo per sperimentare. Noi umani non abbiamo le ali, ci hanno fatto di gambe e braccia e un cuore e un cervello. Scendere dentro la tua strada è il solo modo per viverla. Potrai cambiare tante vite, ma una alla volta sai. Se a volte ti sembrerà di andare con troppa lentezza tu guardati indietro, solo per un attimo: è già moltissimo quello che hai fatto. Persino da fermi accade qualcosa, continuamente.

Avere la vita in mano guardando l’orizzonte dall’alto è un’illusione. Tu scendi dentro il paesaggio e vai, cammina, esplora. Allora sperimenterai davvero. Questa è la libertà: continuare a andare, sapendo che il movimento è vita. La vita è un viaggio. La vita è in viaggio e il viaggio non finisce fino all’ultimo respiro che il Tempo ci darà

Qui, su questo pianeta azzurro in equilibrio nel vuoto, c’è un fattore chiamato “gravità”. Ti rallenta, sì. Ti insegna, anche, a prendere in considerazione il valore della fatica. Ti farà cadere, sì. E al tempo stesso ti insegnerà che con le ginocchia sbucciate ci si alza, se fa male poi passa. La gravità ti atterra e deprime, ti schiaccia e aliena. C’è la gravità dei pesi nell’aria e quella dei pesi sull’anima.

Volare, questo sì che è un miracolo. Volare anche solo quando chiudi gli occhi all’immaginazione. Se poi sei capace di aprirli e far volare quello in cui credi anche alla luce del sole allora sentirai il cuore mettere le ali per davvero, senza limiti

In questa vita in cui ti trovi a camminare la leggerezza è una propensione naturale che ci vorrà tutta la vita per riconquistare. Lo sapevano i popoli antichi dell’Egitto che immaginavano una dea capace di soppesare i giorni vissuti con la prova di una piuma. Con quanta leggerezza stai vivendo i tuoi giorni? Qualsiasi cosa tu stia facendo non dimenticare di farti ogni giorno questa domanda, prima di addormentarti.

La vita è un viaggio. Questo viaggio ha avuto inizio in un giorno che si può solo ricordare per altre persone, non per se stessi. Il viaggio ha una fine: un destino, una parola bellissima e strana, che nel gergo delle stazioni indica semplicemente la fermata ultima. Qual è la tua?

Che cosa ti sta chiamando? In Giappone ikigai è quello che ti mantiene ancora vivo: passione, vocazione. L’abbiamo definito in mille modi questo fuoco che ti fa sentire ancora il cuore che ti batte, indomito. Non smettere di cercarlo, questa è la cosa importante. Che cosa mi ha fatto sentire ancora tremendamente e meravigliosamente viv* oggi?

Non avrai tutto il tempo del mondo e adesso non iniziare a dire che è tutta una sfortuna. È solo un’avventura. Vivila così: un battito d’ali, pura avventura. Tuffarsi nel vuoto. Lo stupore della meraviglia lo conoscevi benissimo quando camminavi da pochissimo qui sul pianeta Terra: lo abbiamo conosciuto tutti, poi lo abbiamo dimenticato in nome del senso del dovere e abbiamo creduto che questo fosse diventare adulti.

Stupisciti, ancora. Stuzzica la tua curiosità, ogni giorno. Meravigliati, senza fine. Chiediti i tuoi sogni e non solo quelli importanti: i pensieri da niente, le piccole cose che rendono felice una giornata, sono il sale della vita.

Adesso vai, la vita è un viaggio. Buon viaggio, amore mio. Ora ci sono le stelle e domani ti sveglierà il sole. Vivi ogni attimo. Qualsiasi cosa accada, sappi che puoi farcela. Sei sulla strada, cammina. Respira. Contempla. Non lasciarti sfuggire la bellezza del paesaggio e non soffermarti troppo sugli ostacoli, impara a guardare oltre. Lasciati guidare dall’istinto. Resta sempre vicino al tuo cuore.

A presto,
due viaggiatori quando si incontrano non smettono mai di rivedersi

Invecchiare

Invecchiare non ci rende persone migliori, non necessiamente. C’è chi passa tutto il tempo a pensare a quello che è stato e questo è un modo per diventare vecchi.

Il passato è passato. Se pensi sempre a ciò che è già successo hai bisogno di costruire nuovi ricordi, nel presente. Il presente è il posto dove siamo adesso, il posto dove trovare e cercare cose belle, sorprese, risate, attimi felici di pazzia.

Invecchiare non ci rende persone migliori, siamo solo sopravvissuti al tempo. Poi c’è il saper osservare l’adesso: chi ha inventato questa storia di vivere l’attimo non ha fatto altro che vedere i bambini, per i piccoli tutto è “adesso”.

Essere stupore, farsi risata, diventare meraviglia, cogliere il tempo in ogni sfumatura, sorridere al mondo, sperimentare caldo e freddo, salutare il sole e la pioggia: la ricetta per danzare con il Tempo.

Buon viaggio, amore mio

e poi ricorda

car* viaggiat* intergalattic*

questo viaggio ha un inizio e una fine,
ma non sai su quali pagine ti toccherà scriverle

non conosci la destinazione

tu vai, alla scoperta del mondo
ogni giorno. Senti,
annusa i profumi dell’aria
tuffati dentro ai colori
tocca con la punta delle dita
sfiora con il cuore

assaggia

sperimenta

abbraccia

pensa con la tua testa,
scegli buoni compagni di viaggio
sii gentile
fermati quando serve.

Sorprenditi, ancora una volta.
Rendi la tua curiosità stupore, anche oggi. La meraviglia trasforma il mondo.

Ci sarà un momento in cui crederai di aver trovato una meta, il fine di ogni destinazione. Ma ricorda che il destino è domani: un posto dove ancora non sei arrivato. Quando lo raggiungerai sarà ora di lasciare tutto e andare, di nuovo, in un ignoto che nessuno potrà raccontarti.

Adesso sei qui. Goditi il viaggio. Noi umani abbiamo inventato il tempo per vivere questa splendida bellezza, questo incomprensibile dolore che a volte ti toccherà di incontrare. Questa sorpresa continua che è la vita.

ed è così che facciamo, ogni giorno. Finire e riiniziare,
nello spazio di un respiro, momento per momento

l’istantanea del nostro tempo: ogni giorno è un viaggio che non conosco.
Tu non avere paura,
vai avanti con coraggio

e intanto non dimenticare di ascoltare il rumore del mare,
lasciati cullare dalla voce della luna,
la terra ti sostiene e ti consola.
Il vento porterà in alto i tuoi sogni.