Il seme sembrava morto nella terra, invece guarda che meraviglia: è (ri)nato, anche quest’anno. Ci vuole coraggio, il coraggio dei sogni, per ricordarci che rischiare, e persino morire, non sempre è la fine di tutto. Anzi, è sempre dalla fine di qualcosa che nasce ogni nuovo inizio.
Quando ero una bambina la maestra di nonsopiùcosa in classe aveva spiegato che gli uomini primitivi non avevano affatto idea di cosa ci fosse dopo la morte o che si potesse immaginare un’altra esistenza, solo con il cristianesimo questo fu insegnato grazie alla figura di Gesù. Davvero questi esseri umani antichi non ebbero alcuna idea riguardo la morte? E allora quand’è che nella storia compare il concetto di “reincarnazione”? Io, già allora con la testa eternamente fra le nuvole, mi facevo queste domande e, a dire il vero, la spiegazione ricevuta mi sembrò subito stranissima. Manciate di anni dopo e pagine dei libri sfogliati e esami universitari fatti, mi sono accorta che i miei dubbi avevano un’ottima ragione d’essere. Le religioni sono incredibilmente più mescolate e sfaccettate di così, anche se ancora oggi in molti non lo credono, non lo sanno o semplicemente non ci vogliono far caso. Non solo: nulla, proprio nulla ancora oggi possiamo dire su quegli uomini, quelle donne e quei bambini di un tempo, un tempo così lontano che si perde nel vortice dei numeri. Non possiamo dire nulla perché non abbiamo le loro parole e i pensieri che li hanno attraversati rimarranno un mistero che si è perso fra le foglie di foreste ormai scomparse e il vento della storia. Possiamo solo immaginarli, in piedi, davanti alla notte a scrutare le stelle e il blu inchiostro dove affonda la luna, come noi secoli dopo ancora facciamo. Di se stessi e del loro passaggio sulla Terra hanno lasciato un’impronta lieve, come le mani e le figure disegnate nelle grotte di tanti luoghi d’Europa dove ancora si conservano, al riparo dalla luce. Non sapremo mai che cosa sognavano, quale messaggio avrebbero voluto lasciare; non conosceremo le loro vite, né le gioie e le paure. Eppure, da soli, in silenzio davanti alla notte anche noi sperimentiamo lo stesso senso di grandiosa bellezza e insieme un filo di spavento dentro all’immenso che, anche stasera, rimane ignoto, misteriosamente e irrevocabilmente sconosciuto. Io me li sento vicini questi donne, uomini e bambini di un tempo, un tempo che forse in fondo al cuore non è così distante perché sono sicura che se ci potessimo guardare negli occhi ritroveremmo uno sguardo di una scintilla comune. Io so che quegli uomini e quelle donne erano molto più vicini alla morte di quanto noi stessi lo siamo: combattevano l’inverno, il gelo, la fame perenne. Tu pensa il sole all’improvviso più caldo, i rami che si ricoprono della dolcezza dei fiori; tu senti sulla pelle il calore del gelo che si scioglie e immagina lo stupore di ritrovare piante e fiori dove poco fa c’era neve e fango. Forse è proprio da qui che nasce la prima meraviglia: la consapevolezza che dopo la morte c’è vita di nuovo e non si tratta di congetture o metafisica. In natura la vita dopo la morte accade ogni anno, quando la primavera arriva dopo l’inverno. Perché questo preambolo? Per dire che non sempre bisogna credere ai grandi solo perché sono grandi. A volte, anche gli adulti sbagliano. Sbagliano gli scienziati e lo sanno, anzi sono sempre pronti a imparare dagli errori perché la base della scienza è proprio questa: osservare, fare ipotesi e poi confrontarsi con ciò che accade. Sbagliando abbiamo imparato tantissimo; abbiamo fatto scoperte incredibili e ogni giorno continuiamo a scoprire cose nuove esplorando. Quindi tu non smettere di farti domande e non credere mai quando qualcuno ti dice “le cose stanno così”.
Il significato della parola “Pasqua”
La parola Pasqua ha un senso bellissimo: viene dal greco e prima ancora dalla lingua aramaica. Significa “passaggio”, passare oltre. Il passaggio è stato storico, ha avuto un’esistenza geografica e sociale quando il popolo ebraico decide di opporsi alla schiavitù e infine riesce a partire, in una notte, e abbandonare l’Egitto passando attraverso il Mar Rosso prodigiosamente aperto. Il passaggio è personale, del corpo e dell’anima, diventa scelta politica, quando Gesù, che secondo diversi studiosi è figura storicamente esistita, vive la morte per celebrare la vita e contrapporsi alla morte in vita. In fondo, Gesù è un ribelle. Adesso immagina un posto come la Palestina, dove c’è il deserto e si innalzano le montagne; un posto dove la sera illumina un paesaggio fatto di piccoli villaggi fra i pendii ricoperti di ulivi e alberi da frutto. Ma aleggia la guerra, l’occupazione dell’antica Roma, allora potenza invincibile, e il senso soffocante di una società rigidamente schierata in cui donne e uomini sono profondamente divisi; uomini ricchi e sapienti da una parte, persone umili dall’altra. Gesù è nominato sia nel libro sacro alla religione ebraica, la Torah, sia nel Corano; entrambi lo definiscono un saggio profeta e se profeta è uno che sa vedere il futuro, allora si può immaginare la potenza del cambiamento di un visionario ribelle che all’improvviso, a quel vecchio mondo, inizia a dire una sola parola ma fondamentale: amore. Amore, la legge che tutto muove. L’amor che move il sole e l’altre stelle, scriverà secoli dopo Dante Alighieri, quando amore non sarà più parola proibita. In fondo, la primavera e la libertà condividono molto, la stessa aria di dolcezza di quando, dopo il gelo che ti blocca, finalmente si aprono i polmoni e riesci a respirare liberamente. La prima volta che respiri, dopo una dittatura, è come una boccata d’aria pura, di ossigeno e sole, dopo il ghiaccio dell’inverno. Ti sembra di vivere per la prima volta, rinascere se è possibile. La primavera tornerà, le primavere dell’anima tornano sempre, ancora e ancora: i sognatori lo sanno.
Le feste di primavera nel mondo
In Iran si festeggia Nowruz, il capodanno persiano, una delle feste più antiche. La parola nowruz significa “giorno nuovo” e questa festività ricorre fra il 20 e il 22 marzo, proprio i giorni in cui, dall’altra parte del Mediterraneo si festeggia l’inizio di primavera, che coincide con l’equinozio. La parola equinozio viene dalla lingua latina, equus, equo, infatti segna un cambiamento nel ciclo del tempo: si verifica quando la durata del giorno e della notte è all’incirca uguale, ovvero dodici ore ciascuno (guarda un po’, anche lo stesso numero degli apostoli). In India, dove si segue un calendario lunare come nel mondo arabo, nei giorni intorno al 18 marzo si celebra Holi, la festa dei colori, che inizia la notte prima, quando intorno al fuoco si ricorda il momento in cui venne sconfitto il demone Holika Dahana, che brucia nelle fiamme. In coincidenza con la festa cristiana di Pasqua in Thailandia a metà aprile c’è Songkran, il 13 aprile, una festa estremamente in cui ognuno è invitato a uscire per strada e ci si bagna reciprocamente, facendo vere e proprie guerre d’acqua con ogni mezzo, da pistole ad acqua a secchiate, a ogni età. Songkran è la festa per l’inizio del Nuovo Anno.
Il nuovo anno. Dall’altra parte del Mare Nostrum, il Mediterraneo, i popoli del Medio Oriente e dell’Estremo Oriente festeggiano l’inizio del nuovo anno tra la fine di gennaio e marzo. Anche per i popoli antichi era così. Il nostro Natale, vicino ai giorni del solstizio d’inverno, segna il periodo più buio e freddo dell’anno, soprattutto fra le montagne europee. Ma il punto più oscuro dell’anno segna anche il momento in cui, lentamente, la luce torna ad aumentare. Fra il mese di febbraio e marzo la terra è ricoperta dalle ultime nevicate, il sole diventa ogni giorno più forte e caldo. Vento e luce scioglieranno le ultime nevi: sotto, la terra fredda nasconde i semi caduti in autunno o seminati alla fine dell’estate; sono già lì, rimasti addormentati per mesi, al buio nell’incubatrice naturale di una pancia cosmica che li ha protetti e cullati per tutto l’inverno, nell’attesa delle condizioni giuste. Adesso è il momento di sbocciare.
Il senso della primavera in natura
Basta l’arrivo dei primi giorni di sole ed ecco che in un attimo sui prati compaiono i fiori di primavera più coraggiosi: primule (non ha caso chiamate così perché sono fra le prime a comparire), violette, crocus bianchi e viola, bucaneve, margheritine. I rami si ricoprono di gemme che fra un paio di mesi porteranno la meraviglia dello spettacolo profumato dei ciliegi in fiore, in Giappone chiamato sakura, insieme alla fioritura dei meli selvatici, peschi e peri, o i cespugli come il biancospino. Fra le spine delle rose si intravedono già i nuovi butti,a breve si trasformeranno in boccioli.
La primavera è il momento in cui si nasce. Nella natura accade ancora così, ogni anno si rinnova il tempo del nuovo, proprio come il nuovo anno che anche noi, nelle società umane, desideriamo ricordare e celebrare. Nell’aria tornano a volare coccinelle, api e qualche mosca vagabonda. Nei boschi a breve nasceranno i piccoli cerbiatti e i caprioli; nelle stalle questo è il tempo dei giovani vitellini e capretti. Si nasce quando ci sono più probabilità per sopravvivere e per l’estate si sarà già sufficientemente forti per essere indipendenti. Madre Natura insegna che nulla è per caso. La vita cerca e insegna la vita. Grazie alle piogge primaverile, che ogni tanto si trasformano in acquazzoni tempestosi, la terra riceve nutrimento e in un attimo, non appena ricompare il sole, il bosco si accende di una tonalità di verde unica, ricco di clorofilla e vibrante del nuovo fogliame che nel giro di qualche settimana ricoprirà gli alberi.
Un tempo, nelle campagne italiane così come in molti altri luoghi d’Europa, si accendevano i falò. Talvolta i fuochi venivano accesi in gennaio, oppure in maggio o in giugno a seconda del posto e della tradizione a cui era legato. Accendere i falò era un’antica usanza contadina e aveva anche un risvolto pratico perché serviva a ripulire la terra, senza contare la funzione della cenere che, grazie ai microelementi come magnesio, calcio e rame, fa da concime e fertilizzante naturale. Sembra che il rito dei falò, che oggi rimane in alcuni luoghi come la festa dei Falò di Rocca San Casciano in Emilia Romagna, si perda nella notte dei tempi e arrivi fino agli antichi Liguri, i Longobardi e i Celti.
Esercizio di immaginazione
Scende la sera, la giornata sta finendo. Ora pensa a un mondo molto più buio del nostro: un mondo senza elettricità, in cui il freddo è molto più freddo di ora, senza comodità, e la notte infinitamente più lunga. Adesso immagina l’inverno, con il freddo sulle mani e nell’anima, un lungo inverno che sembra non passare mai; la fame, le giornate che finiscono in fretta, l’immobilità. Ora il buio di un’intera vallata di colpo si anima con la fiamma di tantissimi piccoli fuochi, falò disseminati ovunque che fanno sorridere. Falò intorno a cui prendersi per mano, ballare, tornare a sognare e iniziare a innamorarsi. Piano piano torna la luce, ogni giorno di più e il primo giorno in cui si sente di nuovo il sole sulla pelle è una festa davvero. I prati producono nuove erbe da mangiare; gli uccelli selvatici e le galline, che durante l’inverno sono in ferma, tornano a fare le uova. L’aria si riempie di nuovi profumi.
Antiche storie sulla creazione
Il buio, il fuoco. L’acqua, come la festa thailandese di Songkran. In modo diverso, i popoli del mondo celebrano la luce che torna a far vivere la natura e le speranze. Che di questo ha bisogno la vita qui sulla Terra per continuare: luce, fotosintesi, acqua e aria. L’uovo, simbolo ancestrale, non solo ricorda il periodo dell’anno in cui le risorse naturali tornano ad abbondare e nascono i nuovi nati. L’uovo cosmico, associato al mistero della creazione, celebra l’esistenza che è e sempre sarà, il mistero racchiuso all’interno che si apre al mondo, l’istante del miracolo in cui la Vita torna magicamente a fluire. Nell’antico Egitto il dio della Terra, Geb (maschile!), sposo di Nut, dea del Cielo (femminile!), era rappresentato con un’oca sul copricapo, mentre in India Brahma nasce da un uovo cosmico da cui ha origine tutto il mondo. In quanti modi noi, come umanità, abbiamo immaginato la creazione: tu quante storie conosci sulla creazione? Se ci fermassimo solo un attimo potremmo forse scoprire che ogni racconto è immerso in un’atmosfera tutta sua: ha coordinate geografiche e spaziali diverse. Immagina di essere una donna o un uomo di millenni fa, senza internet né libri, e provare a spiegare il mondo, a te o a un bambino: quante incredibili storie abbiamo saputo vedere osservando la natura misteriosa del pianeta.
A proposito della mitologia indiana, anche qui, dall’altra parte rispetto al nostro mondo, esiste una trinità: si tratta di Brahma, Visnu e Shiva, che corrispondono a tre aspetti differenti del divino. Brahma è considerato il creatore, Visnu il dio e il principio conservatore che mantiene inalterato l’ordine del mondo e Shiva il distruttore. In un certo senso, fanno venire in mente anche il grande ordine del tempo, che noi scandiamo in passato, presente e futuro. Secondo alcune fonti sembra che Gesù abbia viaggiato fino in India negli anni in cui non si ha notizia di lui, e che in alcuni monasteri della città santa di Lhasa, per secoli inaccessibile, sia rimasta testimonianza del suo passaggio. Nessuno saprà fino in fondo ciò che è stato della sua esistenza e come avrebbe voluto tramandare i suoi insegnamenti, eppure forse la sua lezione principale resta questa: se ci guardiamo intorno c’è un’unica grande Storia di cui continua a parlare il mondo; la racconta la terra, con le sue trasformazioni e le stagioni , la raccontano i fiori e gli uccelli che ritornano dalle migrazioni invernali per tornare a fare i nidi e deporre uova che porteranno a nuove generazioni.
Anche gli esseri umani, da una parte all’altra del globo, osservano e continuano a celebrare la vita, in modi diversi che ciò nonostante contengono un filo colorato. Lo vediamo quel filo: è sottile e colorato come quello di un aquilone pronto a lanciarsi nel cielo blu al soffio del vento di primavera, è la magia della Vita che ritorna, ancora e ancora, anno dopo anno, a rinnovare il patto e ricordarci che siamo vivi. Il seme sembrava morto nella terra, invece guarda che meraviglia: è (ri)nato, anche quest’anno. Ci vuole coraggio, il coraggio dei sogni, per ricordarci che rischiare, e persino morire, non sempre è la fine di tutto. Anzi, è sempre dalla fine di qualcosa che nasce ogni nuovo inizio, in fondo la morte è lo spazio di silenzio e calma, la stasi, di cui c’è bisogno affinché fra una pausa e l’altra si possa scrivere il ritmo di una nuova musica.