L’immaginazione è un superpotere

Quando giochiamo al “come se” da bambini, sperimentiamo un fatto straordinario: iniziamo a dare forma ai sogni, ai nostri desideri e bisogni. L’immaginazione è un superpotere perché ci permette di connetterci al mondo del possibile, nascosto, e farlo uscire allo scoperto.

Non sempre tutto ciò che immaginiamo si realizza, ma non è questo il punto. Il punto è crescere sognatori e con questo non intendo dire crescere bambini sognatori, bensì crescere: tu, io, noi, qualsiasi sia la nostra età. Aprirsi all’immaginazione e nutrirla vuol dire sfamare la nostra parte più viva e tenera, entusiasta e sincera.

Qui si parla di viaggi e del viaggiare che è movimento attraverso lo spazio e il tempo. Bellezza che appare all’improvviso, resilienza. Geografia emozionale. Attraverso l’esplorazione del mondo, passo dopo passo, camminiamo il nostro viaggio nella vita. Ci muoviamo nel mondo esplorando i luoghi, una storia dopo l’altra.

Vagabondi nello spazio, non possiamo altro che essere viaggiatori nel tempo. La geografia diventa narrazione del nostro cambiamento, che si dà costantemente. Arriviamo e torniamo, ogni volta diversi, come differente è il meteo delle stagioni intorno a noi e il paesaggio della nostra anima.

Perdersi diventa filosofia di viaggio e di vita. Ci perdiamo viaggiando così come nell’esistenza, ci perdiamo nella bellezza e a volte nell’orrore, nelle guerre del mondo e contro noi stessi. Affondiamo e riemergiamo, ci perdiamo in un bicchiere di vino o fra i libri, in una via sconosciuta. Nello spazio della mente e del tempo. Dimentichiamo per poi riconoscerci in un lampo e ritrovarci, di nuovo.

Ogni giorno è un viaggio che non conosco

A volte con insospettabile lentezza e talvolta con il fiatone, alla rincorsa di noi stessi, inseguiamo il filo della trama dei giorni cambiando a poco a poco. Nel viaggio della vita portiamo valigie di istanti: ognuno di noi ha una valigia che porta sulle spalle. Dentro c’è la strada fatta, ma anche le mappe di dove vogliamo andare. Talvolta pesanti, i ricordi fanno ciò che siamo. Qualche volta perduti, li ritroviamo in un gesto, nell’aroma di un paesaggio, nel flash improvviso di un’istantanea che appare in superficie dalle profondità nascoste dell’inconscio.

Se c’è una cosa che ho capito è che più passano gli anni
più mi tornano in mente cose, eventi, persone, fatti.

Me lo ha raccontato una volta una persona che per mestiere era l’autista. Curva dopo curva, rincorrendo la strada mi ha accompagnato inseguendo il filo della vita: la casa dell’infanzia, la fotografia dei suoi genitori tratteggiata dalle parole e dai ricordi, il matrimonio, i figli e il divorzio, una nuova vita, i sogni del futuro, i fallimenti e le nuove consapevolezza, le speranze. Gli eventi disegnano le tappe del nostro viaggio nell’esistenza e quando li rievochiamo ciò che più importa è l’emozione con cui li abbiamo vissuto.

La macchina del tempo è la nostra immaginazione

Al mattino, mentre ci svegliamo da un sogno, per un attimo sostiamo fra due dimensioni: quella da cui arriviamo, il passato, e le sensazioni che abbiamo sperimentato mentre eravamo là, e il presente, qui e ora. Adesso possiamo vederlo, le emozioni non sempre sono le stesse. Rispetto all’evento nel momento in cui è capitato, oggi potrebbe essere che viviamo e vediamo le cose in modo diverso. Così funziona il ricordo. Elaborare forse significa proprio questo, avere il coraggio di ri/raccontarsi la propria storia e trovare nuovi sensi.

Un tempo si immaginava la memoria come una grande soffitta piena di scatole, ognuna con il suo contenuto di fatti, oggetti, incontri… piano, piano destinati a svanire nel tempo, diventare labili e sfocati come fotografie scolorite dalla luce e dall’umidità. Sì, proprio così. Ricordo la lezione della maestra di scienze delle scuole elementari quando aveva spiegato alla classe il corpo umano: le cellule hanno incredibili proprietà di riparazione e nel corso della vita continuano a crescere e rigenerarsi, tutte tranne le cellule nervose, perché il cervello è una spugna quando abbiamo pochi giorni di vita e cresce nei primi anni, poi più diventiamo adulti maggiore è la quantità di collegamenti nervosi che si perde e lentamente muore, anno dopo anno, come una condanna inevitabile.

Il cervello nasce, cresce, si modifica e ripara: il cervello è plastico

La spiegazione di un cervello che lentamente muore come una lampadina stanca, destinato a bruciarsi inevitabilmente, a me non ha mai convinto, neanche da bambina. Gli anni sono passati ed evidentemente sono tanti altri, come me, a non essersi accontentati. Per fortuna.
Le ultime ricerche in fatto di neuroscienze ci stanno raccontando che il cervello continua a evolversi anche in età adulta: negli anni gli studiosi hanno scoperto che i neuroni continuano a formarsi e rafforzare le connessioni esistenti. Si parla sempre più spesso di attività come la musica, l’arte, lo sport e le esperienze, infatti, in grado di scatenare emozioni positive stimolando la neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di modificare la propria struttura nel corso del tempo in risposta alle esperienze. Noi non siamo piccole lampadine destinate a bruciarci. Le esperienze che viviamo creano una trama luminosa di strade che ci permettono di esplorare e vivere il viaggio della vita facendo sempre nuove scoperte: ogni giorno è un viaggio che non conosco.

Il tempo passa veloce e
non ci si deve voltare indietro…
Guardare avanti
e passare nel migliore dei modi
in tutto e per tutto
il tempo che ci rimane

Questo biglietto che vedi nella foto qui sopra, è una delle lettere che ho trovato in fondo a un cassetto dimenticato. Lettere dimenticate e restituite dall’onda del tempo, forse è da qui che è iniziato un nuovo viaggio a ritroso, inseguendo il filo dei giorni perduti e ritrovati.

A cosa stai pensando?

What’s on your mind? / A cosa stai pensando? FB
What’s happening? / Che c’è di nuovo? TWITTER

Chi ha sviluppato due delle piattaforme più famose al mondo per la comunicazione ha tratto dalla vita quotidiana la domanda che al momento, ogni volta che frequenti i social, è internet a chiederci.
A cosa stai pensando?
Ei, che c’è di nuovo?

In fondo, l’essere umano difficilmente inventa di sana pianta. Immaginiamo il futuro a partire dal passato.
Negli anni abbiamo sviluppato un sistema di posta con caselle verniciate e appese sul cancello, a cui poi si sono aggiunte caselle virtuali pronte a ricevere lettere, le mail, con cui comunichiamo per lavoro e (sempre meno) con amici o parenti. Il cassetto della nonna con l’album dei ricordi è diventato un album online, condiviso in maniera più o meno privata e più o meno consapevolmente (qualche volta con risultati preoccupanti).
Le cassette, che occupavano spazio e dopo il troppo ascolto graffiavano l’orecchio perché si consumava il nastro, sono diventati sottili e delicati cd – attento a non graffiarlo – In seguito, dal cd la musica ha trovato il suo posto in una sequenza di canzoni preferite da salvare su una chiavetta, ma ora che di internet abbiamo ricchezza di giga in quantità non serve nemmeno salvare. La libreria è online e la fruizione in streaming. Nel frattempo torna di moda il vinile.

Riscopriamo ciò a cui diamo valore. Gli oggetti capaci di trasmettere le nostre storie diventano importanti.
Come i libri. Si sperimentano più spesso opere da trovare online e scaricare sul tablet. I perché sono tanti: occupano poco spazio, si possono leggere anche al buio mentre addormenti i figli la sera, a volte ti fanno trovare qualcosa di introvabile nel posto in cui vivi ma che esiste da un’altra parte del mondo e ti basta un click per raggiungere.
Ma continuiamo a comprare parole di carta, soprattutto i libri quelli belli, quelli che questo qui, sì lo voglio proprio avere in casa, lo voglio rivedere, toccare, rileggere. La bellezza è intramontabile e ne vogliamo di più. Meno giornali forse perché hanno il temporaneo iscritto nel dna e allora sì, apro il borsellino ma solo a certe condizioni, magari per una pubblicazione che è speciale, che vale la pena per i contenuti o il tipo di stampa.

Vale la pena? La domanda di sempre. Vale la pena
Cos’è che per me vale la pena?

Esiste un processo di smaterializzazione e al tempo stesso oggi più che mai siamo attenti alle tracce.
Nel 2015 Facebook ha introdotto la funzione “memories”, “ricordi”.
Che tu ne sia solleticato o meno, oggi decidi di entrare, ovvero fare login (per inciso, si fa sempre meno e l’esperienza della rete diventa sempre più un fluido in cui siamo perennemente a mollo, un gomitolo che ci si aggroviglia intorno), magari te ne sei scordato, invece no. Implacabile, la memoria di ciò che hai fatto o detto, ritorna. Con puntuale esattezza.
Proprio oggi, un anno fa… due anni fa….nel 20xy eri qui, ti sentivi così, volevi comunicare questo.
I nostri pensieri ritornano. È ancora ancora quell’attimo lì, preciso intatto.
Le fotografie di un tempo sbiadivano nel cassetto e chissà che cosa provavamo, che cosa abbiamo detto esattamente.
Non lo ricordiamo più.
Invece, i ricordi oggi qui nel mondo di internet ci ricordano ciò che può persino capitare di non riconoscere più.
Davvero mi è successo di pensare questo? Accidenti, non me la ricordavo quella giornata. Eppure sì, adesso lo vedo: quella foto lì, quei colori. Le parole che avevo scritto mentre facevo questo o quello, ero con quella persona lì. Accidenti.
La polaroid di un attimo eterno, anche se ormai irrimediabilmente passato, ci costringe a un esercizio della memoria continuo.

A cosa stai pensando? incalza e la nuvoletta è come quella dei fumetti, bianca, la devi riempire tu. Ti chiama per nome e ti incalza a dire quello che ti passa per la mente, con quello che stai vivendo veramente. E dillo, una buona volta. Accidenti, sii sincero, la domanda da un milione di yuan, come diceva il mio prof di storia dell’arte del liceo, che chiunque ha fatto almeno una volta, o dodicimila, a una persona: a cosa stai pensando? E non dirmi niente perché non è vero.
Sforzati. È richiesto uno sforzo, un esercizio che questa volta non è di memoria ma di sincerità. Se lo fai veramente, se tu veramente scegliessi di farlo, potresti persino tirar fuori qualcosa, qualcosa di buono e sincero su ciò che vivi, ciò che stai vivendo adesso, su come ti senti e quello che vorresti comunicare all’altro.
L’altro che è poi un amico, o tale dovrebbe essere, nel mondo inventato da questo social nato in un’università e diffuso, un anello dopo l’altro, fino a te, me, noi. Una cerchia che vuole essere chiusa, in alcuni casi più permeabile, in altri sigillata, di gente che si conosce e si riconosce, si cerca e qualche volta, ma solo qualche volta, interagisce condividendo ciò che sa, ciò che importa, ciò a cui dà valore.

Da una parte esercizio introspettivo, o se non altro esplorazione orientata verso l’interno delle proprie vite, dall’altra spazio che porta fuori, a un esterno che diventa piazza del mondo intero, anzi molto di più: una piazza virtuale dove si affacciano edifici di ogni nazione. A ritrovarsi qui sono navigatori che parlano mille lingue, si incrociano attraverso merci e discorsi. La scia delle parole li porta a incrociarsi, magari solo per un incontro fugace oppure chissà, per rivedersi o magari anche inseguirsi e seguirsi, il cinguettio di un uccellino che ormai abbiamo imparato a conoscere, quello che spunta ogni mattino sul davanzale di casa.

Che succede là fuori, cosa c’è di nuovo?Una domanda da bar, da sala d’attesa; sconosciuti uno di fianco all’altro, seduti sulla stessa notizia che è poi questo alla fine che li accomuna:il motivo per cui sono qui, quello che li ha fatti fermare un attimo.
Tu che cosa cerchi? Perché ti trovi qui?
E allora succede che se condividi, ma condividi veramente accade di esporsi sul serio; sogni, mancanze, lotte, bisogni. Quello che vuoi, quello che ami e per cui lotti a guardare bene lo cercano in tanti. Ce ne sono tante di persone come te e se segui il filo le trovi, le puoi scoprire sulla scia dell’odio oppure tessendo trame capaci di cambiare il mondo.
Perché il mondo si cambia anche attraverso le parole, le idee. Anche attraverso le piccole cose, i sogni. Anche attraverso la poesia, i gesti del quotidiano.

Condividere moltiplica ciò che siamo e vogliamo, lo espande.
Aggiunge all’energia potenza e risoluzione

Di che cosa è fatto un ricordo?

L’etimologia della parola ‘ricordo’ viene da cor, cordis: cuore.
Sì, sono esistiti popoli antichi, come gli Egizi, che ritenevano il cuore la sede della memoria.
Ma no dai, ora lo sappiamo. È il cervello. Qui dentro, in questa scatola nera che chiamiamo cranica, c’è un gheriglio che contiene tutte le nostre informazioni.
Fra l’altro ha proprio la forma di una noce, che strano.
Due emisferi collegati da un corpo calloso. Un tempo, in realtà non molto tempo fa, si pensava che queste due parti fossero ben distinte e ognuna con le sue funzioni. Oggi sappiamo che queste differenze che per secoli abbiamo cercato di mettere in ordine, destra, sinistra, razionalità, creatività, ordine, caos, in realtà giocano a nascondino e si scambiano, si rincorrono. Parlano di un mistero molto più grande in cui tutto si trasforma.
A raccontarlo sono anche le storie di chi si è fatto male, di chi è sopravvissuto e si è trasformato a causa di malattie per cui abbiamo dovuto inventare nuovi nomi. Più lo si studia, più il cervello sfugge alla classificazione di parti ben divise e organizzate, ognuna con la sua funzione. Dentro, si rigenera, evolve, cambia.
Una parte può soccorrere l’altra. Come accade alle piante, la natura ci insegna che certe incredibili armonie nascono dalle tragedie di qualcosa che spezza lo sviluppo ordinario.
Ed da lì che si riparte. Un tronco contorto, la vena di un ramo che si arrampica attraverso le sbarre che gli avevano precluso la luce, anelando luce e aria, almeno quanto basta per continuare a vivere.

Il cervello vive di misteri che ancora non conosciamo e forse non conosceremo mai del tutto.
Ma continuiamo a cercare. A fare domande.
Sì, tanto tempo fa si costruivano immense tombe di pietra e dentro ci mettevano a riposare i defunti con intorno tutto ciò che sarebbe servito per il viaggio nell’aldilà.
Il cuore, però, veniva nascosto in un’anfora.
Una volta attraversata tutta la notte sulla barca del dio Ra, il sole, una volta passati i cancelli che dividevano il mondo di qui dall’altro di là, allora sarebbe arrivato Anubi, dio della morte e dei cimiteri, ululato solitario nell’oscurità.
Maat, dea della giustizia e della verità, allora avrebbe fatto la sua comparsa arrivando in punta di piedi, con le grandi ali spiegate e la sua tunica di luce dorata come l’alba. Si sarebbe sfilata la lunga piuma bianca dalla fascia che le cingeva la testa e sfiorando la bilancia l’avrebbe appoggiata lì.
Su un piatto la piuma di Maat, sull’altro il cuore. Così si raccontava nell’antico Egitto.
Solo se il cuore fosse risultato più leggero, allora chi aveva lasciato la vita avrebbe potuto proseguire il viaggio senza tornare indietro.

La memoria del cuore: le ultime ricerche in fatto di neuroscienze spiegano che è l’ultima a rimanere.
Resta con noi sempre, fino alla fine.
Dimentichiamo come si fanno le cose, a cosa servono; un malato di Alzheimer si perderà cercando quali strade e vestiti indossare. Le mappe, le mappe geografiche che abbiamo disegnato con i nostri spostamenti nel mondo e le mappe che chiamiamo cognitive, fatte delle strade scoperte durante la vita e registrate dentro di noi, si sfocano, non concidono più.
Eppure continuiamo a ri-cor-dare. Ciò che torna a galla increspando la superficie del nostro cuore è ciò che ci ha emozionato, ciò che nel bene o nel male ha contato. Che cosa vale la pena per te?
La domanda che porta avanti le nostre giornate, i progetti, o quella che ci neghiamo; l’interrogativo muto che a volte preferiamo saltare, quello che ci fa salire sulla bilancia e fare i conti con noi stessi.

Dagli abissi del nostro cuore emergono frammenti, fugaci come un lampo.
Istanti, momenti di tempo non importa quando.
Per un attimo è ancora lì, vivo
presente. Il ricordo
accade sempre adesso

I ricordi sono miei, sono tuoi. Sono per ognuno diversi.
Ma fanno parte di un’unica storia che si perde in mille fili.
I fili sì, hanno colori diversi. Diverso spessore, materia, provenienza.
Eppure i nostri ricordi disegnano una mappa che conosciamo bene.
Infanzia. Casa. Paura. Sogno. Pericolo. Avventura. Crescita. Famiglia. Amici. Case. Mani. Sguardi.
Quante parole potremmo aggiungere.
Ogni parola è un mondo intero, il mondo che abbiamo vissuto. Ognuno una prospettiva diversa, ognuno parte della grande strada che alla fine percorriamo tutti. Siamo storia nella grande Storia del mondo e camminiamo nel viaggio della vita, ciascuno con il suo passo.
E poi guarda che buffo, se spacco una noce a metà vedo un cuore.

La Biblioteca del Tempo desidera diventare questo: un posto dove raccogliere i nostri ricordi.
Quei momenti unici, a volte insignificanti, quelli in cui il cuore si è fermato e ancora oggi batte forte quando siamo lì.

✏️ Doni un ricordo? Se hai voglia di condividere una memoria scrivi a bibliotecadeltempo@gmail.com oppure usa #bibliotecadeltempo

Ricordi dal bel tempo

Mio nonno seduto al tavolo bianco del giardino, nelle mattine di tarda primavera, a pulire quelli che chiamavamo cornetti, i fagiolini verdi

Mia mamma mentre stira e alle sue spalle la radio che va, un pomeriggio qualunque di una stagione qualunque, il panno grosso e morbido con sopra il lenzuolo dove passa il ferro caldo e io di fronte che faccio i compiti

I giorni della magnolia in fiore

Andare sotto al grande pino, gigante buono e silenzioso, all’ombra dei suoi rami lunghi come braccia troppo lunghe, con i piedi sugli aghi secchi che ricoprono come un tappeto la nuda terra

I momenti felici sono istanti da tenere sul cuore, come i cieli azzurri d’estate capaci di nutrire lo spirito

I mobili delle stanze dell’infanzia, che tu ricordi così grandi e poi quando ci ritorni dopo anni scopri essere più piccoli e bassi

Le piastrelle verdi di quel bagno e le volte che il lavatoio veniva riempito di cozze da risciacquare prima della cottura, il sabato mattina

Il profumo della lavanda in quei piccoli sacchetti di stoffa ricamata

La polvere del borotalco sulla pelle e fra le dita dei piedi

La zia di un’amica e il suo budino al cioccolato nello stampo per la ciambella

Svegliarsi d’estate, con la luce che entra prepotente dalle fessure delle persiane di legno e il rumore di chi falcia i prati

Il profumo delle erbe selvatiche sotto al sole, il rosso dei papaveri, la menta e l’erba medica, la camomilla che cresceva in un’aia al sole per un paio di settimane

I dischetti di zucchero colorato nei piattini all’ingresso delle case delle nonne

La piccola fabbrica a conduzione familiare che cuciva ciabatte per grandi e piccoli, tutte dello stesso modello, in cuoio, o rosso o blu, quelle dei bambini con l’elastico dietro da mettere intorno al tallone

Il cappello rosso di lana che pizzicava

I boeri con la carta rossa e quei bon bon di cioccolato, avvolti ognuno in un colore differente, che un certo Natale iniziarono a comparire nei centrotavola

L’aria delle feste, un aroma che non si sa esattamente dove nasce, fra candele al profumo di frutti rossi, ascensori di parenti che si vedono una volta l’anno, pomeriggi subito bui, scale mobili e folla, tempo tutti insieme

Spiare l’inizio della neve che scende nella luce dei lampioni

Il momento in cui si tornano a mettere le sedie di vimini e i tavoli fuori, in giardino

I sedili di plastica beige della Renault 4 blu e la volta che il gelato ci cadde sopra

Il parco giochi dell’infanzia con la mamma, un ricordo lontanissimo, e poi rivederlo con gioia quando ci ritorni da grande con uno piccolo per mano

Un negozio che non c’è più dove accompagnavi il nonno a comperare il pane e il suo cappotto beige di camoscio, il momento in cui lui sta girato di schiena e tu con un dito lasci un segno scrivendo con un dito sul quel tessuto morbido, disegnare e cancellare

Il tè delle cinque dalla nonna, che non era tanto le cinque e non sempre era tè, ma era dopo la scuola e dopo il lavoro, ma soprattutto tutti insieme

Il mondo, il mondo del quartiere che una volta era molto più grande perché tu eri più piccola: la passeggiata del mattino con le sue case, alcune non ci sono più o sono diverse, e la strada che, ora lo sai, non era poi molta ma ci si metteva il tempo giusto per i passi di un bambino, dell’andare e del tornare, dell’incontrare, curiosare, chiacchierare

La bellezza dei giorni in cui non accade niente di speciale

I pomeriggi sulle scale fresche della cantina, a spulciare vecchi libri e giocare con i gessetti colorati sulla lavagnetta con la cornice di legno

I colori forti con mamma, pennarelli e scatole di cartone; le matite con papà che voleva insegnare a creare ombre con i pastelli

Le pannocchie di granturco nel campo di fianco al cancello della scuola elementare e la volta che le raccogliemmo per fare un lavoretto

Il senso di libertà dei sabati mattina

Papà, mi manchi

Con i papà a volte è litigi e a lui non voglio bene. Scava, scava, vai a vedere che è un’emozione immensa: un amore così grande che non si può contenere e allora si nega. Scava scava, si scopre che 〰️ io sono molto triste quando papà è al lavoro, sono felice quando torna

Papà, mi manchi

Ci sono state volte in cui ho scritto tutta la notte. Oggi invece mi ha svegliato una vocina alle 2.59 -a voce bassa bassa- mammi, il mio pancino è vuoto, ha detto quello che era crollato alle otto e mezza di sera dopo una giornata di gioco. Allora, dico con mezzo occhio aperto e l’altro chiuso, andiamo a vedere cosa c’è in frigo

e così abbiamo riscaldato tagliatelle e riacceso il fuoco, cucito parole con i fili colorati e giocato a palla sul divano. Intanto si è fatta mattina e agli uccellini è bastato uno squarcio di azzurro nel blu per capire che la notte era finita e iniziare a cantare. Abbiamo svegliato papà e l’abbiamo accompagnato al lavoro.

Dicono che a tre anni si diventi esseri sociali, ma questo è anche un periodo in cui dovremmo spiare le settimane giorno per giorno e vedere quanto è grande l’emozione: è il momento della vita in cui si inizia a percepire il Tempo e il tempo è distacco, frattura nella continuità della linea ininterrotta d’amore che ci unisce a chi amiamo e ci ama.

Percepire il tempo è iniziare a comprendere il senso delle pause e dell’attesa. Il tempo è distacco, frattura nella continuità della linea d’amore che ci unisce a chi amiamo e ci ama

Con i papà a volte è litigi e a lui non voglio bene. Scava, scava, vai a vedere che è un’emozione immensa: un amore così grande che non si può contenere e allora si nega. Scava scava, si scopre che 〰️ io sono molto triste quando papà è al lavoro, sono felice quando torna.

〰️Torni?
Sì che torno. Presto

La possibilità del non tornare è la grande paura dei tre anni ma in fondo è un timore che ci segue tutta la vita, quando impariamo che il tempo dentro ha lo spazio vuoto che ci separa da chi amiamo.

E allora ci vuole il tempo per sentire anche la tristezza e l’insicurezza, il tempo per stare svegli e aspettare e poi accompagnare i papà che vanno al lavoro e abbracciarli forte e piangere un po’. E poi ci vogliono gli abbracci che consolano e addormentarsi naso contro naso, respiro dentro respiro. Il tempo di cucire E invece di MA.

Perché non dovremmo avere fretta di fargliela passare e abituarsi a stare soli. Madri gatto e madri di qualsiasi provenienza in Natura non hanno fretta, sanno che per diventare cacciatori solitari bisogna prima cacciare e giocare insieme; prima di essere indipendenti c’è la dipendenza, e imparare la vita poco a poco: insieme, accompagnando. Da quando siamo stati sommersi da questa smania per l’autonomia? Ne siamo così ossessionati che finiamo per dimenticare che all’inizio dell’esistenza essere cullati è una necessità fisiologica, un bisogno del corpo e dell’anima. Ce ne priviamo anche noi stessi di questa fase, salvo poi prolungarla e tenere questa mancanza in gola per una vita intera, quando da tempo invece, le madri gatto e tutte le altre, dopo essere rimaste a fianco ai loro piccoli giorno e notte, li hanno gradualmente accompagnati nel mondo, ad avanzare sulle loro gambe con forza e tenacia.

Accompagnare nel mondo è un processo che si sviluppa gradualmente, passo dopo passo, conquistando l’equilibrio necessario per stare in piedi con le proprie forze

Non si superano le mancanze convincendo che ce la puoi fare. Ce la faremo comunque, perché così è la forza della vita. La mancanza si supera cucendo insieme i buchi con un filo lungo lungo che si chiama amore.

Libri per bambini sulla morte

Che cosa leggere insieme ai piccoli per affrontare il dolore del lutto e la paura della morte?

“L’isola del nonno” di Benji Davie

“L’anatra, la morte e il tulipano” di Wolf Erlbruch

“Ti voglio bene anche se…” di Debi Gliori

“Caro amico Orso” di Jane Chapman

“La storia della libellula coraggiosa” di Chiara Frugoni

“Oscar il gatto custode” di Chiara Valentina Segré

“L’albero dei ricordi” di Britta Teckentrup

“E se la morte fosse un bosco?” di Gabriele Ventura e Chiara Scardicchio con le illustrazioni di Hanieh Ghashghaei

“Sai chi sono io?” di Elisabeth Helland Larsen

“Gina e il pesce rosso” di Judith Koppens

“Il sentiero” di Marianne Dubuc

“Il cerchio della vita” di Harrie Jekkers e Koos Meinderts

“La nonna in cielo” di A. Lavatelli e D. Pintor

“Ho lasciato la mia anima al vento” di Roxane Marie Galliez

Per i genitori: riflettere e spiegare la morte ai bambini

“La morte spiegata ai bambini e anche agli adulti” di Jean-Jacques Charbonier

“Dialoghi con i bambini sulla morte. Le fantasie, i vissuti, le parole sul lutto e sui distacchi” di Daniel Oppenheim

Che cosa voglio fare del mio tempo?

Sarebbe bello imparare il non-fare nel fare. Allora potremmo lavorare e pulire, cucinare o passare l’aspirapolvere con la stessa leggerezza di quando i bambini lavano le tazze della colazione giocando con l’acqua per mezz’ore intere. Potremmo dipingere, cucire, pettinare, sbrogliare, saltare, sguazzare, senza occhio per l’orologio. Potremmo perdere il tempo, goccia dopo goccia, e poi miracolosamente, ritrovarlo. Nell’istante in cui tutto accade improvvisamente la perdita si ricostituisce e la ferita, come insegna la colata d’oro dell’arte kintsugi, diventa esperienza: nel tempo dell’attesa lavora il desiderio, nel tempo di dipana il filo dell’esistenza.

La domanda è questa e non ci sono scappatoie. Che cosa voglio del mio tempo? Perché le cose da fare sono tante, è vero; sono tante anche quelle che sembrano belle, buone giuste. Eppure non c’è tutto il tempo del mondo: non avrai tutto il tempo del mondo, nessuno di noi lo ha.

E allora succede di doverci pensare e riflettici bene, sul tuo tempo, perché ne va del filo che intesse la vita intera. Inseguilo quel filo, tienilo fra le dita e guardalo.

Dove mi porta il filo del tempo? Nel Taoismo wu-wei è “non-azione”. Le cose verranno a noi, dicono i saggi di ogni tempo in tutto il mondo: tutto arriva al momento giusto, né prima né dopo. Ciò che non è affatto semplice, invece, è l’attenzione. Un po’ come quelle ragazze nella notte, raccontate in una pagina antica della Bibbia cristiana, che attendono lo sposo; attendono con una lampada e dell’olio, ma se ne usi troppo, al momento sbagliato, non ci sarà per l’attimo fatale in cui servirà. C’è sempre un attimo fatale, in cui all’improvviso ti devi svegliare e alzare: il momento catartico in cui esserci, non si sa quando ed è per questo che dobbiamo stare svegli.

Io me l’immagino così. In piedi, nella notte. Non vedi là fuori, cosa accade nell’oscurità: è il buio della coscienza. Attendi. Sai di avere una luce, è lì accanto; ce l’hai dentro. Per qualcuno sarai la luce, un faro nella notte: qualcuno lo è stato per te. Poi c’è l’attimo decisivo in cui la fiamma inizia a brillare, si sveglia la consapevolezza ed ecco che accade l’incontro con l’altro, che hai sempre sognato di incontrare. L’altro che in fondo sei tu, null’altro che Tu

Che cosa significa “attendere”? Che cosa facciamo mentre aspettiamo? Oggi mi hai detto di sentirti – molto triste, quando papà è al lavoro. Anche a me dispiace quando non c’è, ho risposto io. Davvero, davvero anche a te dispiace? Mi hai chiesto tu, con la faccia dipinta di sorpresa. Certo. Al tempo stesso so che a volte si seguono strade diverse per poi ritrovarsi; si fanno altre cose, si sta da altre parti: poi ci si incontra di nuovo e sarà bellissimo fare nuove cose insieme, portando quelle incontrate su altre strade e direzioni. Come barche esploratrici, come ataviche tartarughe marine nella corrente, seguiamo il flusso: andiamo, alla scoperta. Ogni giorno.

Ogni giorno è un viaggio che non conosco.

Intanto, cosa si fa quando si aspetta? Si fa o non si fa? Un concetto antico, che abbiamo perso, è quello della veglia. Le ragazze di quel racconto biblico vegliavano, nella notte. Le donne un tempo vegliavano spesso, nelle lunghe ore di buio invernale. Si diceva perfino, nel linguaggio popolare, “andare a veglia”, a vejgghh, nel dialetto di queste montagne dell’Appennino. “A veglia” si ricamava e cuciva, ci si incontrava e si aggiustavano le cose rotte, anche i rapporti; ci si fidanzava e ci si conosceva, si passava tempo insieme, gomito a gomito. Ecco, il tempo: forse era il tempo la ragnatela che stava dietro a questo filare, di parole e di ore. Oggi la parola passatempo è quella più vicina e che ha sostituito il concetto antico della veglia, ma il passatempo è spesso solitario e dentro ha questo “passare” che finisce un po’ per sfilacciare il tessuto del tempo, invece di rafforzarlo.

Wu-wei è “quando agire, quando non agire”. Il cinese Lao Tzu, considerato il fondatore del Taoismo, ha scritto: «Ecco come bisogna essere! Bisogna essere come l’acqua. Niente ostacoli – essa scorre. Trova una diga, allora si ferma. La diga si spezza, scorre di nuovo. In un recipiente quadrato, è quadrata. In uno tondo, è rotonda. Ecco perché è più indispensabile di ogni altra cosa. Niente esiste al mondo più adattabile dell’acqua. E tuttavia quando cade sul suolo, persistendo, niente può essere più forte di lei». Allenarsi a stare in questo significa allenarsi a stare nella condizione che in cinese è ming, “chiarezza”. Come l’acqua del fiume: quando ci metti i piedi dentro e allora devi fermarti un attimo e attendere che la polvere si posi per vedere di nuovo chiaro.

Sarebbe bello imparare il non-fare nel fare. Allora potremmo lavorare e pulire, cucinare o passare l’aspirapolvere con la stessa leggerezza di quando i bambini lavano le tazze della colazione giocando con l’acqua per mezz’ore intere. Potremmo dipingere, cucire, pettinare, sbrogliare, saltare, sguazzare, senza occhio per l’orologio. Potremmo perdere il tempo, goccia dopo goccia, e poi miracolosamente, ritrovarlo. Nell’istante in cui tutto accade improvvisamente la perdita si ricostituisce e la ferita, come insegna la colata d’oro dell’arte kintsugi, diventa esperienza: nel tempo dell’attesa lavora il desiderio, nel tempo di dipana il filo dell’esistenza. Siamo, in ogni istante. Anche quando lo dimentichiamo, credendo di attendere qualcosa o qualcuno. Sei adesso. Anche il tempo è adesso, lo tieni in una mano: a ogni respiro lo soffi via e te lo riprendi, con una magia che è la vita stessa.

“Pensi di poter prendere il controllo dell’universo e migliorarlo?
L’universo è sacro.
Non puoi migliorarlo.
Nella ricerca della conoscenza, ogni giorno guadagniamo qualcosa. Nella ricerca del Tao, ogni giorno perdiamo qualcosa.
Facciamo sempre meno finché non raggiungiamo la non-azione.
Il Tao rispetta la non-azione, eppure nulla rimane incompiuto”

Lao Tzu

La vita è un viaggio

Caro amore,
questa lettera è per te. Ci vogliono anni al futuro per trasformarsi in presente eppure è già tutto qui, nel miracoloso attimo di adesso.

Viaggiamo nel Tempo. Sì, anche tu. Perché viaggiamo nello spazio eppure per tutta la vita, ogni singolo giorno di questa esistenza, non facciamo altro che viaggiare nel tempo.

Sei qui da un giorno che non ricordi e un giorno te ne andrai, questa è l’unica regola del gioco. C’è un inizio e una fine, qui. Il viaggio ha un inizio e una fine: non sai quando, non sai come… nessuno lo sa. Ecco, adesso vorresti dimenticarlo, o ignorarlo; mille volte farai finta di niente, tenterai di giocartela come se tutto fosse possibile. Lo è, ma non per sempre.

Sembra che gli studiosi abbiano visto che il cervello umano alla nascita contiene un potenziale infinito. Dentro, abbiamo tutte le lingue del mondo, tutti i numeri e tutti gli inizi. Ogni cosa è, all’inizio. Solo per un attimo. Poi, il viaggio inizia e allora le strade si concretizzano, come una mappa del possibile che piano piano diventa il percorso che stai percorrendo.

Stai percorrendo la tua strada. Non prenderla come una sfortuna. Lo abbiamo già fatto in mille modi di spaccarci la testa e il cuore per prendere il tempo e strapparlo, stirarlo, annullarlo, ripiegarlo. Il fatto è questo: non avrai tutto il tempo del mondo. Puoi scegliere di diventare ciò che vuoi, ma avrai bisogno di tempo e non avrai il tempo per diventare tutti i te che vuoi essere. Ti toccherà scegliere.

Ma c’è un segreto. Quando corri a più non posso, anche il tempo corre. A volte, invece, c’è bisogno di fermarsi e guardarlo negli occhi: questo Tempo è il tuo tempo, ti batte dentro, è ritmo nel sangue e nelle vene, è il tuo sogno. Non dimenticare di chiederti quali sono i tuoi sogni perché dentro c’è la mappa verso cui stai andando da ogni giorno della tua esistenza.

Tu immagina una strada fra mille altre: è la tua. Ci sono sentieri scavati nel fango e strappati alla tempesta, strade asfaltate che corrono nel blu e vie disegnate nel segreto di foreste altissime o deserti millenari. Mentre cammini fai il tuo andare, è il tuo passo a decidere la meta.

Un giorno ti renderai conto che l’adolescenza è come vedere il mondo dall’alto. Sì, è vero ti dà un brivido incredibile tutta questa straordinaria visione, ebbrezza infinita. Non farti ingannare. Il fatto è che non puoi rimanere lì in eterno, perché intanto il sole si fa alto e la luna compare cantando all’orizzonte: è il momento di camminare. La vita è tempo in movimento, è cammino. 

Passo dopo passo a volte ti sembrerà di infossarti in un labirinto, perderti dietro a un vicolo cieco e dentro a strade in cui non ti riconosci più. Succede. Questo, però, è l’unico modo che abbiamo per sperimentare. Noi umani non abbiamo le ali, ci hanno fatto di gambe e braccia e un cuore e un cervello. Scendere dentro la tua strada è il solo modo per viverla. Potrai cambiare tante vite, ma una alla volta sai. Se a volte ti sembrerà di andare con troppa lentezza tu guardati indietro, solo per un attimo: è già moltissimo quello che hai fatto. Persino da fermi accade qualcosa, continuamente.

Avere la vita in mano guardando l’orizzonte dall’alto è un’illusione. Tu scendi dentro il paesaggio e vai, cammina, esplora. Allora sperimenterai davvero. Questa è la libertà: continuare a andare, sapendo che il movimento è vita. La vita è un viaggio. La vita è in viaggio e il viaggio non finisce fino all’ultimo respiro che il Tempo ci darà

Qui, su questo pianeta azzurro in equilibrio nel vuoto, c’è un fattore chiamato “gravità”. Ti rallenta, sì. Ti insegna, anche, a prendere in considerazione il valore della fatica. Ti farà cadere, sì. E al tempo stesso ti insegnerà che con le ginocchia sbucciate ci si alza, se fa male poi passa. La gravità ti atterra e deprime, ti schiaccia e aliena. C’è la gravità dei pesi nell’aria e quella dei pesi sull’anima.

Volare, questo sì che è un miracolo. Volare anche solo quando chiudi gli occhi all’immaginazione. Se poi sei capace di aprirli e far volare quello in cui credi anche alla luce del sole allora sentirai il cuore mettere le ali per davvero, senza limiti

In questa vita in cui ti trovi a camminare la leggerezza è una propensione naturale che ci vorrà tutta la vita per riconquistare. Lo sapevano i popoli antichi dell’Egitto che immaginavano una dea capace di soppesare i giorni vissuti con la prova di una piuma. Con quanta leggerezza stai vivendo i tuoi giorni? Qualsiasi cosa tu stia facendo non dimenticare di farti ogni giorno questa domanda, prima di addormentarti.

La vita è un viaggio. Questo viaggio ha avuto inizio in un giorno che si può solo ricordare per altre persone, non per se stessi. Il viaggio ha una fine: un destino, una parola bellissima e strana, che nel gergo delle stazioni indica semplicemente la fermata ultima. Qual è la tua?

Che cosa ti sta chiamando? In Giappone ikigai è quello che ti mantiene ancora vivo: passione, vocazione. L’abbiamo definito in mille modi questo fuoco che ti fa sentire ancora il cuore che ti batte, indomito. Non smettere di cercarlo, questa è la cosa importante. Che cosa mi ha fatto sentire ancora tremendamente e meravigliosamente viv* oggi?

Non avrai tutto il tempo del mondo e adesso non iniziare a dire che è tutta una sfortuna. È solo un’avventura. Vivila così: un battito d’ali, pura avventura. Tuffarsi nel vuoto. Lo stupore della meraviglia lo conoscevi benissimo quando camminavi da pochissimo qui sul pianeta Terra: lo abbiamo conosciuto tutti, poi lo abbiamo dimenticato in nome del senso del dovere e abbiamo creduto che questo fosse diventare adulti.

Stupisciti, ancora. Stuzzica la tua curiosità, ogni giorno. Meravigliati, senza fine. Chiediti i tuoi sogni e non solo quelli importanti: i pensieri da niente, le piccole cose che rendono felice una giornata, sono il sale della vita.

Adesso vai, la vita è un viaggio. Buon viaggio, amore mio. Ora ci sono le stelle e domani ti sveglierà il sole. Vivi ogni attimo. Qualsiasi cosa accada, sappi che puoi farcela. Sei sulla strada, cammina. Respira. Contempla. Non lasciarti sfuggire la bellezza del paesaggio e non soffermarti troppo sugli ostacoli, impara a guardare oltre. Lasciati guidare dall’istinto. Resta sempre vicino al tuo cuore.

A presto,
due viaggiatori quando si incontrano non smettono mai di rivedersi