Da dove viene la rabbia?

C’è un gradino scheggiato in un punto laggiù, vicino all’angolo, è il primo delle scale di casa appena si entra dalla porta. Quella scalfittura rimane lì e sta lì, con la sua cicatrice, a ricordare un giorno d’estate in cui, arrabbiati, ci siamo buttati addosso parole e ora non ricordo più cosa che si è impresso a perenne memoria.

Mi ricorda che la rabbia fa male e mi sono sempre detta che un giorno te l’avrei mostrato, al momento giusto, quando fosse servito. E ancora lo guardo anche io, mentre passo la scopa in quel punto o appoggio il piede sul primo gradino delle scale: non passiamo indenni attraverso le cose, non tutto si aggiusta. Le cose che diciamo e facciamo lasciano il segno, ecco in che cosa ritrovo il valore di quella ferita nella pietra che ormai si è fatta silenziosa cicatrice, cantora gentile di sentimenti e abissi.

Oggi un bambino – ancora molto piccolo, a dire il vero – ha fatto una cosa da grande, o meglio: una cosa che di solito fanno i grandi. Un bambino ha sferrato un calcio alla porta per la rabbia. Sì è fatto male, si è sbucciato la punta di un alluce. Non ha pianto, all’inizio: c’era solo un gran silenzio, all’improvviso era sceso un silenzio come quello di un prato prima del grido di battaglia. Anche a noi grandi è capitato, di sferrare un calcio alla porta durante un litigio. Ce lo siamo raccontati, dopo, nella vasca da bagno, a sciacquare via il sangue e le lacrime. Abbiamo riso, all’improvviso, raccontando di una vecchia casa illuminata dal sole, in una città che non abitiamo più, di noi e del calcio a quella porta che si dovette poi – malamente – riparare. Poi ci fu un altro amico mio, anche lui a sferrare un pugno durante un brutto giorno nei tempi dell’università, e le schegge di vetro e la mano fasciata per una settimana, la ricordo ancora. Meno male che io ho fatto male al piede, dice quello immerso nell’acqua tiepida e saponosa della vasca, la mano serve per fare tante cose.

Insomma, la rabbia fa male. Ma da dove viene tutta questa rabbia? Dove attecchisce e che radici ha questa atavica rabbia che non passa? Rabbia non detta e ricacciata che si trasforma in mostro di ansia, rabbia che si strozza in gola e diventa frustrazione; rabbia che è dolore, limite, confine angusto. La rabbia è sempre non-potere, cuore che sbatte contro le pareti, prigione. Generazione dopo generazione, c’è la rabbia delle madri e dei padri, che è sempre troppo amore e a volte ha trovato le sbarre ingiuste della Storia, quella piccola e familiare e quella Storia planetaria che ti avvolge, da cui non puoi uscire perché è fatta anche di guerre, convinzioni, mappe geografiche e sociali, cose da cui non sempre si riesce a sfuggire, o almeno non così facilmente né rapidamente.

Intanto, bruciamo. Avvampiamo e ci divoriamo. Ammazziamo i nostri migliori sentimenti e nel frattempo parliamo ogni giorno di cambiamenti, solo che poi il quotidiano ci presenta il conto. Il conto è fatto su carta spessa come quella del macellaio, ci vuole tempo per estinguerlo.

Gandhi ha scritto che se perdi la pazienza perdi la battaglia. Tempo fa l’ho scritto sulla lavagna appesa alla porta di casa come ispirazione. Poi, ho preso la spugna, il gessetto bianco e l’ho modificato così: ogni volta che perdi la pazienza perdi la battaglia. Mi ricorda la dimensione del temporaneo, nessuna conquista è per sempre, nessuna sconfitta è per sempre. Anzi, non c’è nessun campo di battaglia: questo ricordalo bene soprattutto in quei momenti in cui le cose sembrano farsi difficili.

C’è solo un campo, un immenso vasto campo in cui tracciare le linee di questo viaggio intergalattico e fare esperienza. C’è solo il campo della nostra esperienza e tutte le storie di chi è venuto prima sulle nostre spalle, nelle mani e nei cuori che ci battono dentro. Adesso è arrivato il momento di liberare i suoni e fate musica.

Inventario delle cose belle

Le sveglie alle cinque del mattino, con il caffè caldo, le gambe incerte sulle scale e gli occhi che si chiudono

Ascoltare il vento fuori dalle finestre

La sensazione mentale di quando finisci un lavoro e inizi un periodo di riposo, la brezza della vacanza che inizia nel momento in cui fai l’ultima cosa che devi portare a termine

Le docce con il sole, a metà pomeriggio o di mattina, mentre tutti fuori corrono: il lusso di fermarsi

Guardare chi ami mentre dorme

Accarezzare il naso minuscolo di un bambino con la punta dell’indice

Trovare una finestra da dove guardare la pioggia e sperare che non smetta solo perché anche la tempesta sa essere bellissima, specialmente in un giorno di metà estate

Le giornate con gli orari confusi, a svegliarsi quando è buio e dormire con la luce, come da universitari  svagati

Il profumo delle cose nel forno che cuociono lente

Il disordine in giro per casa da mettere a posto, ma senza fretta

Continuo a raccogliere istanti per l’inventario delle cose belle da tenere sul cuore…

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La vasca da bagno di questa casa dove viviamo ormai da un po’ ha un abbaino da cui si vedono le nuvole che corrono nel cielo. Da un paio di giorni hai deciso di provare anche tu a fare il bagno in questa vasca di pietre viola che arrivano da lontanissimo, da un posto fra montagne sacre chiamato Uttar Pradesh.

Fa un po’ paura però va bene, mi hai detto la prima volta che l’hai sperimentata. Lasci che l’acqua ti arrivi fino al collo: lanci spugne, boccette, bagnoschiuma e osservi. Perché stanno a galla? Dentro c’è il liquido e l’aria, ci somigliano un po’: dentro noi abbiamo sangue e aria e muscoli e come i tappi di sughero nel lavandino quando giochi in cucina, il nostro corpo galleggia e questo è un buon motivo per non avere paura di lasciarsi andare nell’acqua. Galleggiamo.

Meditazione Tonglen

“dare e ricevere”, tonglen, o come scrive qualcuno Tong-Len: la meditazione che ci allena nel dare e prendere. Ricevere e dare, così è il flusso della vita.
Una corrente instancabile.

Come alberi,
respiriamo
ogni istante

prendo,
inspiro

espiro,
do,
(ri)lascio

Lascio andare,
alla terra all’aria

(Ri)prendo
dall’aria, dalla terra
il mio nutrimento
respiro
mangio
bevo

La particolarità del tonglen è assomiglia a un capovolgimento.
Esistono visualizzazioni che aiutano a ricaricarsi di energia immaginando di inspirare luce, pace, forza.
Qui no, nel tonglen
inspiri la tua paura, l’oscurità, il caos
ti ci fermi
dentro

un attimo

poi espiri,
e allora
esce luce, leggerezza, colore
guarigione

Ti accorgi che
è in quel passaggio
sottile, unico
la fessura
fra due rocce millenarie

accade

il passaggio

fra dentro e fuori
la trasformazione

accade dentro di noi
e tu non fai proprio nulla.
Solo,
lasci che passi

che tu sia
filtro del tè

immobile,
senza far nulla

inspiro
buio, confusione, disordine
espiro
esce luce, armonia, arcobaleno

qualcosa accade
è l’umile magia del filtro da tè
che trasforma l’acqua
in silenzio

in silenzio
la vita
ci passa attraverso
e noi
la respiriamo

il respiro che
ci fa vivere
trasforma la vita che
respiriamo