Come ci si sente ad andare in pezzi?

Si è rotta la tazza preferita di Tito, ormai da un po’

 〰️ Papà saprà aggiustarla

Sì, in effetti -ovviamente- papà aggiusta tutto l’ha rimessa insieme o, come diceva mia nonna in una bellissima espressione di una volta, “accomodata”. 

La tazza è stata riparata mettendo al loro posto i pezzi con la colla, ma dentro non ci si poteva più bere. Che cosa ci possiamo fare, allora? Per esempio, potremmo metterci un fiore.

〰️Lo voglio rosa. Solo rosa.

Così, si è dovuto attendere. Attendere fino a che il fiore non fosse venuto a trovarci, un bel fiore rosa che l’altro giorno abbiamo trovato da Grazia nel suo bel giardino. Tito insieme a lei lo ha scalzato dalla terra e ha imparato a prendere la quantità sufficiente di radici. Poi lo abbiamo portato a casa e piantato al tramonto, ora è già lì che spunta, rosa come una promessa bella, come l’alba che ri/nasce.

Ecco, c’è una cosa di cui non parliamo spesso. Da anni una delle parole che pronunciamo di più è la parola “resilienza”. Immaginiamo la resilienza come una palla che rimbalza. Evento dopo evento, continuiamo a rimbalzare contro il mondo e noi stessi, colpo su colpo, sbattendo la testa contro il muro. Senza arrendersi, senza demordere.

Sì e no. Perché noi non siamo materiali di ferro o gomma. Siamo fatti di pelle, muscoli, ossa, emozioni e pensieri. Ci sono parti che guariscono più fretta e altre, invisibili, che non guariranno mai. Questo è quello che dico al viaggiatore intergalattico: qui su questo pianeta dove sei capitato non tutto si aggiusta. Si rompono le belle amicizie, i grandi amori, le ossa, le speranze e non sempre si trova si trova il modo per ripararle. A volte non si ripara una frattura.

Quello che si può fare è trasformare e forse è questo che ci  insegna il rito del kintsugi, che letteralmente significa “riparare con l’oro” e sembra sia nato nell’antica Cina proprio da una tazza preferita alla cui rottura un guerriero non si arrese. 

Dispiacersi per le rotture, fermarsi di fronte alle grandi frane della vita e piangere. Poi ri/costruire. La vera resilienza forse è osare chiederci come ci sentiamo quando andiamo a pezzi.

Quello che non diciamo e a volte non ammettiamo è che le cose non torneranno come prima. Trovare la vera resilienza forse è iniziare a piangere per le rotture, fermarsi di fronte alle grandi frane della vita e lasciarci essere in piena come un fiume che scoppia e arriva all’oceano.

Non si torna indietro. Si va a avanti, è vero. Ma il cuore segue le gambe solo quando è pronto per farlo e a volte, come vasi vuoti, dobbiamo attendere. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *