24 luglio

Hiram Bingham, storico, annuncia agli accademici dell’Università di Yale la scoperta di Machu Picchu in Perù, antica città Inca a 2430 metri d’altezza. Era il 24 luglio 1911 e lo studioso continuerà a scavare, fra rocce ed erbacce, fino al 1915 portando alla luce ciò che oggi è un sito protetto Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, nel 2007 eletto una delle Sette meraviglie del mondo moderno.

Cronaca di una giornata di autunno

La nebbia dei giorni scorsi ha lasciato il posto a un nuovo sole,
più freddo e umido di sera, il cielo è
azzurro terso con il cuore sgombro di nuvole
fra mezzogiorno e le due
la luce scalda l’anima
scioglie la brina di questa prima mattina di gelo

in montagna
l’orizzonte della terra che spunta fra i boschi
ha la pace di una noce lavata dal sole
roccia
presenza

il respiro
prende spazio
nel vuoto

aria fredda e sole in faccia,
respirare più profondamente
fare piccoli passi
tenersi per mano
ridersi da vicino vicino
fare naso naso con la punta
baciarsi forte e mangiare wafer al cioccolato,
come da bambini

il latte e il caffè proibito
a cinque anni, di nascosto
la moka azzurra di una nonna indimenticata,
le lunghe mattine assonate, quando
novembre si sveglia piano, fra le nuvole
il sole sulle tegole
un profumo dimenticato
il muschio così verde e chi già lo trasforma
rubare le pecore da un presepe

nell’ovunque
sprazzi che dimenticano il verde e virano
verso il giallo e il rosso,
il cambiamento

in giardino è tempo di rose tardive,
svoltiamo l’angolo e una compagnia di giovani merli
vola via,
fra i sassi
le tracce
bacche rosse
rubate alle siepi

in questa giornata di autunno
nel sole ritrovato
raccogliamo le foglie gialle, che
marciscono
cumuli fra cumuli
terra alla terra.

Tempo di bocche di leone,
viola acceso,
fioriscono fra i sassi dei vialetti
nei cortiletti delle case di vacanza chiuse
le malvarose, altissime

rosso,
ovunque.
La natura combatte la nebbia di novembre
veste i suoi ultimi fiori
porpora

mercoledì 24 novembre ’21

Autunno nella medicina cinese

Autunno, stagione del cabiamento. Secondo il sapere millenario della medicina cinese l’autunno corrisponde all’elemento metallo.

In montagna è il momento in cui la legna tagliata viene messa via per l’inverno. In giardino si spazzano via i resti di terra. Si taglia tutto ciò che è sfiorito, si piantano i bulbi che fioriranno la prossima primavera. Oggi una sconosciuta signora ci ha regalato i semi presi dalle bocche di leone: dice che, piantati ora o nella stagione primaverile, crescono ovunque. Le foglie che cadono si perdono nella madre terra e si fondono con il terriccio e l’erba, si reintegrano i sali minerali e le sostanze nutritive.
Nell’aria odore di muschio e legno.

Oggi è il primo giorno d’autunno, tempo di equinozio e di luce che muta.
Trasformazione, la parola dell’autunno. Come la natura in queste settimane, con il sole che viene e va fra le nuvole; le maniche del primo maglione preso dall’armadio tirate su, per giocare ancora un po’ con l’acqua e le piante. Foglie da raccogliere e guardare, ognuna diversa nelle sue sfumature.

In medicina cinese sono associati all’autunno i polmoni. L’energia vitale, che in Cina è chiamata qi, è soffio che passa attraverso i polmoni. Respiro. Il battito del cuore è il comando dell’imperatore e i polmoni i ministri che disciplinano e direzionano a tutto il regno la volontà dell’energia vitale.

Dopo l’estate è il ritiro in se stessi. Introspezione, momento per guardarsi dentro. Ri-connessone.

Emozione dell’autunno la tristezza. Chi è più sensibile può avvertire un senso sottile di angoscia, la malinconia della luce che diminuisce, abbandono. È il senso della fine, che è più facile dimenticare quando il sole è alto ma poi torna dentro ogni cosa quando appare nel suo essere effimero.

La fine ci prenderà, ecco la lezione della luce, che è destinata a diminuire da qui a dicembre, fino a spegnersi. Ma la fine è anche il momento che ci porta alla resa dei conti. Mentre facciamo pulizia, in casa e in giardino, togliamo il vecchio dalla mente, tagliamo i rami secchi dalla nostra vita.
Facciamo spazio per ciò che deve venire. In questo sta, forse, l’inizio della trasformazione: accade là dove c’è spazio vuoto per fiorire.

Cosa può fare un seme

Questa è la storia di un seme, questa è la storia di una dimenticanza e di tutto il tempo che c’è in mezzo.
Perché noi vogliamo tutto e lo vogliamo subito. È il problema mio, tuo, il problema di tutti.
Ma ci sono degli altri che loro no, sanno aspettare.
Sono esseri silenziosi loro, li vedi tutti i giorni. Alti-alti o bassetti, hanno forme diverse. Proprio come noi. Son piuttosto silenziosi, a dire il vero. Ma se ascolti bene la senti, è una voce che viene da lontano, sale dal profondo e si apre al vento, vola insieme alle rondini e ai passeri che si nascondono tra le foglie.

Loro che ci osservano, a un passo di distanza. Aprono le braccia e i loro rami sono nido, riparo, musica dell’aria. Piedi ben piantati a terra, radici di un carattere forte che sa opporsi alle tempeste senza darsi per vinto. Parlo degli alberi.
Anche il più grande e forte, nasce da un piccolo seme.

Ecco, questa è la storia di un piccolo seme che ha viaggiato attraverso il tempo.
Sì, perché c’è un viaggiare nello spazio e uno nel tempo.
Gli alberi sono viaggiatori del tempo.
Intorno a loro crollano i muri, diventano vecchi i bambini e l’amico albero è ancora lì, con la pelle ruvida dove appoggiare il palmo di una mano e ricordare sogni antichi.

Un giorno il piccolo seme dimenticato ebbe voglia di farsi trovare ed è così che fece capolino, tra le rovine del palazzo di Erode il Grande sulla fortezza di Masada, là dove rivoluzionari troppo amanti della libertà si suicidarono per non cadere schiavi, in una guerra lontana.

Tanti e tanti secoli fa, prima che arrivasse la guerra, il regno dove stava questo antico palazzo era un immenso giardino di palme da dattero. All’ombra delle palme ci si distendeva quando il sole forte bruciava la pelle e i pensieri. I datteri, grandi e dolcissimi, venivano essiccati per farne dolci e succhiare la polpa nutriente durante le notti fredde del deserto. Era tremila anni fa.

Le pagine di un libro antichissimo, la Bibbia, uno dei primi libri dell’umanità, raccontano di quelle distese di palme, alte e sinuose nel vento di queste terre abitate da pastori, artigiani e nomadi, esperti conoscitori delle montagne. Ma il primo settembre del 70 d.C., giorno otto del mese di Gorpieo, Gerusalemme bruciava e con lei tutti i boschi: date alle fiamme le case e le antiche piante di palma. Per giorni, settimane intere, il fumo nero trasforma il cielo, ogni cosa diventa carbone e polvere.

Passano i secoli. Nei primi anni del 1960 un gruppo di ricercatori scava tra le antiche fondamenta di quello che fu il palazzo di Erode il Grande. Quello dell’archeologo è il mestiere di chi sa togliere la polvere con l’arte della pazienza e costruire con il saper fare dell’immaginazione. Lentamente, giorno dopo gratta via il tempo che si è accumulato fra i gradini della vita, porta alla luce le sale dove un tempo si ballava e parlava, guardando il cielo dalle finestre ora sgretolate.
Ecco che un bel giorno la pazienza, come accade sempre, viene premiata.
Insieme a scheletri vecchi di secoli, monete e legno carbonizzato nella polvere appare un vaso di terra pieno di semi. Semi millenari di duemila anni fa, che verranno custoditi dalla Bar-Ilan University di Tel Aviv per altri quarant’anni.

Può un seme resistere per duemila anni e oltre, osare germogliare e dare frutto? Il sogno di Sarah Sallon, esperta di piante mediorientali presso il Centro Medico Hadassah, a Gerusalemme, è piantare semi antichi e studiare i benefici di queste piante, scomparse, per la cura delle malattie.
L’incredulità della botanica Elaine Solowey, esperta in agricoltura sostenibile, all’inizio era molta.
Perchè quando ti trovi davanti a un grande sogno all’inizio è sempre così: sembra troppo grande, troppo lontano e impossibile.
Eppure, in questo sta la magia dei grandi sogni. Trovano sempre un modo per accadere.
Insieme, queste due donne hanno deciso di affidare alla terra la risposta.
Con il benestare dell’Antiquities Authority d’Israele, alcuni semi riescono a fuggire dal buio del cassetto in cui erano conservati: saranno piantati nel giorno della festa degli alberi, Tu b’Shvat, in segno di buon auspicio.
Qualche settimana dopo un minuscolo germoglio, il primo.
Un segno della forza della vita attraverso il tempo.

tamar, come era chiamata in lingua ebraica questa palma da dattero, non è estinta.
Le guerre e i cambiamenti del clima l’avevano fatta sparire, lei che invece era stata il simbolo di questo territorio, incisa sulle monete durante la dominazione dell’antica Roma.
Ora Methuselah, come è stata soprannominata, Matusalemme, guarda il mondo così trasformato in sua assenza e io me la immagino sorridere in quel modo che hanno solo gli alberi, infinitamente più saggi di noi, si sa, più pazienti e aperti a questo cambiamento che ci prende da dentro, tutti quanti.

Anzi, me LO immagino. Perchè a dire il vero, il piccolo seme ha dato origine a una pianta maschio. La dottoressa Solowey ha notato una stretta parentela fra Methuselah e una varietà antica di palme egiziane, le Hayany, che esistono ancora oggi. Una palma Hayany è stata impollinata con il polline di Methuselah.
Ora le famiglie hanno stretto il filo di un’unione che ha portato discendenti di una nuova popolazione.
Chissà, dove ci porterà questa storia.
Adesso Methuselah, esemplare di Phoenix dactylifera, vive al Arava Institute for Environmental Studies nel Kibbutz di Ketura, in Israele, dove è stata piantato una volta troppo grande per continuare ad abitare in un vaso.

Mentre tutto si trasforma e ci trasforma, inesorabilmente, questa storia ci insegna che il potere di un piccolo seme può ancora far succedere le cose, la vita. Ci ricorda che tutto può accadere, soprattutto l’imprevedibile.
Ci sconvolge la meraviglia la magia di ciò che appare e tu pensavi perduto per sempre.
Invece no, era solo dimenticato, era solo nascosto.

La forza è anche quella delle piccole azioni che cambiano il mondo, di una ricercatrice e del suo sogno.
Osare, bisogna. Sempre. Togliere dalla polvere, con pazienza.
Immaginare, con coraggio. Combattere e chiedere, per uscire dal buio.
Perchè solo ciò che esce allo scoperto, e fugge da un cassetto, infine germoglia.

Chankillo in Perù, millenario calendario solare

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Chankillo in Peru – fotografia di Ivan Ghezzi/Courtesy of World Monuments Fund.

Ci sono tredici torri nel deserto, in Perù, nella valle di Casma.
Sono diventate Patrimonio dell’Umanità Unesco.

Sembrano denti che si alzano nella polvere del deserto.
Lì, sulla roccia, sono i punti dove il sole sorge e tramonta durante l’arco dell’anno.

Un segna-tempo.
Un orologio grande quattro chilometri di terra.
Un osservatorio solare e astronico,
vecchio di 2300 anni

I giardini del muschio rosa di Takinoue in Giappone

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Takinoue, prefettura di Hokkaido in Giappone

Nella prefettura di Hokkaido i giardini rosa di Takinoue in primavera

Il nome Takinoue, che letteralmente significa “sopra alla cascata” in lingua Ainu Takinoue è detto “Ponkamuikotan”, il “villaggio dei piccoli dei”.

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Ricordi di un angolo di primavera, 2014 Credits: instagram/shu_photographs
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Credits: instagram/shu_photographs

Fiori di primavera: trifoglio rosso

“Trifoglio rosso” o “trifoglio violetto”, ha sfumature accese come un piccolo sole all’alba. Il trifoglio dei prati, Trifolium pratense, annuncia la primavera perché è tra i primi fiori a spuntare sui prati alla fine dell’inverno.

Succhia i suoi petali e sentirai un sapore dolce dolce. Puoi raccoglierlo e unirlo all’insalata, darà colore e ricchezza al piatto. Oppure impasta un formaggio caprino fresco con un cucchiaio di olio, aglio, una manciata di foglie tritate e i petali di qualche fiore di trifoglio: la ricetta di primavera per una crema da stendere sulle bruschette.

Fra gli effetti benefici del trifoglio rosso l’azione antiossidante degli isoflavoni, fitoestrogeni in grado di agire positivamente sulla salute della prostata, abbassare il colesterolo, alleviare i dolori mestruali e i sintomi della menopausa. Di questa piccola pianta dei prati i druidi conoscevano le proprietà calmanti e disintossicanti. Il trifolium pratense aiuta la respirazione e lo stomaco allontanando disturbi gastrici e malanni come la tosse. Sotto forma di impacco, calma la pelle.

Trifolium, tre foglie: inconfondibile la sua forma. La pianta si sviluppa rapidamente ed è usata nelle rotazioni agrarie per rigenerare il terreno. Il trifoglio può rimanere dormiente persino anni e poi all’improvviso sbocciare, quasi su qualsiasi terreno. Raccolto durante la bella stagione, diventa profumato foraggio per l’alimentazione delle mucche.

Plinio il vecchio nella sua opera “Storia naturale” racconta che le foglie del trifoglio si alzano leggermente quando sta per arrivare la pioggia. Chi si addormenta su un prato di trifoglio potrebbe incontrare un elfo, narrano le leggende nordiche. E se indossi un quadrifoglio, dice la tradizione inglese, potresti riuscire a trovare l’ingresso per il magico regno delle fate.

Trefoil è uno dei simboli dell’Irlanda, shamrock, in gaelico seamróg, trifoglio giovane. Con i fiori di trifoglio fra i capelli si brindava per poi gettare il fiore nell’ultimo sorso di whisky e lanciarlo dietro la spalla sinistra: drowning the shamrock, rito beneaugurante. Nel Settecento il trifoglio diventa simbolo della lotta per l’indipendenza irlandese.

Una delle specie più comuni è il trifolium repens: trifoglio bianco, noto come trifolium ladino o rampicante, amatissimo dalle api. Usa i suoi fiori nella frittata oppure lasciali macerare nel vino. Anticamente, i petali di trifoglio venivano seccati, polverizzati e uniti alla farina.

dalla “Flora dell’apicoltore lombardo”, pubblicata sulla rivista “L’Apicoltore” nell’anno 1873.

“Fra le moltissime specie di trifoglio l’apicoltore deve conoscerne tre che tanto per la loro diffusione, come per la quantità di miele che somministrano riescono d’una importanza non comune. Le tre specie sono: il Trifoglio pratense, o di Lombardia, o di Stiria, il Trifoglione, o incarnato, ed il Trifoglio ladino, o cavallino, o domestico”