Quando giochiamo al “come se” da bambini, sperimentiamo un fatto straordinario: iniziamo a dare forma ai sogni, ai nostri desideri e bisogni. L’immaginazione è un superpotere perché ci permette di connetterci al mondo del possibile, nascosto, e farlo uscire allo scoperto.
Non sempre tutto ciò che immaginiamo si realizza, ma non è questo il punto. Il punto è crescere sognatori e con questo non intendo dire crescere bambini sognatori, bensì crescere: tu, io, noi, qualsiasi sia la nostra età. Aprirsi all’immaginazione e nutrirla vuol dire sfamare la nostra parte più viva e tenera, entusiasta e sincera.
Qui si parla di viaggi e del viaggiare che è movimento attraverso lo spazio e il tempo. Bellezza che appare all’improvviso, resilienza. Geografia emozionale. Attraverso l’esplorazione del mondo, passo dopo passo, camminiamo il nostro viaggio nella vita. Ci muoviamo nel mondo esplorando i luoghi, una storia dopo l’altra.
Vagabondi nello spazio, non possiamo altro che essere viaggiatori nel tempo. La geografia diventa narrazione del nostro cambiamento, che si dà costantemente. Arriviamo e torniamo, ogni volta diversi, come differente è il meteo delle stagioni intorno a noi e il paesaggio della nostra anima.
Perdersi diventa filosofia di viaggio e di vita. Ci perdiamo viaggiando così come nell’esistenza, ci perdiamo nella bellezza e a volte nell’orrore, nelle guerre del mondo e contro noi stessi. Affondiamo e riemergiamo, ci perdiamo in un bicchiere di vino o fra i libri, in una via sconosciuta. Nello spazio della mente e del tempo. Dimentichiamo per poi riconoscerci in un lampo e ritrovarci, di nuovo.
Ogni giorno è un viaggio che non conosco
A volte con insospettabile lentezza e talvolta con il fiatone, alla rincorsa di noi stessi, inseguiamo il filo della trama dei giorni cambiando a poco a poco. Nel viaggio della vita portiamo valigie di istanti: ognuno di noi ha una valigia che porta sulle spalle. Dentro c’è la strada fatta, ma anche le mappe di dove vogliamo andare. Talvolta pesanti, i ricordi fanno ciò che siamo. Qualche volta perduti, li ritroviamo in un gesto, nell’aroma di un paesaggio, nel flash improvviso di un’istantanea che appare in superficie dalle profondità nascoste dell’inconscio.
Se c’è una cosa che ho capito è che più passano gli anni
più mi tornano in mente cose, eventi, persone, fatti.
Me lo ha raccontato una volta una persona che per mestiere era l’autista. Curva dopo curva, rincorrendo la strada mi ha accompagnato inseguendo il filo della vita: la casa dell’infanzia, la fotografia dei suoi genitori tratteggiata dalle parole e dai ricordi, il matrimonio, i figli e il divorzio, una nuova vita, i sogni del futuro, i fallimenti e le nuove consapevolezza, le speranze. Gli eventi disegnano le tappe del nostro viaggio nell’esistenza e quando li rievochiamo ciò che più importa è l’emozione con cui li abbiamo vissuto.
La macchina del tempo è la nostra immaginazione
Al mattino, mentre ci svegliamo da un sogno, per un attimo sostiamo fra due dimensioni: quella da cui arriviamo, il passato, e le sensazioni che abbiamo sperimentato mentre eravamo là, e il presente, qui e ora. Adesso possiamo vederlo, le emozioni non sempre sono le stesse. Rispetto all’evento nel momento in cui è capitato, oggi potrebbe essere che viviamo e vediamo le cose in modo diverso. Così funziona il ricordo. Elaborare forse significa proprio questo, avere il coraggio di ri/raccontarsi la propria storia e trovare nuovi sensi.
Un tempo si immaginava la memoria come una grande soffitta piena di scatole, ognuna con il suo contenuto di fatti, oggetti, incontri… piano, piano destinati a svanire nel tempo, diventare labili e sfocati come fotografie scolorite dalla luce e dall’umidità. Sì, proprio così. Ricordo la lezione della maestra di scienze delle scuole elementari quando aveva spiegato alla classe il corpo umano: le cellule hanno incredibili proprietà di riparazione e nel corso della vita continuano a crescere e rigenerarsi, tutte tranne le cellule nervose, perché il cervello è una spugna quando abbiamo pochi giorni di vita e cresce nei primi anni, poi più diventiamo adulti maggiore è la quantità di collegamenti nervosi che si perde e lentamente muore, anno dopo anno, come una condanna inevitabile.
Il cervello nasce, cresce, si modifica e ripara: il cervello è plastico
La spiegazione di un cervello che lentamente muore come una lampadina stanca, destinato a bruciarsi inevitabilmente, a me non ha mai convinto, neanche da bambina. Gli anni sono passati ed evidentemente sono tanti altri, come me, a non essersi accontentati. Per fortuna.
Le ultime ricerche in fatto di neuroscienze ci stanno raccontando che il cervello continua a evolversi anche in età adulta: negli anni gli studiosi hanno scoperto che i neuroni continuano a formarsi e rafforzare le connessioni esistenti. Si parla sempre più spesso di attività come la musica, l’arte, lo sport e le esperienze, infatti, in grado di scatenare emozioni positive stimolando la neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di modificare la propria struttura nel corso del tempo in risposta alle esperienze. Noi non siamo piccole lampadine destinate a bruciarci. Le esperienze che viviamo creano una trama luminosa di strade che ci permettono di esplorare e vivere il viaggio della vita facendo sempre nuove scoperte: ogni giorno è un viaggio che non conosco.
Il tempo passa veloce e
non ci si deve voltare indietro…
Guardare avanti
e passare nel migliore dei modi
in tutto e per tutto
il tempo che ci rimane
Questo biglietto che vedi nella foto qui sopra, è una delle lettere che ho trovato in fondo a un cassetto dimenticato. Lettere dimenticate e restituite dall’onda del tempo, forse è da qui che è iniziato un nuovo viaggio a ritroso, inseguendo il filo dei giorni perduti e ritrovati.