Arriva solcando il mare, arriva su una nave e vola nell’aria, passando di bocca bocca, fra i peli della barba folta di quegli uomini, naviganti e marinai, che arrivavano dall’altra parte del mare. E noi lì a guardarli, prima con curiosità, poi con sorriso fraterno che ormai ci si conosceva.
E si scambiavano parole come monete, suoni segreti di una lingua sconosciuta. E si scambiavano oggetti, di mano in mano, dita ruvide e abbronzate, contro altre dita. E poi ci si scambiò pensieri, idee, teorie.
Tutto inizia qui, da una mappa.
Racconta Quintiliano che la parola mappa l’avevano portata i fenici.
Nella loro lingua “mappe” erano i tovaglioli, quelle pezze di lino con cui ci si avvolgevano gli avanzi e si portava via la fine del pasto prima di alzarsi da tavola.
La mappa si teneva in tasca e si estraeva all’occorrenza, magari un po’ unta e stropicciata. O ancora nuova, ben piegata. Mappe di tutti i tipi e di tutti i colori.
Bizzarro pensarci adesso, a questa nascita popolana delle mappe, che poi per secoli se ne sono state ben arrotolate nei cassetti delle navi, spiegate dai capitani di vascello intenti a scrutare la rotta. Dopo altri secoli ancora, mappe di carta stampata appese sui muri di ogni aula scolastica e ora? Mappe immateriali digitali, satellitari, geografiche, politiche, mappe da consultare e modificare con un dito ballerino.
Il tessuto è stato uno dei primi fogli su cui scrivere, lo sanno gli antichi Egizi e il popolo cinese.
Le prime mappe dello spazio erano una mappa del tempo: si misuravano i luoghi con il metro della distanza, osservando il sole e le stelle.
Immagina tu, di essere nella notte profonda sul mare.
Il silenzio come una macchia blu che si allarga su tutto e tu ci sei dentro.
Tutto è immobile in mare. Tranne il sole, tranne le stelle.
Alzi gli occhi e li vedi, con il caldo che ti scioglie la pelle di giorno e il freddo glaciale che ti entra nelle ossa appena il sole è inghiottito dall’orizzonte.
Poi arriva uno che immagina una linea.
Chissà da dove gli viene l’idea, è una linea che inizia dalle colonne d’Ercole, lì nel segreto di quella porta sulla fine del mondo, che poi sarà chiamato stretto di Gibilterra da marinai temerari che non si erano arresi a che il mondo finisse o forse erano curiosi di come andava a finire.
Dicearco, geografo degli esordi e antico filosofo, era nato nel 350 a.C. a Messana e se il nome non ti dice nulla sappi che in questo stretto di mare della Sicilia, che poi trasformerà la “e” nella “i” di Messina, abitavano i mostri marini Scilla e Cariddi, racconta la storia popolare attraverso la bocca del cantore Omero. Attraversa il mare questa linea fin dove l’occhio del sapere può arrivare, in Asia Minore, e si incrocia con un’altra linea, come uno spillo puntato da Assuan, in Egitto, tende il filo di una direzione fino lassù, alla città di Lisimachia, Turchia, l’arcipelago delle tre isole nel golfo di Saros.
Le linee immaginate da Dicearco, che a lungo aveva passeggiato per la Grecia e a braccetto del maestro Aristotele, attraversano il Mediterraneo per intero, che allora era tutto il mondo conosciuto. È la prima volta che si disegna una mappa con due linee di riferimento: latitudine longitudine.
Due linee, una croce.
Moltiplicata, una croce che diventa una ragnatela dove cercare il proprio posto nel posto.
“Quando sono di umore scherzoso, uso i meridiani della longitudine e i paralleli della latitudine come una grande rete da pesca, e con questa setaccio l’Atlantico a caccia di balene.
Mark Twain, Vita sul Mississippi
Una mappa, un nodo al fazzoletto della nostra memoria.
Nei secoli le mappe sono state dito indice con cui puntare verso isole del tesoro, annotare limiti e proprietà, (ri)trovare direzioni e commerci. Mappe per ritrovarsi prima di perdersi di nuovo, che a perdersi ci si perdeva spesso e volentieri. Ci si perde ancora, nella geografia del tempo e fra le strade della vita.
Ogni mappa è un atto della memoria contro l’oblio, a dirlo è quello scampolo di stoffa da tenere lì, come le mamme che da piccini ce lo infilavano nella taschina di una giacchetta. Per conservare e custodire.
Ritrovare la via.