A cosa stai pensando?

What’s on your mind? / A cosa stai pensando? FB
What’s happening? / Che c’è di nuovo? TWITTER

Chi ha sviluppato due delle piattaforme più famose al mondo per la comunicazione ha tratto dalla vita quotidiana la domanda che al momento, ogni volta che frequenti i social, è internet a chiederci.
A cosa stai pensando?
Ei, che c’è di nuovo?

In fondo, l’essere umano difficilmente inventa di sana pianta. Immaginiamo il futuro a partire dal passato.
Negli anni abbiamo sviluppato un sistema di posta con caselle verniciate e appese sul cancello, a cui poi si sono aggiunte caselle virtuali pronte a ricevere lettere, le mail, con cui comunichiamo per lavoro e (sempre meno) con amici o parenti. Il cassetto della nonna con l’album dei ricordi è diventato un album online, condiviso in maniera più o meno privata e più o meno consapevolmente (qualche volta con risultati preoccupanti).
Le cassette, che occupavano spazio e dopo il troppo ascolto graffiavano l’orecchio perché si consumava il nastro, sono diventati sottili e delicati cd – attento a non graffiarlo – In seguito, dal cd la musica ha trovato il suo posto in una sequenza di canzoni preferite da salvare su una chiavetta, ma ora che di internet abbiamo ricchezza di giga in quantità non serve nemmeno salvare. La libreria è online e la fruizione in streaming. Nel frattempo torna di moda il vinile.

Riscopriamo ciò a cui diamo valore. Gli oggetti capaci di trasmettere le nostre storie diventano importanti.
Come i libri. Si sperimentano più spesso opere da trovare online e scaricare sul tablet. I perché sono tanti: occupano poco spazio, si possono leggere anche al buio mentre addormenti i figli la sera, a volte ti fanno trovare qualcosa di introvabile nel posto in cui vivi ma che esiste da un’altra parte del mondo e ti basta un click per raggiungere.
Ma continuiamo a comprare parole di carta, soprattutto i libri quelli belli, quelli che questo qui, sì lo voglio proprio avere in casa, lo voglio rivedere, toccare, rileggere. La bellezza è intramontabile e ne vogliamo di più. Meno giornali forse perché hanno il temporaneo iscritto nel dna e allora sì, apro il borsellino ma solo a certe condizioni, magari per una pubblicazione che è speciale, che vale la pena per i contenuti o il tipo di stampa.

Vale la pena? La domanda di sempre. Vale la pena
Cos’è che per me vale la pena?

Esiste un processo di smaterializzazione e al tempo stesso oggi più che mai siamo attenti alle tracce.
Nel 2015 Facebook ha introdotto la funzione “memories”, “ricordi”.
Che tu ne sia solleticato o meno, oggi decidi di entrare, ovvero fare login (per inciso, si fa sempre meno e l’esperienza della rete diventa sempre più un fluido in cui siamo perennemente a mollo, un gomitolo che ci si aggroviglia intorno), magari te ne sei scordato, invece no. Implacabile, la memoria di ciò che hai fatto o detto, ritorna. Con puntuale esattezza.
Proprio oggi, un anno fa… due anni fa….nel 20xy eri qui, ti sentivi così, volevi comunicare questo.
I nostri pensieri ritornano. È ancora ancora quell’attimo lì, preciso intatto.
Le fotografie di un tempo sbiadivano nel cassetto e chissà che cosa provavamo, che cosa abbiamo detto esattamente.
Non lo ricordiamo più.
Invece, i ricordi oggi qui nel mondo di internet ci ricordano ciò che può persino capitare di non riconoscere più.
Davvero mi è successo di pensare questo? Accidenti, non me la ricordavo quella giornata. Eppure sì, adesso lo vedo: quella foto lì, quei colori. Le parole che avevo scritto mentre facevo questo o quello, ero con quella persona lì. Accidenti.
La polaroid di un attimo eterno, anche se ormai irrimediabilmente passato, ci costringe a un esercizio della memoria continuo.

A cosa stai pensando? incalza e la nuvoletta è come quella dei fumetti, bianca, la devi riempire tu. Ti chiama per nome e ti incalza a dire quello che ti passa per la mente, con quello che stai vivendo veramente. E dillo, una buona volta. Accidenti, sii sincero, la domanda da un milione di yuan, come diceva il mio prof di storia dell’arte del liceo, che chiunque ha fatto almeno una volta, o dodicimila, a una persona: a cosa stai pensando? E non dirmi niente perché non è vero.
Sforzati. È richiesto uno sforzo, un esercizio che questa volta non è di memoria ma di sincerità. Se lo fai veramente, se tu veramente scegliessi di farlo, potresti persino tirar fuori qualcosa, qualcosa di buono e sincero su ciò che vivi, ciò che stai vivendo adesso, su come ti senti e quello che vorresti comunicare all’altro.
L’altro che è poi un amico, o tale dovrebbe essere, nel mondo inventato da questo social nato in un’università e diffuso, un anello dopo l’altro, fino a te, me, noi. Una cerchia che vuole essere chiusa, in alcuni casi più permeabile, in altri sigillata, di gente che si conosce e si riconosce, si cerca e qualche volta, ma solo qualche volta, interagisce condividendo ciò che sa, ciò che importa, ciò a cui dà valore.

Da una parte esercizio introspettivo, o se non altro esplorazione orientata verso l’interno delle proprie vite, dall’altra spazio che porta fuori, a un esterno che diventa piazza del mondo intero, anzi molto di più: una piazza virtuale dove si affacciano edifici di ogni nazione. A ritrovarsi qui sono navigatori che parlano mille lingue, si incrociano attraverso merci e discorsi. La scia delle parole li porta a incrociarsi, magari solo per un incontro fugace oppure chissà, per rivedersi o magari anche inseguirsi e seguirsi, il cinguettio di un uccellino che ormai abbiamo imparato a conoscere, quello che spunta ogni mattino sul davanzale di casa.

Che succede là fuori, cosa c’è di nuovo?Una domanda da bar, da sala d’attesa; sconosciuti uno di fianco all’altro, seduti sulla stessa notizia che è poi questo alla fine che li accomuna:il motivo per cui sono qui, quello che li ha fatti fermare un attimo.
Tu che cosa cerchi? Perché ti trovi qui?
E allora succede che se condividi, ma condividi veramente accade di esporsi sul serio; sogni, mancanze, lotte, bisogni. Quello che vuoi, quello che ami e per cui lotti a guardare bene lo cercano in tanti. Ce ne sono tante di persone come te e se segui il filo le trovi, le puoi scoprire sulla scia dell’odio oppure tessendo trame capaci di cambiare il mondo.
Perché il mondo si cambia anche attraverso le parole, le idee. Anche attraverso le piccole cose, i sogni. Anche attraverso la poesia, i gesti del quotidiano.

Condividere moltiplica ciò che siamo e vogliamo, lo espande.
Aggiunge all’energia potenza e risoluzione

Di che cosa è fatto un ricordo?

L’etimologia della parola ‘ricordo’ viene da cor, cordis: cuore.
Sì, sono esistiti popoli antichi, come gli Egizi, che ritenevano il cuore la sede della memoria.
Ma no dai, ora lo sappiamo. È il cervello. Qui dentro, in questa scatola nera che chiamiamo cranica, c’è un gheriglio che contiene tutte le nostre informazioni.
Fra l’altro ha proprio la forma di una noce, che strano.
Due emisferi collegati da un corpo calloso. Un tempo, in realtà non molto tempo fa, si pensava che queste due parti fossero ben distinte e ognuna con le sue funzioni. Oggi sappiamo che queste differenze che per secoli abbiamo cercato di mettere in ordine, destra, sinistra, razionalità, creatività, ordine, caos, in realtà giocano a nascondino e si scambiano, si rincorrono. Parlano di un mistero molto più grande in cui tutto si trasforma.
A raccontarlo sono anche le storie di chi si è fatto male, di chi è sopravvissuto e si è trasformato a causa di malattie per cui abbiamo dovuto inventare nuovi nomi. Più lo si studia, più il cervello sfugge alla classificazione di parti ben divise e organizzate, ognuna con la sua funzione. Dentro, si rigenera, evolve, cambia.
Una parte può soccorrere l’altra. Come accade alle piante, la natura ci insegna che certe incredibili armonie nascono dalle tragedie di qualcosa che spezza lo sviluppo ordinario.
Ed da lì che si riparte. Un tronco contorto, la vena di un ramo che si arrampica attraverso le sbarre che gli avevano precluso la luce, anelando luce e aria, almeno quanto basta per continuare a vivere.

Il cervello vive di misteri che ancora non conosciamo e forse non conosceremo mai del tutto.
Ma continuiamo a cercare. A fare domande.
Sì, tanto tempo fa si costruivano immense tombe di pietra e dentro ci mettevano a riposare i defunti con intorno tutto ciò che sarebbe servito per il viaggio nell’aldilà.
Il cuore, però, veniva nascosto in un’anfora.
Una volta attraversata tutta la notte sulla barca del dio Ra, il sole, una volta passati i cancelli che dividevano il mondo di qui dall’altro di là, allora sarebbe arrivato Anubi, dio della morte e dei cimiteri, ululato solitario nell’oscurità.
Maat, dea della giustizia e della verità, allora avrebbe fatto la sua comparsa arrivando in punta di piedi, con le grandi ali spiegate e la sua tunica di luce dorata come l’alba. Si sarebbe sfilata la lunga piuma bianca dalla fascia che le cingeva la testa e sfiorando la bilancia l’avrebbe appoggiata lì.
Su un piatto la piuma di Maat, sull’altro il cuore. Così si raccontava nell’antico Egitto.
Solo se il cuore fosse risultato più leggero, allora chi aveva lasciato la vita avrebbe potuto proseguire il viaggio senza tornare indietro.

La memoria del cuore: le ultime ricerche in fatto di neuroscienze spiegano che è l’ultima a rimanere.
Resta con noi sempre, fino alla fine.
Dimentichiamo come si fanno le cose, a cosa servono; un malato di Alzheimer si perderà cercando quali strade e vestiti indossare. Le mappe, le mappe geografiche che abbiamo disegnato con i nostri spostamenti nel mondo e le mappe che chiamiamo cognitive, fatte delle strade scoperte durante la vita e registrate dentro di noi, si sfocano, non concidono più.
Eppure continuiamo a ri-cor-dare. Ciò che torna a galla increspando la superficie del nostro cuore è ciò che ci ha emozionato, ciò che nel bene o nel male ha contato. Che cosa vale la pena per te?
La domanda che porta avanti le nostre giornate, i progetti, o quella che ci neghiamo; l’interrogativo muto che a volte preferiamo saltare, quello che ci fa salire sulla bilancia e fare i conti con noi stessi.

Dagli abissi del nostro cuore emergono frammenti, fugaci come un lampo.
Istanti, momenti di tempo non importa quando.
Per un attimo è ancora lì, vivo
presente. Il ricordo
accade sempre adesso

I ricordi sono miei, sono tuoi. Sono per ognuno diversi.
Ma fanno parte di un’unica storia che si perde in mille fili.
I fili sì, hanno colori diversi. Diverso spessore, materia, provenienza.
Eppure i nostri ricordi disegnano una mappa che conosciamo bene.
Infanzia. Casa. Paura. Sogno. Pericolo. Avventura. Crescita. Famiglia. Amici. Case. Mani. Sguardi.
Quante parole potremmo aggiungere.
Ogni parola è un mondo intero, il mondo che abbiamo vissuto. Ognuno una prospettiva diversa, ognuno parte della grande strada che alla fine percorriamo tutti. Siamo storia nella grande Storia del mondo e camminiamo nel viaggio della vita, ciascuno con il suo passo.
E poi guarda che buffo, se spacco una noce a metà vedo un cuore.

La Biblioteca del Tempo desidera diventare questo: un posto dove raccogliere i nostri ricordi.
Quei momenti unici, a volte insignificanti, quelli in cui il cuore si è fermato e ancora oggi batte forte quando siamo lì.

✏️ Doni un ricordo? Se hai voglia di condividere una memoria scrivi a bibliotecadeltempo@gmail.com oppure usa #bibliotecadeltempo

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