Mio nonno seduto al tavolo bianco del giardino, nelle mattine di tarda primavera, a pulire quelli che chiamavamo cornetti, i fagiolini verdi
Mia mamma mentre stira e alle sue spalle la radio che va, un pomeriggio qualunque di una stagione qualunque, il panno grosso e morbido con sopra il lenzuolo dove passa il ferro caldo e io di fronte che faccio i compiti
I giorni della magnolia in fiore
Andare sotto al grande pino, gigante buono e silenzioso, all’ombra dei suoi rami lunghi come braccia troppo lunghe, con i piedi sugli aghi secchi che ricoprono come un tappeto la nuda terra
I momenti felici sono istanti da tenere sul cuore, come i cieli azzurri d’estate capaci di nutrire lo spirito
I mobili delle stanze dell’infanzia, che tu ricordi così grandi e poi quando ci ritorni dopo anni scopri essere più piccoli e bassi
Le piastrelle verdi di quel bagno e le volte che il lavatoio veniva riempito di cozze da risciacquare prima della cottura, il sabato mattina
Il profumo della lavanda in quei piccoli sacchetti di stoffa ricamata
La polvere del borotalco sulla pelle e fra le dita dei piedi
La zia di un’amica e il suo budino al cioccolato nello stampo per la ciambella
Svegliarsi d’estate, con la luce che entra prepotente dalle fessure delle persiane di legno e il rumore di chi falcia i prati
Il profumo delle erbe selvatiche sotto al sole, il rosso dei papaveri, la menta e l’erba medica, la camomilla che cresceva in un’aia al sole per un paio di settimane
I dischetti di zucchero colorato nei piattini all’ingresso delle case delle nonne
La piccola fabbrica a conduzione familiare che cuciva ciabatte per grandi e piccoli, tutte dello stesso modello, in cuoio, o rosso o blu, quelle dei bambini con l’elastico dietro da mettere intorno al tallone
Il cappello rosso di lana che pizzicava
I boeri con la carta rossa e quei bon bon di cioccolato, avvolti ognuno in un colore differente, che un certo Natale iniziarono a comparire nei centrotavola
L’aria delle feste, un aroma che non si sa esattamente dove nasce, fra candele al profumo di frutti rossi, ascensori di parenti che si vedono una volta l’anno, pomeriggi subito bui, scale mobili e folla, tempo tutti insieme
Spiare l’inizio della neve che scende nella luce dei lampioni
Il momento in cui si tornano a mettere le sedie di vimini e i tavoli fuori, in giardino
I sedili di plastica beige della Renault 4 blu e la volta che il gelato ci cadde sopra
Il parco giochi dell’infanzia con la mamma, un ricordo lontanissimo, e poi rivederlo con gioia quando ci ritorni da grande con uno piccolo per mano
Un negozio che non c’è più dove accompagnavi il nonno a comperare il pane e il suo cappotto beige di camoscio, il momento in cui lui sta girato di schiena e tu con un dito lasci un segno scrivendo con un dito sul quel tessuto morbido, disegnare e cancellare
Il tè delle cinque dalla nonna, che non era tanto le cinque e non sempre era tè, ma era dopo la scuola e dopo il lavoro, ma soprattutto tutti insieme
Il mondo, il mondo del quartiere che una volta era molto più grande perché tu eri più piccola: la passeggiata del mattino con le sue case, alcune non ci sono più o sono diverse, e la strada che, ora lo sai, non era poi molta ma ci si metteva il tempo giusto per i passi di un bambino, dell’andare e del tornare, dell’incontrare, curiosare, chiacchierare
La bellezza dei giorni in cui non accade niente di speciale
I pomeriggi sulle scale fresche della cantina, a spulciare vecchi libri e giocare con i gessetti colorati sulla lavagnetta con la cornice di legno
I colori forti con mamma, pennarelli e scatole di cartone; le matite con papà che voleva insegnare a creare ombre con i pastelli
Le pannocchie di granturco nel campo di fianco al cancello della scuola elementare e la volta che le raccogliemmo per fare un lavoretto
Il senso di libertà dei sabati mattina