L’ho vista.
Ho visto una volpe stasera. Dalla finestra.
L’ho vista nella strada sotto. Ci è voluto un attimo prima di mettere a fuoco la forma che si muoveva nella luce gialla dei lampioni già accesi. Un gatto? No, troppo grande. Poi, la coda: imponente, grande, bellissima. Una volpe rossa che ha fatto qualche passo sull’asfalto prima di saltare sullo steccato e ritornare nel prato, verso il bosco, scomparire nel buio.
Solo pochi attimi. Certe volte quando avvisti un animale selvatico è così, sembra abbia aspettato te, prima di ritornare nell’ombra, nel non detto.
Pensa alla volpe. Per lei il mondo è rami, foglie, odore di muschio, terra, alberi e radici: attraversa faggi e prati, scende, scende, scende. Poi il prato finisce e si trova davanti una linea: una strada, le luci, i muri. Che strano deve essere il nostro mondo per una volpe.
In Giappone la volpe è simbolo della capacità di trasformazione. Kitsune è la volpe: più invecchia, più diventa saggia e potente. Quando arriva ad avere cento anni, può diventare una donna. Dopo mille anni ha nove code e può cambiare forma come vuole, sparire, apparire nei sogni.
Un giorno, si racconta, una kitsune e un uomo si innamorarono. Vissero felici per molto tempo insieme, ma poi lui scopre la sua vera natura e allora lei deve tornare nella foresta. Tuttavia, ogni tanto continua a tornare e far visita all’uomo in sogno, per consolarlo. Perché l’amore sa attraversare ogni forma.
La volpe cammina al confine fra giorno e notte. Nell’antica Cina è messaggera degli spiriti. È una volpe ad accompagnare nell’ultimo viaggio: in Cina, Giappone, in Persia. Anche fra i Celti è così: la volpe accompagna chi percorre i boschi, sa muoversi nell’invisibile, che sia territorio geografico o interiore.