Ricordo di Rocco Antonio Messina, medico e poeta

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Di Luca Pazzi

 

Io la polmonite l’ho già avuta a 13 anni. Ricordo ancora oggi la sensazione di malinconia che provavo la sera con la febbre nella penombra della mia camera, ancora oggi ricordo proprio quei momenti nel letto e i pensieri che affollavano la mia testa, pensieri di dolce malinconia, anche se ero ancora poco più che un bambino.

Decisiva fu la diagnosi di Rocco Antonio Messina, medico del Dispensario che stava per essere chiuso, essendo la tisi a quel tempo praticamente debellata. Ricordo che andammo a fare una lastra nello studio che aveva presso questa struttura e dopo poco la lastra fu sviluppata, lui la mise su una superficie luminosa e puntandolo con la parte terminale della pipa ci indicò subito un puntino nero piccolissimo, il focolaio dell’infezione appunto. A quel punto iniezioni su iniezioni di antibiotico e bistecche su bistecche che mia madre mi costrinse a mangiare e dopo un po’ ne uscii. Il dottor Messina poco dopo divenne il nostro medico di famiglia che non cambiammo più.

Rocco Antonio Messina era una persona gioviale e non si curava molto del protocollo, era noto per dare del tu allegramente a tutti nelle telefonate di lavoro e nella vita. Ciao caro, ciao cara. Mi piaceva, sempre con la pipa in bocca ovviamente spenta durante le visite. Qualche anno dopo notai che aveva un candelabro nel suo studio, visibile ma non certo esibito. Poi seppi che era un candelabro ebreo, anche mio padre lo aveva notato e ne avevamo parlato.

In occasione della sua morte venni a sapere dai giornali la sua storia, che era incredibile e che egli stesso tenne nascosta per molti anni. Nato a Polistena, un paesino della Calabria sulle prime pendici dell’Aspromonte, catturato dai tedeschi e poi fuggito per miracolo poco prima dello sbarco alleato in Sicilia, fuga in cui una sua coetanea rimase uccisa dal fuoco dei tedeschi. Come poi arrivò a Forlì non lo so, e anche il documento di cui sono entrato in possesso non lo dice. Scopro solo oggi che era anche un poeta, ovvero passò molti anni celando nella poesia quell’esperienza terribile, e mi pare dal documento che vi allego che ne prese coscienza proprio negli anni in cui mi diagnosticò la polmonite.

Queste poesie non le conoscevo, cominciò a pubblicarle proprio in quegli anni. Una mi ha particolarmente colpito, penso faccia riferimento a un momento della fuga.

La casa di pietra

Lassù è la casa di pietra
-mi disse un verme
col marchio di fabbrica giallo
cucito sul petto di scheletro- dove viveva l’uomo del pascolo;
mi ha dato l’acqua e il latte e la pietà buona degli occhi.
Essi lo videro
lungo il costone,
con voci rauche
gridarono all’appestato;
ed egli mi diede latte,
ed essi gridarono al mostro ed egli mi diede acqua.
Lassù è la casa di pietra l’uomo del pascolo
mi diede la voce umana.
Essi lo uccisero.

1976, da Menorah, Forlì, Forum, 1982, p. 17.

Per chi fosse interessato la sua storia e altre poesie di Rocco Antonio Messina sono a pagina 31 di questa edizione speciale del Bollettino dell’Ordine dei Medici della Provincia di Forlì-Cesena.

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