primo settembre

agosto-1939

Agosto se l’è portato via una fotografia d’altri tempi,
trovata in fondo a un cassetto di una vecchia casa di montagna,
quella in cui viviamo noi vagabondi immaginevoli, la canina lagotta e il piccolo viaggiatore intergalattico,
noi e i fantasmi, i bauli di altri vite e le nostre, negli zaini di altre case portate qui dall’altrove.

Agosto 1939, è scritto a matita
la grafia ordinata che si usava un tempo, non senza qualche svolazzo qua e là.
Il nome della donna si è perso,
si è perso il contesto, il luogo.
L’occasione no,
sta lì, ferma da decenni
impressa dal momento
nell’immagine

il grano, materia dorata ed essenziale
sopravvivenza
il grano che arriva a costare un capogiro nelle guerre,
oggi come ieri,
il grano lavorato a fatica da mani che non hanno paura
della terra e dei tagli.

Agosto era la festa del grano,
un po’ ce lo dimentichiamo vivendo in città.
Ma ai bordi delle strade quando vediamo i campi
ci emozioniamo
girasoli dalla testa alta e una distesa gialla di grano

oggi è il primo settembr del ’22
se togli i primi due numeri davanti rimane il ’22
questa foto accade fra dieci anni,
il secolo lo abbiamo scordato
ce lo lasciamo alle spalle

stamattina i passeri scendevano sul tavolo di legno fuori,
intriso d’acqua lui e intrisi d’acqua loro.
La pioggia forte del mattino, le rose rosse del giardino sfatte
la rugiada e le ultime api,
un merlo fuggitivo
la nebbia che poi si dirada, i biscotti e il tè
la luce accesa di mattino presto e poi spegnerla
cuscini scomposti del divano e cartoni animati degli anni Trenta
leggere libri
guardare dalla finestra, che
c’è bisogno di un orizzonte
e poi partire con la valigia dell’immaginazione

l’asinello di Winnie The Pooh, per cui gli amici provano a fare di tutto per renderlo felice credendolo triste, svela un segreto
una visione bellissima, così fra la pioggia e i fulmini
uno spettacolo di colore che buca il grigio là dove sembrava solo esserci il cupo
Everybody can do it, just use your imagination

Inseguendo farfalle…

Nasce bruco tra le foglie sotto le piante di violetta e viola, che ama particolarmente.
Vola per tutta l’estate,
attraversando l’aria adagio,
assomiglia a un frammento di carta colorata portato via dal vento
la farfalla Speyeria aglaja,
arancione
della famiglia dei Nymphalidae:
“Grande Perla”,
piccole macchie rotonde e escure sulle sue ali color tramonto

e poi c’è la cavolaia
che minaccia gli orti e depone le uova sotto le grandi foglie verdi dei cavoli
leggiadra se ne va,
leggera e candida

la vanessa del cardo, invece
ha stupito tutti perché ci si è accorti che
compie un viaggio lunghissimo
dall’Europa all’Africa:
come la monarca, una farfalla migratrice.
Nasce sulle piante di cardo selvatico,
si trasforma in fretta e alla prima generazione ne seguono altre due.
La terza generazione di farfalla del cardo in autunno è crisalide.
Passerà l’inverno così, crisalide,
per poi nascere in primavera. Intanto,
fra aprile e maggio
la prima generazione parte.
Partirà di nuovo in autunno,
e così via:
il flusso di un movimento incessante che culla il cambiamento.

Nel pensiero antico la farfalla è il soffio, il respiro vitale dell’essere umano. Fra i popoli più diversi, dagli Aztechi all’antica Roma, si diceva che nel momento della morte con l’ultimo respiro se ne andava lo spirito della persona, che prendeva ali di farfalla. Ecco perché una farfalla che arriva all’improvviso vicino, raccontavano le nonne, porta il ricordo di un nostro caro che viene a salutarci.

Ma la farfalla con la sua metamorfosi ci insegna anche una preziosa lezione sulla trasformazione. Trans-forma, attraverso la forma: il cambiamento profondo è trans-forma, avviene con un processo che parte da dentro. Non è negando ciò che siamo stati che ci trasformeremo in ciò che aneliamo essere: è il mondo dentro che accade e fa cambiare, deflagrare e mutare il mondo fuori, lo investe e ridisegna.

Dalla crisalide impariamo che esiste un momento per tutto: anche quando, apparentemente, stiamo fermi
ci muoviamo.
Anzi, spesso proprio questo è difficile.
Stare fermi,
rinchiudersi in un bozzolo
osare
lasciare il mondo fuori
per concentrarsi sul dentro

è l’unico modo per sentire la propria voce.
Perché i sogni, come le trasformazioni grandi
hanno una vocina sottile:
bisogna aspettare
farsi amico il Tempo e
restare attaccati alla terra,
nutrire le radici.
Le ali, arriveranno.
E prenderemo il volo insieme all’anelito di dove ci porta il cuore,
senza più pensare a chi siamo e se sappiamo o no volare

Ultimo giorno di luglio

Fra i sorrisi di una giornata semplice e bellissima….
le mani stanche e soddisfatte di quando metti a posto cose, stanze, situazioni – oggi la legnaia – che ti lasciano la polvere addosso e l’anima leggera
la meraviglia di quelle giornate in cui hai la sensazione di aver fatto tanto e aver vissuto ogni ora, sarà perché ti sei svegliato alle sei con il profumo di caffè e le fette calde tostate e la marmellata di ciliegie e il burro e poi il riposino sul divano a metà mattina e tutti gli orari strani e scombinati che sono la cosa bellissima della vita in generale e dell’estate in particolare
un piccolo viaggiatore intergalattico che non si arrende al tramonto. ‘namo, dai – andiamo
Dove?
Là. LLLà
A fare benzina, papà
Indossare la felpa di un amico
I giochi, le scale e gli scivoli
La casetta con i libri del book sharing
La fontanella con la testa a forma di pesce e l’acqua che si accende e spegne
La luce arancione del tramonto che scende fra i crinali delle montagne ritagliate come sagome di carta
E poi?
“Biletta! Apta!” la birretta e l’acqua con le bolle
Uno talallo – un tarallo, uno! gli aghi di pino, le sdraio di tela e legno ma in versione gnomo per i bambini piccoli che ci si mettono sopra e si sentono grandi
La luna, i libri da sfogliare mentre si aspetta
Il buio blu e le prime stelle
Tornare a casa con la testa piena di sogni e sorrisi

L’ultimo pensiero della giornata: quanto vogliamo imporre noi la nostra visione e quanto decidiamo di lasciarci contaminare? Che siano i figli, il cane, il gatto, i compagni di vita o la coinquilina che diventa per sempre, la famiglia è un sistema in cui tutti dovrebbero, e possono, influenzare l’altro. E allora non solo dare le regole, specie ai più piccoli, ma anche lasciarci inondare dalle loro prospettive sul mondo e da quello che la vita ci lascia scoprire ogni giorno, anche e soprattutto nelle situazioni che non avremmo mai immaginato

E poi. Papà che guarda le stelle. La finestra aperta e l’aria della notte quasi fredda, le montagne scure all’orizzonte. Una musica lontana. Tu che appoggi la mano sul mio braccio mentre dormi. Un libro bello. La lanterna accesa. Il segnalibro della Pimpa con le foglie e l’autunno che è già dopodomani

 

Ultima settimana di luglio

Sbattere le palpebre al sole
Rovesciare il latte a colazione
La doccia, i piagnistei, i mugulii e la borsa da infilare sulle spalle
I sentieri d’estate
Il fiatone e il sudore
I tunnel creati dai rami verdi degli alberi e tu che me li fai notare, tunnel!
Arrivare nel posto dei cavalli e salutarli con il pane secco
Beccare proprio il momento finale della costruzione di un muretto di sassi lunghissimo e vedere l’orgoglio di soddisfazione negli occhi di chi l’ha costruito, con uno sguardo così limpido e leggero che arriva fino all’orizzonte
Il sole delle undici, che inizia a rallentare e fermarsi in mezzo al cielo
Tornare con te addormentato su una spalla e Kukla, una zampa dopo l’altra, che ci affianca stanca
Aprirsi una birra gelata e mentre tu dormi sul divano raccogliere la salvia, l’odore forte fra le dita
Le cicale di mezzogiorno

Lunedì 25 luglio ’22, ultima settimana di luglio

Mare al mattino

Mare al mattino, poesia di Konstantinos Kavafis, 1915

Fermarmi qui. Per vedere anch’io un po’ di natura.
Luminosi azzurri e gialle sponde
del mare al mattino e del cielo limpido:
tutto è bello e in piena luce.
Fermarmi qui. E illudermi di vederli
(e davvero li vidi un attimo appena mi fermai);
e non vedere anche qui le mie fantasie,
i miei ricordi, le visioni del piacere.

Poeta e giornalista, Konstantinos Petrou Kavafis ha un nome greco, ma nasce e vive nella città di Alessandria d’Egitto. I suoi genitori erano greci della comunità ellenica di Istanbul e avevano quella che oggi si chiamerebbe ditta di import-export. Tuttavia il papà morì e Kostantinos, insieme alla sua famiglia, emigrò nelle lontane terre nebbiose del Regno Unito, dove visse a Londra e Liverpool. Ma ad Alessandria tornò, quando aveva sedici anni, e lì trascorse gli anni di tutta la sua vita. Visse a cavallo di due secoli, l’Ottocento e il Novecento.

Nel 1801 i britannici sconfiggono i francesi nella battaglia di Alessandria, presso le rovine di Nicopoli: è l’ultimo respiro dell’impero ottomano, durato dal 1299 al 1922 per 623 lunghi anni. In questo ultimo periodo di anarchia Alessandria, che nell’antichità fu un’immensa metropoli e un’importante centro culturale, era stata dimenticata. Sommersa dalla polvere del tempo dell’antico centro, con il ricco quartiere degli artigiani, il faro e la storica biblioteca, celebre in tutto il mondo, ea rimasta una cittadina di quattromila abitanti circa.

Il pascià Mehmet Ali era un capo militare dell’esercito ottomano e in seguito sarà considerato il padre fondatore dell’Egitto moderno per aver abbattuto il regime neo-mamelucco. Era nato nella città di Kavala, Qawāla, in Macedonia, che al tempo faceva parte dell’Impero ottomano, da una famiglia albanese e i suoi genitori erano originari di Coriza, una città dell’Albania circondata dalle montagne della Morava e infatti il suo nome significa proprio questo, “collina”, gorica, diminutivo di gora, “montagna”, in tutte le lingue in cui è chiamata (almeno tre, aromeno, bulgaro, greco, macedone, turco). Mehmet Ali era il secondogenito di un mercante di tabacco e suo padre si chiamava Ibrāhīm Agha, invece sua madre, Zeynep, era la figlia dell’ayan di Kavala, Çorbaci Husain Agha. In lingua araba “ayan” significa persona di spicco e nell’impero ottomano alla classe degli ayan appartenevano persone con grandi cariche di potere, a capo di corporazioni artigiani o militari. Da ragazzo Mehmet Ali prestò servizio nell’unità di Kavala, dove era cresciuto, ma suo padre, proprio come il padre del poeta Konstantinos Petrou Kavafis, morì in giovane età, così fu entrò nella famiglia di uno zio, crescendo insieme ai suoi cugini. Insieme a una famiglia tutta di militari crebbe di ruolo in ruolo fino a diventare secondo comandante per poi partire, volontario, con i soldati mercenari albanesi. Fino in Egitto, a rioccupare quelle terre di lingua araba dopo il ritiro di Napoleone Bonaparte.

Ad Alessandria d’Egitto il Chedivè Mehmet Ali costruì la sua casa e favorì la rinascita della città grazie a grandi lavori pubblici: fu lui a ordinare di scavare il Canale Mahmūdiyya, una nuova via di comunicazione con il Nilo, terminato nel 1820 e riutilizzare il porto occidentale. Nel 1856 fu costruita anche una ferrovia che collegava Alessandria d’Egitto con Il Cairo. Nel frattempo si rafforzavano le fortificazioni. Prima i greci, nel 1827, poi una coalizione di inglesi, francesi e russi, nel 1828, minacciarono la città. All’orizzonte, nel 1882, si vide arrivare una flotta anglo-francese: si scatena una rivolta e vengono massacrati quattrocento europei che vivevano ad Alessandria. L’ammiraglio britannico, sir Frederick Beauchamp Seymour, e più tardi Lord Alcester, dopo aver lanciato un ultimatum, bombardano i forti dal mare, senza far sbarcare le truppe. Dopo altri giorni di rivolte e uccisioni in strada il Regno Unito invia una spedizione militare e occupa il Paese. Durante l’occupazione inglese Alessandria diventa sede navale militare. Dopo la seconda guerra mondiale, con la campagna nord-africana del 1940-1943 e la decisiva battaglia di El-Alamein, il destino della città cambia con il colpo di stato militare egiziano del 1952, quando il colonnello Nasser prende il potere e il trattato anglo-egiziano del 1954 fissa i termini del ritiro delle truppe britanniche.

Mehmet Ali, nato in Grecia e morto ad Alessandria, vissuto fra due secoli, il Settecento e l’Ottocento; Konstantinos Kavafis, nato e morto ad Alessandria d’Egitto, greco, vissuto a cavallo di due seeoli, l’Ottocento e il Novecento. Uno un uomo del comando militare, l’altro un poeta, che nascerà vent’anni dopo la morte del comandante: ad accomunarli una città. Alessandria d’Egitto.

Falena

Appartiene all’ordine dei Lepidotteri, come le sorelle farfalle, ma la falena vive di notte e nel buio è irrefrenabile la sua ricerca di luce. Si vede volare nelle lunghe sere d’estate quando la luna e le mille lampade accese fra le finestre aperte la confondono e irrimediabilmente attirano in una magica trama.

A essere precisi si chiama “fototassi”: è il fenomeno per cui alcuni animali sono attratti dalla luce. Si nutre di corteccia la falena, ma anche di polline e persino del materiale organico che resta fra i tessuti dell’auto o sulla moquette. Come i gufi è un animale notturno e popola le ore di buio dopo il tramonto. Gli indiani d’America osservavano con rispetto la falena e le sue trasformazioni, in Europa si diceva che le fate e le streghe diventassero falene durante la notte, per viaggiare indisturbate e volare senza che nessuno le potesse riconoscere. Un piccolo animale magico con ali… che rivelano la faccia di un gufo! Un modo per far scappare i possibili predatori fingendo di essere essa stessa un temibile predatore.

Animale notturno, la falena è una specie in via di estinzione. Dal 23 al 31 luglio sarà la settimana dedicata alla falena, National Moth Week

Nota come Attacus Atlas, la falena cobra nasce fra le vette dell’Himalaya ed è una fra le più grandi al mondo, insieme alla Saturnia maggiore, che vive in Europa, e all’Antheraea mylitta, le falene giganti del genere Antheraea. La falena Acherontia atropos, nota come “Sfinge testa di Morto”, emette un verso stridulo e per questo in passato venne associata alle streghe e alle sciagure: fa paura, invece è totalmente innocua come tante delle cose che ci fanno paura.

Quando incontri una falena guardala da lontano, ammira la sua leggerezza aerea, imprimi nella mente i suoi colori autunnali, che assomigliano a fragili foglie secche. Da tempo immemorabile il simbolo della falena la lega al POTERE DELLA TRASFORMAZIONE: da bruco si trasforma in una farfalla, la metamorfosi della natura ci ricorda che la trasformazione avviene dentro ognuno di noi, senza sforzo. Dal latino, trans/forma, attraverso la forma: non bisogna avere fretta, tutto accadrà al momento giusto. Bisogna lasciare fare al tempo e affidarsi, noi che invece abbiamo fretta di fare tutto e subito.

Volando nella notte, le falene sono state associate al mondo dell’aldilà e alla capacità di vedere oltre. In alcune culture una falena che ci gira intorno è un nostro caro, scomparso, che ci viene a fare visita e chissà, non sappiamo se sia effettivamente così ma è così bello pensare, in queste lunghe sere d’estate che le persone a cui abbiamo voluto bene facciamo ritorno, solo per un attimo, per sfiorarci con una carezza. La prossima volta che vedrò una falena penserò a questo e chiudendo gli occhi manderò un pensiero a qualcuno che ora è lontano, per sentirlo più vicino.

Il 23 luglio inizia la settimana dedicata alla falena, National Moth Week (23-31 luglio), creata nel 2014 da un team internazione di ricercatore per condividere le ricerche e destare l’attenzione sulle falene, che spesso vengono uccise e invece sono una specie in via di estinzione. Per collaborare è possibile visitare il sito dedicato National Moth Week. Nella sezione Kids del sito puoi scaricare un album da colorare ideato sulla figura della misteriosa falena e giocare al memory game.

Meriggiare pallido e assorto

Scritta nel 1916 e pubblicata nel 1925 nella raccolta “Ossi di seppia”. Mezzogiorno d’estate, l’ora in cui tutto tace e nel silenzio immobile solo i suoni impercettibili della natura: il fruscio di un merlo in una siepe, le bisce che scivolano nella polvere della terra secca e sotto il sole interminabile la fila di minuscole formiche rosse, imperterrite nel caldo. I concerti delle cicale e lontano, il blu intenso del mare: che meraviglia quella parola, “scaglie” di mare, che è vero, guardandolo a distanza quell’immensa distesa azzurra, sembra un po’ di ricevere negli occhi schegge di  luce che brilla sull’acqua. E poi il sole che abbaglia e sedersi, come fa il poeta, all’ombra di un muro, uno di quei vecchi muri di mattoni dove una volta si usava mettere sopra cocci di bottiglia, chissà, un po’ per scoraggiare i ladri un po’ per tradizione e nell’ora della siesta, dove l’aria è così ferma e tutti dormono o sono nelle case, riflettere sull’esistenza e pensare con meraviglia a questa vita, così piena di travaglio, che è una parola antica per dire preoccupazione ma anche lavoro. Questa vita faticosa e anche bella, così complessa e complicata da spiegare, questa vita che in questa bellezza crudele e grande della natura, ci fa sentire anche disperati e stanchi, pieni insieme di stupore e malinconia. E di fronte a questi muri invalicalibili sentiamo un po’ anche i nostri limiti, e questo tempo che ci scorre addosso. E proprio d’estate, nel sole di mezzogiorno che colpisce l’anima, c’è anche la solitudine di quando tutto si ferma e, per un attimo, sembra morire tutto il mondo, in silenzio.

Meriggiare pallido e assorto: poesia di Eugenio Montale

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
m entre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.