Siamo viaggiatori del Tempo

Noi siamo desideri viventi. Nasciamo e moriamo orizzonte. Curiosi, ci alziamo e muoviamo ogni giorno di un passo verso un destino che chiamiamo VITA. Credendo che la meta sia il viaggio andiamo avanti, a testa bassa, invece è la vita il VIAGGIO. Il viaggio è la vita.
E allora ci fermiamo, di colpo. A guardare questo tempo, a viverlo. E nell’infinito riscopriamo la MERAVIGLIA. Dentro lo stupore la curiosità che ci fa alzare in piedi, anche a fatica, anche sui gomiti.
Noi siamo desideri viventi e trasformiamo la realtà attraverso quello che vorremmo che fosse. Siamo evoluzione mutevole dell’IMMAGINAZIONE della realtà. Immaginazione l’universo che abbiamo dentro e ci permette di realizzare il mondo fuori
immagin/azione
fantasia
il nostro canale di comunicazione
tra fuori e dentro
a guidarci
un sogno
custodito
nel profondo
oceano
cielo
dentro
tutto inizia con un sogno.
Siamo viaggiatori, siamo le mappe che ci portiamo dentro. Visionari e pazzi,
fino all’ultimo respiro
r/esisteremo

Viaggiamo attraverso lo spazio, eppure non siamo altro che Viaggiatori del Tempo. Siamo le nostre mappe, storie nella Storia. Respiriamo e camminiamo, sopravvivendo grazie alla capacità di immaginare nuovi mondi da esplorare

A salvarci è l’immaginazione, una capacità ancestrale, preistorica. Combiniamo fantasia e curiosità per lanciarle verso il prossimo orizzonte, legando insieme il mondo dentro e quello fuori. Siamo anime, soffi vitali che attraversano il tempo.
E viviamo in un attimo

Cambiamento

CAMBIAMENTO
è una parola che contiene una storia bellissima,
dentro c’è un movimento
il collo quando si gira per
andare incontro a
nuove direzioni,
è il momento in cui decidiamo
più o meno consapevolmente
che ci tocca spostare
corpo e sguardo

cambiare, dal verbo greco kambein:
curvare, girare

è tortuoso spesso, il cambiamento
mai lineare
torna su se stesso e ritorna, indietreggia
si fa strada e
alla fine diventa metamorfosi,
nell’istante esatto in cui la forma muta
da dentro.
Fuori cade la maschera, si spacca la crisalide

Intanto, nel silenzio deflagrante del cambiamento
io neanche me lo ricordo più quando ho iniziato a
girarmi, quanto sforzo mi è costato
cercare nuove direzioni
consegnarmi all’onda di ciò che mi chiama a mutare

una spina dorsale meravigliosamente elastica
sostiene questo andare

di che cosa è fatto il cambiamento?

Lasciar andare
ciò che non serve,
forse è questo il senso del cambiamento
semplicemente smettere di dare energia a ciò che non ci fa crescere e
iniziare a fare più caso a ciò che
ci rende felici,
il sole che scalda e la pioggia che illumina,
i momenti per cui vale la pena
gli abbracci veri,
le scoperte
la bellezza

L’inizio di tutte le mappe

Arriva solcando il mare, arriva su una nave e vola nell’aria, passando di bocca bocca, fra i peli della barba folta di quegli uomini, naviganti e marinai, che arrivavano dall’altra parte del mare. E noi lì a guardarli, prima con curiosità, poi con sorriso fraterno che ormai ci si conosceva.
E si scambiavano parole come monete, suoni segreti di una lingua sconosciuta. E si scambiavano oggetti, di mano in mano, dita ruvide e abbronzate, contro altre dita. E poi ci si scambiò pensieri, idee, teorie.

Tutto inizia qui, da una mappa.
Racconta Quintiliano che la parola mappa l’avevano portata i fenici.
Nella loro lingua “mappe” erano i tovaglioli, quelle pezze di lino con cui ci si avvolgevano gli avanzi e si portava via la fine del pasto prima di alzarsi da tavola.
La mappa si teneva in tasca e si estraeva all’occorrenza, magari un po’ unta e stropicciata. O ancora nuova, ben piegata. Mappe di tutti i tipi e di tutti i colori.

Bizzarro pensarci adesso, a questa nascita popolana delle mappe, che poi per secoli se ne sono state ben arrotolate nei cassetti delle navi, spiegate dai capitani di vascello intenti a scrutare la rotta. Dopo altri secoli ancora, mappe di carta stampata appese sui muri di ogni aula scolastica e ora? Mappe immateriali digitali, satellitari, geografiche, politiche, mappe da consultare e modificare con un dito ballerino.

Il tessuto è stato uno dei primi fogli su cui scrivere, lo sanno gli antichi Egizi e il popolo cinese.
Le prime mappe dello spazio erano una mappa del tempo: si misuravano i luoghi con il metro della distanza, osservando il sole e le stelle.
Immagina tu, di essere nella notte profonda sul mare.
Il silenzio come una macchia blu che si allarga su tutto e tu ci sei dentro.

Tutto è immobile in mare. Tranne il sole, tranne le stelle.
Alzi gli occhi e li vedi, con il caldo che ti scioglie la pelle di giorno e il freddo glaciale che ti entra nelle ossa appena il sole è inghiottito dall’orizzonte.

Poi arriva uno che immagina una linea.
Chissà da dove gli viene l’idea, è una linea che inizia dalle colonne d’Ercole, lì nel segreto di quella porta sulla fine del mondo, che poi sarà chiamato stretto di Gibilterra da marinai temerari che non si erano arresi a che il mondo finisse o forse erano curiosi di come andava a finire.

Dicearco, geografo degli esordi e antico filosofo, era nato nel 350 a.C. a Messana e se il nome non ti dice nulla sappi che in questo stretto di mare della Sicilia, che poi trasformerà la “e” nella “i” di Messina, abitavano i mostri marini Scilla e Cariddi, racconta la storia popolare attraverso la bocca del cantore Omero. Attraversa il mare questa linea fin dove l’occhio del sapere può arrivare, in Asia Minore, e si incrocia con un’altra linea, come uno spillo puntato da Assuan, in Egitto, tende il filo di una direzione fino lassù, alla città di Lisimachia, Turchia, l’arcipelago delle tre isole nel golfo di Saros.

Le linee immaginate da Dicearco, che a lungo aveva passeggiato per la Grecia e a braccetto del maestro Aristotele, attraversano il Mediterraneo per intero, che allora era tutto il mondo conosciuto. È la prima volta che si disegna una mappa con due linee di riferimento: latitudine longitudine.
Due linee, una croce.
Moltiplicata, una croce che diventa una ragnatela dove cercare il proprio posto nel posto.

“Quando sono di umore scherzoso, uso i meridiani della longitudine e i paralleli della latitudine come una grande rete da pesca, e con questa setaccio l’Atlantico a caccia di balene.
Mark Twain, Vita sul Mississippi

Una mappa, un nodo al fazzoletto della nostra memoria.
Nei secoli le mappe sono state dito indice con cui puntare verso isole del tesoro, annotare limiti e proprietà, (ri)trovare direzioni e commerci. Mappe per ritrovarsi prima di perdersi di nuovo, che a perdersi ci si perdeva spesso e volentieri. Ci si perde ancora, nella geografia del tempo e fra le strade della vita.

Ogni mappa è un atto della memoria contro l’oblio, a dirlo è quello scampolo di stoffa da tenere lì, come le mamme che da piccini ce lo infilavano nella taschina di una giacchetta. Per conservare e custodire.
Ritrovare la via.

Le cose che mi danno pace

Guardare le tegole di quel tetto che vedo da sempre, così da vicino che
la prospettiva è la stessa dei codarossa appoggiati sul filo.
Le gocce di pioggia che rimbalzano sulla grondaia.

Strapparsi via le sopracciglia e a volte osare cambiare quella sagoma che fa un po’ parte di noi,
così com’è
il ricordo di come mia nonna si metteva il rossetto
rosso, ogni mattina
vicino alla finestra con lo specchietto in mano

Le cose che mi danno pace,
le cose che ci danno pace…
Ogni tanto bisogna tornare a chiedersele,
sentirle sulla pelle

Un libro bello e un pomeriggio per leggerlo,
il cielo completamente opaco eppure luminescente,
a modo suo,
in una giornata grigia.
La distesa di nuvole bianche come coltri,
la coperta pesante di quelle che si usavano una volta
peso della trapunta che schiaccia e noi sotto,
fuori l’aria ghiacciata della stanza.

Camminare nella folla,
che non abbiamo bisogno dei centri commerciali per acquistare,
è che dona una strana inspiegabile pace
perdersi nella folla, su e giù
fra le scale e i piani e gli ambienti
uno di quei centri coomerciali grandi, molto grandi
percorrere il vuoto dello spazio, navigarlo
osservare le facce della folla,
fermarsi a prendere un caffè in un posto sconosciuto e
non tornarci mai più.

Il mare d’inverno,
guardare la pioggia dalla finestra.
La tempesta dietro una vetrata, in solitudine.
Piangere sotto la doccia.
Guardare le onde dall’oblò di una nave,
restare immersi nella vasca da bagno finché
l’acqua non diventa tiepida e poi aggiungerne ancora

sentire la vita che ci attraversa,
felicità, dolore anche, a volte. Malinconia

Le luci di Natale,
anche se non è Natale.
Accendere una candela nella notte,
il profumo della torta di mele. La
colazione lenta del sabato mattina,
agitare la mano di rimando a un bambino sconosciuto che saluta
in macchina al semaforo
arrivare davanti alla porta di un palazzo dove abbiamo abitato/blockquote>

Canto delle carezze al cuore

 

 

 

 

 

di Daniela Lamponi

Oggi la mia agenda riporta:
Bologna e orari dei treni acquistati.
La mia agenda mi ricorda che sarei dovuta essere in trasferta alla Fiera del libro per Ragazzi…

Oggi la mia vita mi ha fatto fare tutt’altro, eppure, in un modo tutto suo, mi ha riportato a dei ricordi della Fiera… Sempre muovendomi nella libreria, ho trovato la poesia di Sabrina Giarratana e illustrata da Sonia MariaLuce Possentini: “Canti dell’attesa. Canti che accompagnano la gravidanza e la nascita“.
Un titolo che in questo momento potrebbe condurre a pensare alla nostra attesa, come Paese Italia e andando anche oltre i confini geofisici.
A me, invece, ha riportato quel giorno lontano e alla Fiera. A quando mi sono emozionata ad ascoltarne la presentazione e a farmi fare una dedica sopra da Maria Luce.

Alcuni di quei canti poi li ho condivisi con una tra le più care amiche di questa vita, durante la sua gravidanza.
E ora, questo canto è per te e un po’ per tutti noi in attesa.

Oggi il mio cuore vuole carezze
Come un cavallo sulla criniera
Come un gattino senza certezze
Vuole carezze fino a stasera
Come un pulcino senza le piume
Un lupo perso nella bufera
Un pesciolino solo nel fiume
Vuole carezze fino a stasera.

Canto dell’attesa di Sabrina Giarratana e Sonia Maria Luce Possentini,
Il leone verde Edizioni