Buon viaggio, amore mio

e poi ricorda

car* viaggiat* intergalattic*

questo viaggio ha un inizio e una fine,
ma non sai su quali pagine ti toccherà scriverle

non conosci la destinazione

tu vai, alla scoperta del mondo
ogni giorno. Senti,
annusa i profumi dell’aria
tuffati dentro ai colori
tocca con la punta delle dita
sfiora con il cuore

assaggia

sperimenta

abbraccia

pensa con la tua testa,
scegli buoni compagni di viaggio
sii gentile
fermati quando serve.

Sorprenditi, ancora una volta.
Rendi la tua curiosità stupore, anche oggi. La meraviglia trasforma il mondo.

Ci sarà un momento in cui crederai di aver trovato una meta, il fine di ogni destinazione. Ma ricorda che il destino è domani: un posto dove ancora non sei arrivato. Quando lo raggiungerai sarà ora di lasciare tutto e andare, di nuovo, in un ignoto che nessuno potrà raccontarti.

Adesso sei qui. Goditi il viaggio. Noi umani abbiamo inventato il tempo per vivere questa splendida bellezza, questo incomprensibile dolore che a volte ti toccherà di incontrare. Questa sorpresa continua che è la vita.

ed è così che facciamo, ogni giorno. Finire e riiniziare,
nello spazio di un respiro, momento per momento

l’istantanea del nostro tempo: ogni giorno è un viaggio che non conosco.
Tu non avere paura,
vai avanti con coraggio

e intanto non dimenticare di ascoltare il rumore del mare,
lasciati cullare dalla voce della luna,
la terra ti sostiene e ti consola.
Il vento porterà in alto i tuoi sogni.

La meta non c’è, perché il viaggio sul pianeta blu chiamato Terra a un certo punto si interromperà e non sappiamo quando: potrebbe essere fra anni, domani o fra qualche istante. Quello che importerà, allora, non saranno i successi, né i fallimenti, o le grandi e piccole conquiste. Siamo destinati a lasciare tutto, per contratto: non c’è nulla che verrà con noi. Ciò che resta è quello che viviamo

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Perché non scriveremo la letterina a Babbo Natale

Natale è una festa antichissima, è il momento dell’anno in cui la luce cala per poi magicamente iniziare a ritornare. Con nostro figlio, che ora ha due anni e mezzo, leggiamo storie di gnomi, elfi, fate e boschi a cui appartengono renne e cervi, che in questo momento sono più del solito 🙂 Babbo Natale, che in altri paesi del mondo era Nonno Gelo o Inverno, prima lo vedeva come uno gnomo. Rimane sempre un po’ perplesso quando la gente gli chiede se ha scritto la letterina: ora è piccolo comunque no, non la faremo. Non mi piace pensare che Natale sia una lista di regali, non mi piace l’idea di raccontare di una cassetta delle lettere chissà dove e a dire il vero già da piccola mi puzzava questa storia di questi Babbi Natale così numerosi e posticci che si vedono in giro. Al momento non scarteremo nemmeno i pacchetti perché non c’è un giorno unico di festa: ci sono regali quando ci va, ci sono giorni in cui stare molto insieme e andare a trovare quelli a cui vuoi bene. Ci sono lunghe serate a giocare e le candeline, quelle del compleanno, messe anche sul panettone perché ci divertiamo a cantare tanti auguri e spegnerle tutte anche in giorni imprevedibili. Abbiamo fatto l’albero e sotto una città di cartone con animaletti della fattoria e della jungla, treni e macchinine. Ci godiamo le lucine, di solito ne teniamo un filo tutto l’anno. E a proposito, a pochi giorni dal Natale e da Santa Lucia, ricorrenza molto sentita nel Nord ed Est Europa, intanto questa settimana si festeggia anche Hannukkah, la festa ebraica delle luci, quando si accende una candela ogni giorno in più, per otto giorni. E forse proprio questa simmetria ci ricorda che in fondo alle radici di questo periodo di festa c’è lei, la luce. Celebriamo la luce. Il seme messo nella terra arata in autunno che deve attraversare il buio per nascere una nuova primavera.

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Fare arte con i bambini

mi dici sì, dipingiamo
io rosso
voglio

e mi dai il giallo
e il mio è un cielo che si incendia,
chissà se al tramonto o all’alba

ricordo di essermi svegliata, per un attimo
e iniziava a esistere la giornata con un cielo così,
oggi
il primo giorno di hannukkah, la festa delle luci

ogni giorno accendere una candela,
ogni giorno ricordarci di brillare
ogni giorno lasciare che la luce arrivi e sapere che
così si trasforma il buio,
il giallo arriva da dentro

come il periodo più buio dell’anno, dicembre
quando ogni popolo del mondo accende di luce il mondo
e invoca il nuovo,
ci tuffiamo nel Tempo e riemergiamo

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Neve nel Vermont

Se ti capitasse di pasare per Cleveland al museo di arte, Cleveland Museum of Art, troveresti appeso questo quadro di Mary Altha Nims. Era nata nel Vermont all’inizio dell’Ottocento, 1817 e si occupava di pittura su velluto, theorem painting.

Chissà, Mary Altha Nims che faceva in quel giorno di neve. Io me la immagino dopo una tazza di tè per colazione, con gli stivali che affondano nella neve a guardare per un attimo l’orizzonte mentre la tempesta si arresta per un attimo e la voglia di uscire è troppa. Poi, per uno strano scherzo della mente ritornare fra le pareti di casa e restare là fuori nella neve: sedersi alla finestra e guardare la casa dall’esterno, attraverso se stessa nella neve, Alice allo specchio.

E allora prendere i pennelli, la tela e il bianco: lasciare l’impronta della giornata candida e tempestosa, che rimanga sulla carta e nella memoria. Perché certe immagini si può solo abbracciarle e cullarle così, strette al cuore. Come le giornate d’inverno bianche di nebbia e nevicate, con il fuoco del camino che scalda l’anima; un senso di immobilità e immaginazione che pervade ogni cosa.

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La festa di Hannukkah

Mentre si festeggia l’attesa del Natale, quasi negli stessi giorni, si celebra come ogni anno Hannukkah, o Chanukkah. Al tramonto di ogni sera si aggiunge una luce, una candela all’arrivo della notte, per otto giorni. Una settimana più un giorno.

Gerusalemme: la Giudea è occupata dall’esercito di Antioco IV, re di Siria, che a Babilonia e in Antiochia inizia a costruire templi e ginnasi come nelle città greche. Questo re di notte amava vagabondare da solo, o con qualche amico, per i vicoli della città, si fermava a parlare con la gente, nascondendo la sua identità sotto la maschera di un abito qualunque. Amava gli scherzi e le feste. Tu pensa che sorpresa quando da una tasca spuntava una collana di preziosi o una moneta brillare nell’oscurità: l’oro finiva nella casa di uno del popolo, incontrato per caso quando la luna dissimula la persona che appare al giorno e scopre chi siamo, dentro. Dopo l’assedio e il ritiro da Alessandria d’Egitto, Antioco si ferma a Gerusalemme: la città è saccheggiata e molti degli abitanti uccisi, la religione ebraica proibita: il tempio che guarda dall’alto tutta la distesa dell’abitato, stretto fra le antiche mura, sarà dedicato al dio straniero Giove.

Ma un pugno di uomini, guidati da Mattatia, si dà alla macchia e organizza la resistenza. Quando Mattatia muore il comando passa a Giuda Maccabeo, un condottiero discendente di un’antica famiglia. Nel libro del profeta Daniele si racconta questa storia e di come re Antioco IV Epifane un giorno morì, non è noto se cadendo da un carro durante la battaglia, se assassinato dai sacerdoti di un’altra dea straniera, la babilonese Nanea, signora della natura e della fecondità, o per una grave crisi depressiva. O, più probabilmente, in Persia, malato di tisi. La storia si confonde e rimescola.

I Maccabei ripuliscono il tempio dagli dei stranieri, Gerusalemme è illuminato dal sole di un nuovo giorno. “Consacrazione” o “inaugurazione” è il significato della parola Hannukkah, che ricorda la costruzione del nuovo altare nel Tempio dopo la liberazione della Giudea dall’invasione dell’esercito di Antioco IV, il 25 di Kislev. Nel momento della consacrazione doveva essere acceso un lume con olio di oliva puro, tuttavia non se ne trovò abbastanza, si racconta nel Talmud.

C’era olio solo per una notte. Ma l’olio durò otto giorni, da qui l’origine di Hannukkah, la festa della luci, quando per ogni giorno si accende una candela nella channukià, il tradizionale candelabro a nove bracci. La candela che sta al centro, chiamata shammash, serve ad accendere tutte le altre. Sembra che secondo la tradizione il diluvio universale finì proprio in questo momento dell’anno, dopo che le piogge si riversarono sul mondo durante il mese di Kislev: è il mese che ha come simbolo un arco e guarda un po’, anche del diluvio, rimase un arcobaleno come nuovo patto dell’ordine del mondo.

Questo è il mese dell’olio nuovo dopo la raccolta delle olive in autunno. Secondo il testo mistico dello Sefer Yetzirà il mese di Kislev è associato alla lettera samech, che significa “supporto” ed “è predominante nel sonno”. Diciotto minuti prima del tramonto si accendono le candele dello Shabbat. In queste sere, pochi giorni dopo la notte della festa cristiana santa Lucia, un tramonto dopo l’altro si riempiono di luce i bracci della channukià, che in alcune case se ne sta sulla finestra di fianco alla porta di casa, sulla mensola della veranda che nelle case del nord Europa si affaccia sulla strada un po’ come a prenderne un pezzo e scambiarsi frammenti di vita fra il dentro e il fuori, interno e esterno.

Nel momento più buio dell’anno accendiamo una luce sempre più forte, forse per ricordare che è da qui che accade una nuova nascita: dal buio. Al centro del buio, lì dove affonda il mistero, accade qualcosa capace di riversarsi all’esterno e inondare di senso quello che ci circonda. Ha a che fare con l’attesa, come il Natale e come forse ogni rito, specialmente in questo periodo: la veglia segna passo dopo passo il nostro esserci, abbiamo bisogno di essere svegli se vogliamo accorgerci del passaggio delle stelle attraverso l’arco del Tempo.

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Dicembre 1888

Chissà che tempo faceva quel giorno, io vedo una pipa su una sedia impagliata. L’aria è azzurra, fa pensare a quelle giornate di dicembre con il cielo blu così terso, trasparente. La pipa è di un ragazzo, ha la barba rossa viaggia con in tasca pochi soldi e molti sogni. Anzi, forse uno solo. Esprimere il cuore, lanciarlo via, libero. E l’amore, incontrare l’amore. Ecco, vedi: sono già due. O forse sì, solo uno Amore, passione, espressione colore sogno. La capacità di tenere in mano e inseguire i propri sogni, quello che ci fa battere il cuore Quel ragazzo si chiama Vincent, è arrivato da lontano, dal nord in una piccola città del sud affacciata sull’acqua, sarà per questo che l’aria sembra sempre azzurra qui, anche quando inverno e pizzica un po’ il naso a Arles, nel sud della Francia c’è una casa dentro questa casa c’è una stanza è qui che ha vissuto quel ragazzo di nome Vincent con tutti i sogni, che portava fuori ogni giorno per liberarli fra il vento e l’acqua del canale, dove le lavandaie sciacquavano i panni per ore con le dita arrossate e d’estate il giallo negli occhi campi di grano e girasoli corvi neri come presagi di brutti pensieri nel blu del cielo della mente. Fra le dita teneva tutti i colori, li cullava nella testa e poi dentro al cuore, di notte,quando nessuno sentiva. Credeva si essere solo quel ragazzo arrivato da lontano un signor nessuno, invece i suoi sogni sono arrivati fino a qui
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