Ricordi dal bel tempo

Mio nonno seduto al tavolo bianco del giardino, nelle mattine di tarda primavera, a pulire quelli che chiamavamo cornetti, i fagiolini verdi

Mia mamma mentre stira e alle sue spalle la radio che va, un pomeriggio qualunque di una stagione qualunque, il panno grosso e morbido con sopra il lenzuolo dove passa il ferro caldo e io di fronte che faccio i compiti

I giorni della magnolia in fiore

Andare sotto al grande pino, gigante buono e silenzioso, all’ombra dei suoi rami lunghi come braccia troppo lunghe, con i piedi sugli aghi secchi che ricoprono come un tappeto la nuda terra

I momenti felici sono istanti da tenere sul cuore, come i cieli azzurri d’estate capaci di nutrire lo spirito

I mobili delle stanze dell’infanzia, che tu ricordi così grandi e poi quando ci ritorni dopo anni scopri essere più piccoli e bassi

Le piastrelle verdi di quel bagno e le volte che il lavatoio veniva riempito di cozze da risciacquare prima della cottura, il sabato mattina

Il profumo della lavanda in quei piccoli sacchetti di stoffa ricamata

La polvere del borotalco sulla pelle e fra le dita dei piedi

La zia di un’amica e il suo budino al cioccolato nello stampo per la ciambella

Svegliarsi d’estate, con la luce che entra prepotente dalle fessure delle persiane di legno e il rumore di chi falcia i prati

Il profumo delle erbe selvatiche sotto al sole, il rosso dei papaveri, la menta e l’erba medica, la camomilla che cresceva in un’aia al sole per un paio di settimane

I dischetti di zucchero colorato nei piattini all’ingresso delle case delle nonne

La piccola fabbrica a conduzione familiare che cuciva ciabatte per grandi e piccoli, tutte dello stesso modello, in cuoio, o rosso o blu, quelle dei bambini con l’elastico dietro da mettere intorno al tallone

Il cappello rosso di lana che pizzicava

I boeri con la carta rossa e quei bon bon di cioccolato, avvolti ognuno in un colore differente, che un certo Natale iniziarono a comparire nei centrotavola

L’aria delle feste, un aroma che non si sa esattamente dove nasce, fra candele al profumo di frutti rossi, ascensori di parenti che si vedono una volta l’anno, pomeriggi subito bui, scale mobili e folla, tempo tutti insieme

Spiare l’inizio della neve che scende nella luce dei lampioni

Il momento in cui si tornano a mettere le sedie di vimini e i tavoli fuori, in giardino

I sedili di plastica beige della Renault 4 blu e la volta che il gelato ci cadde sopra

Il parco giochi dell’infanzia con la mamma, un ricordo lontanissimo, e poi rivederlo con gioia quando ci ritorni da grande con uno piccolo per mano

Un negozio che non c’è più dove accompagnavi il nonno a comperare il pane e il suo cappotto beige di camoscio, il momento in cui lui sta girato di schiena e tu con un dito lasci un segno scrivendo con un dito sul quel tessuto morbido, disegnare e cancellare

Il tè delle cinque dalla nonna, che non era tanto le cinque e non sempre era tè, ma era dopo la scuola e dopo il lavoro, ma soprattutto tutti insieme

Il mondo, il mondo del quartiere che una volta era molto più grande perché tu eri più piccola: la passeggiata del mattino con le sue case, alcune non ci sono più o sono diverse, e la strada che, ora lo sai, non era poi molta ma ci si metteva il tempo giusto per i passi di un bambino, dell’andare e del tornare, dell’incontrare, curiosare, chiacchierare

La bellezza dei giorni in cui non accade niente di speciale

I pomeriggi sulle scale fresche della cantina, a spulciare vecchi libri e giocare con i gessetti colorati sulla lavagnetta con la cornice di legno

I colori forti con mamma, pennarelli e scatole di cartone; le matite con papà che voleva insegnare a creare ombre con i pastelli

Le pannocchie di granturco nel campo di fianco al cancello della scuola elementare e la volta che le raccogliemmo per fare un lavoretto

Il senso di libertà dei sabati mattina

Libri per bambini sulla morte

Che cosa leggere insieme ai piccoli per affrontare il dolore del lutto e la paura della morte?

“L’isola del nonno” di Benji Davie

“L’anatra, la morte e il tulipano” di Wolf Erlbruch

“Ti voglio bene anche se…” di Debi Gliori

“Caro amico Orso” di Jane Chapman

“La storia della libellula coraggiosa” di Chiara Frugoni

“Oscar il gatto custode” di Chiara Valentina Segré

“L’albero dei ricordi” di Britta Teckentrup

“E se la morte fosse un bosco?” di Gabriele Ventura e Chiara Scardicchio con le illustrazioni di Hanieh Ghashghaei

“Sai chi sono io?” di Elisabeth Helland Larsen

“Gina e il pesce rosso” di Judith Koppens

“Il sentiero” di Marianne Dubuc

“Il cerchio della vita” di Harrie Jekkers e Koos Meinderts

“La nonna in cielo” di A. Lavatelli e D. Pintor

“Ho lasciato la mia anima al vento” di Roxane Marie Galliez

Per i genitori: riflettere e spiegare la morte ai bambini

“La morte spiegata ai bambini e anche agli adulti” di Jean-Jacques Charbonier

“Dialoghi con i bambini sulla morte. Le fantasie, i vissuti, le parole sul lutto e sui distacchi” di Daniel Oppenheim

Primi giorni di primavera

Un uccellino dal 21 marzo, primo giorno di primavera, gira per tutte le case e da due giorni ci sveglia battendo forte il becco sul vetro della finestrella accanto a noi. Tu ieri hai spalancato gli occhi e sei rimasto un po’ lì ad ascoltare il silenzio, che cos’è questo rumore? È di nuovo quell’uccellino che batte sul vetro. È un batticosa, nero e bianco, veloce, che si nasconde fra i comignoli e poi torna a volarci addosso.

All’improvviso i prati si sono ricoperti di primule gialle e qualche crocus, cresciuti a macchie qui e là, insieme a violette minuscole, più rare e dal colore intenso. Il rosmarino non è ancora sbocciato ma lo farà a breve, lo so e appariranno i suoi fiori azzurri mentre lentamente, giorno dopo giorno, svaniscono i bucaneve che mi lasciano con la malinconia di saperli attendere per il prossimo inverno e la gioia di una nuova stagione che si apre.

Abbiamo visto il primo albero in fiore, un pruno selvatico ricoperto di mille fiori rosa. Primavera, mi hai detto tu stamattina, in spalletta da dove guardavi il mondo.

Dopo 252 anni, 252, il Parlamento della Scozia abolisce la caccia alla volpe.

Perché tenerci stretta la malinconia

I paesaggi della malinconia sono come certe giornate d’autunno o di inizio primavera, quando la pioggia e il sole si scambiano di posto velocemente e l’aria è ancora fredda. La malinconia è dentro un tramonto, ma a volte anche dentro a certe albe seppur piene di luce e bellezza. Perché proprio con la luce e la bellezza si mescola l’ombra della malinconia: è nebbia, non di quelle dove non si vede nulla; assomiglia di più a quella foschia leggera che annebbia l’anima e i pensieri con un non so che dolciamaro. Sì, questa parola esiste, dolciamaro, e mi sembra bellissima perché unisce il dolce all’amaro, piacere e dolore insieme, l’ombra e la luce, allegria e tristezza, proprio come il sentimento complesso della malinconia.

Una decina di anni fa Justin Feinstein, dell’Università dello Iowa negli Stati Uniti, ha condotto una ricerca selezionando un gruppo di dieci persone, fra cui cinque affette da forme di amnesia antrograda a causa di danni all’ippocampo e alla memoria a breve termine, connessa con la memoria spaziale e con l’incapacità di formare nuovi ricordi. Alle persone sono state mostrati dei video con scene tratte da film emotivamente intensi: dopo la visione degli spezzoni i ricercatori hanno testato la “temperatura emotiva” e le reazioni dei soggetti coinvolti nell’esperimento. Il risultato? Le persone colpite da amnesia rimanevano tristi più a lungo rispetto agli altri, pur senza sapersi spiegare il motivo. L’esperimento è stato ripetuto con la visione di film allegri, tuttavia è stato registrato che nel primo caso la condizione di tristezza mostrava una lunghezza più importante.

Non è qualcosa a cui dovremmo fare molta più attenzione? A volte per superare brutti periodi, disavventure o momenti tristi vorremmo lasciarci tutto alle spalle con una scrollata di spalle. Pensiamo che resilienza sia andare avanti, sempre avanti eppure dimentichiamo una caratteristica fondamentale della resilienza (oltre all’ovvio fatto che noi esseri umani non siamo metalli): il ritorno alla forma originale dopo un urto o una sollecitazione presuppone comunque una deformazione, un cambiamento. Non torniamo mai le stesse persone che eravamo: ogni attimo ci trasforma, ogni passo dentro al viaggio del tempo. E non parliamo sempre e solo di traumi, parliamo di cicatrici e vita, cadute, ginocchia sbucciate, parliamo di salite e rincorse, discese a perdifiato, di tuffi e voli, del cuore in gola e dei sogni che abbiamo dentro.

Allora teniamocela stretta la malinconia, come piccole perle da infilare nelle collane del Tempo che passa e fluendo ci fa danzare come foglie al vento. Teniamoci stretti i giorni di nebbia e le piogge improvvise, quando stare a occhi aperti a sentire le gocce sul tetto e contare ogni istante, che poi finiranno per passare veloci anche quelli che sembrano immobili. Teniamoci stretti la luce opaca dei grigio e del bianco, di certe mattine del lunedì o di una domenica al rallentatore, fra divano e copertina. Sì, la malinconia sembra nutrirsi di un senso di immobilità, è la magia del Tempo che si ferma ma solo per un attimo. E per un attimo riporta istantanee che credevamo perdute, un profumo dimenticato, il gesto di una persona lontana da tanto, l’angolo di una stanza in cui siamo passati che ormai sono anni, come le targhette con scritto il cognome sulla porta di una casa abitata una vita fa, oggi scomparsa. Ecco, la malinconia è come un’onda e, quando abbiamo il coraggio di restare lì in attesa e chinarci in ginocchio davanti all’oceano del tempo, come per magia appaiono relitti che si pensavano scomparsi, la coscienza ce li restituisce e per un attimo sono di nuovo lì, a ricordarci, forse, la bellezza sublime dei valori in cui crediamo nascosti nei piccoli dettagli, quelli che ci fanno alzare ogni mattina. Questo sì, è importante: ricordare a noi stessi cos’è che ancora ci sveglia e ci riporta in vita.

Perdersi in Friuli Venezia Giulia

Camminare nell’area archeologica fra i boschi della Riserva naturale regionale dei laghi di Doberdò e Pietrarossa

Passo dopo passo per il centro di Trieste e guardare il mare lungo i camminamenti di ronda di San Giusto e dal Castello di Miramare

La passeggiata a picco sul mare da Sistiana a Duino sul golfo di Trieste lungo il sentiero Rilke

Il Lago di Cornino e la Riserva Naturale, dove scoprire le alghe azzurre, il progetto dell’avvoltoio Grifone e il ponte sospeso sulle rive del Tagliamento

Trekking lungo il sentiero naturalistico che si snoda alla scoperta della cascata Čukula, vicino al villaggio di Platischis e al confine con la Slovenia

I Laghi di Fusine nel comune di Tarvisio, Lago Superiore e Lago Inferiore, due piccoli laghi alpini nel Friuli a un passo dalla Slovenia e a uno dal confine con l’Austria

Il borgo marinaro di Muggia

Udine da Via Mercatovecchio  a Piazza Libertà e la Loggia del Lionello, il Castello, la Torre dell’Orologio e Piazza Matteotti, il salotto della città (nota anche con i nomi di Piazza San Giacomo, Piazza del Mercatonuovo o Piazza delle Erbe)

Una nuotata nel lago artificiale di Barcis, in provincia di Pordenone, al Lago di Cavazzo, balneabile, e fra le fredde acque del Lago del Predil, vicino al confine con la Slovenia

Picnic e canoa sul Lago di Sauris, artificiale, costruito su un paese oggi sommerso dove dal 1948 esiste la diga per la centrale idroelettrica

Perdersi in Veneto

Camminare lungo il camminamento di ronda della città medievale di Cittadella

Annusare piante e sprofondare fra i colori del Parco Giardino Sigurtà, a Valeggio sul Mincio

Per i sognatori con la testa fra le nuvole il Museo del Volo al Castello di San Pelagio in località Due Carrare in provincia di Padova

Perdersi (ovviamente) al labirinto dei Castelloni di San Marco

Viaggiare con la mente al Museo di Geografia di Padova

Esplorare le Grotte di Oliero alle pendici del massiccio dell’altopiano dei Sette Comuni in Valbrenta

La via dei Forti a Cavallino Treporti dove fra il 1845 e il 1917 vennero costruire fortificazioni militari che oggi rimangono a memoria del periodo della Grande Guerra

Tramonto al faro di Punta Sabbioni

A caccia di storia alle sorgenti valchiusane fra le acque del Brenta e del Livenza, e poi seguendo il viaggio del Timavo, che scorre fra Slovenia, Croazia e Italia

Lazise e la fortezza di Peschiera del Garda, dove inizia la pista ciclabile di 43,5 km lungo le alzaie del fiume Mincio, fino alla città lombarda di Mantova

In altalena al Parco delle Cascate di Molina, in provincia di Verona

Dentro alla storia del fiume Brenta al Museo Etnografico Canal di Brenta di Valstagna, dove fra i boschi dell’altopiano si coltivava tabacco, le vie del legno, i lanifici e la Grande Guerra del 1915-18

Sulle tracce dei Cimbri nell’Altopiano di Asiago, dove nel 1981 è stato scoperto il primo e più grande scheletro di Plesiosauria in Italia

Respirare la magia ancestrale della Terra nella grotta delle Torri di Slivia nel Carso Triestino

e poi….. chissà, forse continuare a perdersi in Friuli Venezia Giulia

Dedicato ai bambini

Insieme ai più piccoli esplorare il Parco degli Alberi Parlanti  a Treviso

Ai Pioppi, il parco giochi dove tutto funziona senza elettricità che Bruno Ferrin ha iniziato a costruire nel 1969

Con il naso fra i fossili al Museo di Storia Naturale di Venezia e alla scoperta degli insetti con i bambini all’Esapolis di Padova

Vietato non toccare al Children’s Museum di Verona

Spiegare la Pasqua ai bambini

Il seme sembrava morto nella terra, invece guarda che meraviglia: è (ri)nato, anche quest’anno. Ci vuole coraggio, il coraggio dei sogni, per ricordarci che rischiare, e persino morire, non sempre è la fine di tutto. Anzi, è sempre dalla fine di qualcosa che nasce ogni nuovo inizio.

Quando ero una bambina la maestra di nonsopiùcosa in classe aveva spiegato che gli uomini primitivi non avevano affatto idea di cosa ci fosse dopo la morte o che si potesse immaginare un’altra esistenza, solo con il cristianesimo questo fu insegnato grazie alla figura di Gesù. Davvero questi esseri umani antichi non ebbero alcuna idea riguardo la morte? E allora quand’è che nella storia compare il concetto di “reincarnazione”? Io, già allora con la testa eternamente fra le nuvole, mi facevo queste domande e, a dire il vero, la spiegazione ricevuta mi sembrò subito stranissima. Manciate di anni dopo e pagine dei libri sfogliati e esami universitari fatti, mi sono accorta che i miei dubbi avevano un’ottima ragione d’essere. Le religioni sono incredibilmente più mescolate e sfaccettate di così, anche se ancora oggi in molti non lo credono, non lo sanno o semplicemente non ci vogliono far caso. Non solo: nulla, proprio nulla ancora oggi possiamo dire su quegli uomini, quelle donne e quei bambini di un tempo, un tempo così lontano che si perde nel vortice dei numeri. Non possiamo dire nulla perché non abbiamo le loro parole e i pensieri che li hanno attraversati rimarranno un mistero che si è perso fra le foglie di foreste ormai scomparse e il vento della storia. Possiamo solo immaginarli, in piedi, davanti alla notte a scrutare le stelle e il blu inchiostro dove affonda la luna, come noi secoli dopo ancora facciamo. Di se stessi e del loro passaggio sulla Terra hanno lasciato un’impronta lieve, come le mani e le figure disegnate nelle grotte di tanti luoghi d’Europa dove ancora si conservano, al riparo dalla luce. Non sapremo mai che cosa sognavano, quale messaggio avrebbero voluto lasciare; non conosceremo le loro vite, né le gioie e le paure. Eppure, da soli, in silenzio davanti alla notte anche noi sperimentiamo lo stesso senso di grandiosa bellezza e insieme un filo di spavento dentro all’immenso che, anche stasera, rimane ignoto, misteriosamente e irrevocabilmente sconosciuto. Io me li sento vicini questi donne, uomini e bambini di un tempo, un tempo che forse in fondo al cuore non è così distante perché sono sicura che se ci potessimo guardare negli occhi ritroveremmo uno sguardo di una scintilla comune. Io so che quegli uomini e quelle donne erano molto più vicini alla morte di quanto noi stessi lo siamo: combattevano l’inverno, il gelo, la fame perenne. Tu pensa il sole all’improvviso più caldo, i rami che si ricoprono della dolcezza dei fiori; tu senti sulla pelle il calore del gelo che si scioglie e immagina lo stupore di ritrovare piante e fiori dove poco fa c’era neve e fango. Forse è proprio da qui che nasce la prima meraviglia: la consapevolezza che dopo la morte c’è vita di nuovo e non si tratta di congetture o metafisica. In natura la vita dopo la morte accade ogni anno, quando la primavera arriva dopo l’inverno. Perché questo preambolo? Per dire che non sempre bisogna credere ai grandi solo perché sono grandi. A volte, anche gli adulti sbagliano. Sbagliano gli scienziati e lo sanno, anzi sono sempre pronti a imparare dagli errori perché la base della scienza è proprio questa: osservare, fare ipotesi e poi confrontarsi con ciò che accade. Sbagliando abbiamo imparato tantissimo; abbiamo fatto scoperte incredibili e ogni giorno continuiamo a scoprire cose nuove esplorando. Quindi tu non smettere di farti domande e non credere mai quando qualcuno ti dice “le cose stanno così”.

Il significato della parola “Pasqua”

La parola Pasqua ha un senso bellissimo: viene dal greco e prima ancora dalla lingua aramaica. Significa “passaggio”, passare oltre. Il passaggio è stato storico, ha avuto un’esistenza geografica e sociale quando il popolo ebraico decide di opporsi alla schiavitù e infine riesce a partire, in una notte, e abbandonare l’Egitto passando attraverso il Mar Rosso prodigiosamente aperto. Il passaggio è personale, del corpo e dell’anima, diventa scelta politica, quando Gesù, che secondo diversi studiosi è figura storicamente esistita, vive la morte per celebrare la vita e contrapporsi alla morte in vita. In fondo, Gesù è un ribelle. Adesso immagina un posto come la Palestina, dove c’è il deserto e si innalzano le montagne; un posto dove la sera illumina un paesaggio fatto di piccoli villaggi fra i pendii ricoperti di ulivi e alberi da frutto. Ma aleggia la guerra, l’occupazione dell’antica Roma, allora potenza invincibile, e il senso soffocante di una società rigidamente schierata in cui donne e uomini sono profondamente divisi; uomini ricchi e sapienti da una parte, persone umili dall’altra. Gesù è nominato sia nel libro sacro alla religione ebraica, la Torah, sia nel Corano; entrambi lo definiscono un saggio profeta e se profeta è uno che sa vedere il futuro, allora si può immaginare la potenza del cambiamento di un visionario ribelle che all’improvviso, a quel vecchio mondo, inizia a dire una sola parola ma fondamentale: amore. Amore, la legge che tutto muove. L’amor che move il sole e l’altre stelle, scriverà secoli dopo Dante Alighieri, quando amore non sarà più parola proibita. In fondo, la primavera e la libertà condividono molto, la stessa aria di dolcezza di quando, dopo il gelo che ti blocca, finalmente si aprono i polmoni e riesci a respirare liberamente. La prima volta che respiri, dopo una dittatura, è come una boccata d’aria pura, di ossigeno e sole, dopo il ghiaccio dell’inverno. Ti sembra di vivere per la prima volta, rinascere se è possibile. La primavera tornerà, le primavere dell’anima tornano sempre, ancora e ancora: i sognatori lo sanno.

Le feste di primavera nel mondo

In Iran si festeggia Nowruz, il capodanno persiano, una delle feste più antiche. La parola nowruz significa “giorno nuovo” e questa festività ricorre fra il 20 e il 22 marzo, proprio i giorni in cui, dall’altra parte del Mediterraneo si festeggia l’inizio di primavera, che coincide con l’equinozio. La parola equinozio viene dalla lingua latina, equus, equo, infatti segna un cambiamento nel ciclo del tempo: si verifica quando la durata del giorno e della notte è all’incirca uguale, ovvero dodici ore ciascuno (guarda un po’, anche lo stesso numero degli apostoli). In India, dove si segue un calendario lunare come nel mondo arabo, nei giorni intorno al 18 marzo si celebra Holi, la festa dei colori, che inizia la notte prima, quando intorno al fuoco si ricorda il momento in cui venne sconfitto il demone Holika Dahana, che brucia nelle fiamme. In coincidenza con la festa cristiana di Pasqua in Thailandia a metà aprile c’è Songkran, il 13 aprile, una festa estremamente in cui ognuno è invitato a uscire per strada e ci si bagna reciprocamente, facendo vere e proprie guerre d’acqua con ogni mezzo, da pistole ad acqua a secchiate, a ogni età. Songkran è la festa per l’inizio del Nuovo Anno.

Il nuovo anno. Dall’altra parte del Mare Nostrum, il Mediterraneo, i popoli del Medio Oriente e dell’Estremo Oriente festeggiano l’inizio del nuovo anno tra la fine di gennaio e marzo. Anche per i popoli antichi era così. Il nostro Natale, vicino ai giorni del solstizio d’inverno, segna il periodo più buio e freddo dell’anno, soprattutto fra le montagne europee. Ma il punto più oscuro dell’anno segna anche il momento in cui, lentamente, la luce torna ad aumentare. Fra il mese di febbraio e marzo la terra è ricoperta dalle ultime nevicate, il sole diventa ogni giorno più forte e caldo. Vento e luce scioglieranno le ultime nevi: sotto, la terra fredda nasconde i semi caduti in autunno o seminati alla fine dell’estate; sono già lì, rimasti addormentati per mesi, al buio nell’incubatrice naturale di una pancia cosmica che li ha protetti e cullati per tutto l’inverno, nell’attesa delle condizioni giuste. Adesso è il momento di sbocciare.

Il senso della primavera in natura

Basta l’arrivo dei primi giorni di sole ed ecco che in un attimo sui prati compaiono i fiori di primavera più coraggiosi: primule (non ha caso chiamate così perché sono fra le prime a comparire), violette, crocus bianchi e viola, bucaneve, margheritine. I rami si ricoprono di gemme che fra un paio di mesi porteranno la meraviglia dello spettacolo profumato dei ciliegi in fiore, in Giappone chiamato sakura, insieme alla fioritura dei meli selvatici, peschi e peri, o i cespugli come il biancospino. Fra le spine delle rose si intravedono già i nuovi butti,a breve si trasformeranno in boccioli.

La primavera è il momento in cui si nasce. Nella natura accade ancora così, ogni anno si rinnova il tempo del nuovo, proprio come il nuovo anno che anche noi, nelle società umane, desideriamo ricordare e celebrare. Nell’aria tornano a volare coccinelle, api e qualche mosca vagabonda. Nei boschi a breve nasceranno i piccoli cerbiatti e i caprioli; nelle stalle questo è il tempo dei giovani vitellini e capretti. Si nasce quando ci sono più probabilità per sopravvivere e per l’estate si sarà già sufficientemente forti per essere indipendenti. Madre Natura insegna che nulla è per caso. La vita cerca e insegna la vita. Grazie alle piogge primaverile, che ogni tanto si trasformano in acquazzoni tempestosi, la terra riceve nutrimento e in un attimo, non appena ricompare il sole, il bosco si accende di una tonalità di verde unica, ricco di clorofilla e vibrante del nuovo fogliame che nel giro di qualche settimana ricoprirà gli alberi.

Un tempo, nelle campagne italiane così come in molti altri luoghi d’Europa, si accendevano i falò. Talvolta i fuochi venivano accesi in gennaio, oppure in maggio o in giugno a seconda del posto e della tradizione a cui era legato. Accendere i falò era un’antica usanza contadina e aveva anche un risvolto pratico perché serviva a ripulire la terra, senza contare la funzione della cenere che, grazie ai microelementi come magnesio, calcio e rame, fa da concime e fertilizzante naturale. Sembra che il rito dei falò, che oggi rimane in alcuni luoghi come la festa dei Falò di Rocca San Casciano in Emilia Romagna, si perda nella notte dei tempi e arrivi fino agli antichi Liguri, i Longobardi e i Celti.

Esercizio di immaginazione

Scende la sera, la giornata sta finendo. Ora pensa a un mondo molto più buio del nostro: un mondo senza elettricità, in cui il freddo è molto più freddo di ora, senza comodità, e la notte infinitamente più lunga. Adesso immagina l’inverno, con il freddo sulle mani e nell’anima, un lungo inverno che sembra non passare mai; la fame, le giornate che finiscono in fretta, l’immobilità. Ora il buio di un’intera vallata di colpo si anima con la fiamma di tantissimi piccoli fuochi, falò disseminati ovunque che fanno sorridere. Falò intorno a cui prendersi per mano, ballare, tornare a sognare e iniziare a innamorarsi. Piano piano torna la luce, ogni giorno di più e il primo giorno in cui si sente di nuovo il sole sulla pelle è una festa davvero. I prati producono nuove erbe da mangiare; gli uccelli selvatici e le galline, che durante l’inverno sono in ferma, tornano a fare le uova. L’aria si riempie di nuovi profumi.

Antiche storie sulla creazione

Il buio, il fuoco. L’acqua, come la festa thailandese di Songkran. In modo diverso, i popoli del mondo celebrano la luce che torna a far vivere la natura e le speranze. Che di questo ha bisogno la vita qui sulla Terra per continuare: luce, fotosintesi, acqua e aria. L’uovo, simbolo ancestrale, non solo ricorda il periodo dell’anno in cui le risorse naturali tornano ad abbondare e nascono i nuovi nati. L’uovo cosmico, associato al mistero della creazione, celebra l’esistenza che è e sempre sarà, il mistero racchiuso all’interno che si apre al mondo, l’istante del miracolo in cui la Vita torna magicamente a fluire. Nell’antico Egitto il dio della Terra, Geb (maschile!), sposo di Nut, dea del Cielo (femminile!), era rappresentato con un’oca sul copricapo, mentre in India Brahma nasce da un uovo cosmico da cui ha origine tutto il mondo. In quanti modi noi, come umanità, abbiamo immaginato la creazione: tu quante storie conosci sulla creazione? Se ci fermassimo solo un attimo potremmo forse scoprire che ogni racconto è immerso in un’atmosfera tutta sua: ha coordinate geografiche e spaziali diverse. Immagina di essere una donna o un uomo di millenni fa, senza internet né libri, e provare a spiegare il mondo, a te o a un bambino: quante incredibili storie abbiamo saputo vedere osservando la natura misteriosa del pianeta.

A proposito della mitologia indiana, anche qui, dall’altra parte rispetto al nostro mondo, esiste una trinità: si tratta di Brahma, Visnu e Shiva, che corrispondono a tre aspetti differenti del divino. Brahma è considerato il creatore, Visnu il dio e il principio conservatore che mantiene inalterato l’ordine del mondo e Shiva il distruttore. In un certo senso, fanno venire in mente anche il grande ordine del tempo, che noi scandiamo in passato, presente e futuro. Secondo alcune fonti sembra che Gesù abbia viaggiato fino in India negli anni in cui non si ha notizia di lui,  e che in alcuni monasteri della città santa di Lhasa, per secoli inaccessibile, sia rimasta testimonianza del suo passaggio. Nessuno saprà fino in fondo ciò che è stato della sua esistenza e come avrebbe voluto tramandare i suoi insegnamenti, eppure forse la sua lezione principale resta questa: se ci guardiamo intorno c’è un’unica grande Storia di cui continua a parlare il mondo; la racconta la terra, con le sue trasformazioni e le stagioni , la raccontano i fiori e gli uccelli che ritornano dalle migrazioni invernali per tornare a fare i nidi e deporre uova che porteranno a nuove generazioni.

Anche gli esseri umani, da una parte all’altra del globo, osservano e continuano a celebrare la vita, in modi diversi che ciò nonostante contengono un filo colorato. Lo vediamo quel filo: è sottile e colorato come quello di un aquilone pronto a lanciarsi nel cielo blu al soffio del vento di primavera, è la magia della Vita che ritorna, ancora e ancora, anno dopo anno, a rinnovare il patto e ricordarci che siamo vivi. Il seme sembrava morto nella terra, invece guarda che meraviglia: è (ri)nato, anche quest’anno. Ci vuole coraggio, il coraggio dei sogni, per ricordarci che rischiare, e persino morire, non sempre è la fine di tutto. Anzi, è sempre dalla fine di qualcosa che nasce ogni nuovo inizio, in fondo la morte è lo spazio di silenzio e calma, la stasi, di cui c’è bisogno affinché fra una pausa e l’altra si possa scrivere il ritmo di una nuova musica.