Ultimo lunedì di agosto

Acquazzone

La notte e il temporale,
il cane che si addormenta nella vasca per il bagnetto di quando lui era piccolo
il vento, i tuoni e ancora il vento.
Svegliarsi a bere e poi restare addormentati suo divano, arrotolati nel plaid morbidi con i sogni che si nutrono di fumetti e libri sparsi sul tappeto.
Svegliarsi con il papà che bussa alla porta sotto l’acqua e torna a casa dal lavoro presto.
Svegliarsi con la pioggia che passa e poi riprende, a momenti.

Il caffè versato, il pane tostato, l’avocado, l’olio e il pane, tu che assaggi la pasta di mandorle trovata in frigo, la canina che dorme ancora sulle scale, il papà che recupera ore di riposo. Le ore di luce del mattino che schiarisce lentamente, le nuvole e le foglie cariche di pioggia, il silenzio.

Il profumo dolcissimo delle siepi di fine estate nella mattina di pioggia, le erbe selvatiche e la menta che invade il vialetto. La malvarosa altissima rosa come l’alba, i lasciti di chi parte: gerani, basilico che sta ancora crescendo e il timo trasferito in un vasetto di coccio che terrò sul davanzale tutto l’inverno. La strada che si asciuga lenta, l’autunno all’orizzonte.

Tu che ti lasci infilare la tua tuta blu impermeabile e mi dici 〰️usciamo a fare una passeggiata. Perché non c’è più nessuno? L’estate sta finendo, ci cantano ancora nelle orecchie i Righeira. Il lunedì, le case delle vacanze con le imposte chiuse, il sole che va e viene, a tratti. Noi camminiamo a piccoli passi e facciamo gli esploratori.

Le chiocciole con il loro guscio mimetico lungo la stradina e poi appoggiarne una piano piano sul muro della fontana, vedere che si arriccia e attacca, come l’angolo di un minuscolo fazzoletto ricamato

I sassi, i muretti dove camminare 〰️io non cado, le galline e il gallo con le sue penne nere e verde smeraldo

Mettere le mani nell’acqua della fontana, navigare con l’immaginazione e un bastoncino trovato a terra

Osservare una girandola nel vento

Guardare il muschio come è fatto

Portare fino a casa due uova bianche bianche,
esercizio zen di equilibrio

Il ginepro: da una passeggiata di Vita Sackville West ‘Un giardino per tutte le stagioni’

… ho visto un ginepro rampicante, del tipo frondoso, crescere in Scozia su terreno ricco di torba, intento ad arrampicarsi selvaggiamente per una distesa boscosa sotto le betulle bianche.

Me ne sono portata a casa una bracciata di rametti, e li ho scaldati nel mio caminetto, agitandoli poi per la stanza come fossero vecchi steli di lavanda o rosmarino, fragranti quanto l’incenso, ma molto più rinfrescanti e meno pesanti nell’aria.

Dopo alcune ricerche ho scoperto trattarsi del ginepro comune, reso nano dal cervo e dai conigli che lo mangiano d’inverno.

Formava un bel tappeto fitto e scuro sotto il chiarore delle betulle bianche.

Piccoli ruscelletti gocciolavano formando un’irrigazione naturale. Le loro bollicine si sollevavano come perle scoppiettanti sui ciottoli semi sommersi.

Mi ha fatto desiderare di possedere non un giardino più o meno formale, ma uno completamente informale, con un bosco selvaggio ai margini

da “Un giardino per tutte le stagioni” di Vita Sackville West

Che cosa ci portiamo dei nostri sogni?

Che cosa ci portiamo dei nostri sogni? I sogni dei bambini sono grandi, belli, non temono confronti: è tempo di ritrovarsi e crescere sognatori

Che cosa ci portiamo dei nostri sogni?

I nostri sogni, la nostra libertà.
Se c’è una cosa che spesso manca è questa: insegnare ai bambini a coltivare un sogno. Non lo facciamo nemmeno più noi.
Finalmente ci hanno fatto desistere.

Ormai sei grande per queste cose

Quante volte ti hanno detto questa frase? Ormai sei grande per queste cose.

Essere adulto significa stare con i piedi per terra, smettere di coltivare sogni troppo lontani e ambiziosi, guardarsi intorno e pensare alla sopravvivenza….

Essere adulto significa stare con i piedi per terra, smettere di coltivare sogni troppo lontani e ambiziosi, guardarsi intorno e pensare alla sopravvivenza?

 

Si può sopravvivere davvero senza sogni?

Sì, si può sopravvivere senza sogni. Lo fanno centinaia di persone, ogni giorno.
Puntano la sveglia la sera prima, si alzano, vanno al lavoro, fanno la spesa, fanno uno sport o vanno al cinema, cucinano e brindano, vanno al ristorante; fanno figli, mutui, costruiscono case e vite. Proprio come tutti gli altri.
Solo che si riconoscono perché hanno lo sguardo spento, seppellito da tonnellate di sabbia e dura terra: è lì che hanno sepolto i loro sogni, nella polvere del tempo e degli anni, chiusi in soffitta e nei cassetti.

 

I sognatori hanno lo sguardo brillante e il cuore che va lontano. I sognatori non li compri perché non si arrenderanno mai. I sognatori sono in mezzo alla gente di sempre, ma te ne accorgi: loro se lo ricordano. Siamo tutti viaggiatori del tempo, qui per esplorare questo pianeta azzurro, piccolo e grande insieme, ma non possiamo ripartire senza aver completato la nostra missione. Qual è la tua?

I giapponesi usano la parola ikigai per dire tutto ciò che ci tiene in vita, tutto ciò che ancora ci tiene in vita: tutto ciò che vale la pena, per cui vale la pena alzarsi e affrontare la giornata, combattere e tramandare agli altri. Non è solo una la passione, ma tante: sono tutte quelle che ci fanno brillare gli occhi e venir voglia di uscire allo scoperto. Sperimentare, esplorare.

Stai divagando, concentrati su una cosa sola

Ci hanno detto che la passione è una, tutto il resto sono hobby, o peggio ancora, perdite di tempo. Se ami la fotografia, esci, fotografa, impara tutto sulla fotografia, vendi le tue foto e diventa fotografo: altrimenti si vede che non era quella la tua passione. Diventa un esperto. Un esperto in qualsiasi cosa, purché ti fermi e impari a concentrare tutte le energie lì.

Multipotenzialità, dall’inglese multipotentiality, identifica le capacità e la propensione di persone che tendono a focalizzarsi su più interessi e attività: di solito sono soggetti che presentano una forte curiosità intellettuale, possono eccellere in più di un campo e possiedono grandi risorse creative

Nel 1972 lo psicologo R.H. Frederickson crea la definizione di “multipotenziale”. Sebbene la tendenza ancora oggi sia verso l’iper-specializzazione non demoralizziamoci. Caro viaggiatore intergalattico, il mondo e questa incredibile vita hanno una complessità e una ricchezza così esplosive da non poterle ridurre in pochi scatoloni. O meglio, potremmo, ma perché farlo?

Quando diventerai grande dovrai pensare al lavoro e alla tua sopravvivenza

Sì, la sopravvivenza qui sulla Terra è una grossa questione. Una di quelle questioni che non puoi eliminare così alla svelta, ti ci vorranno anni per esaminare il problema a fondo e poi pensare a delle soluzioni possibili. Anni in cui metterai la sopravvivenza sopra a ogni cosa perché dovrai pagare l’affitto, mangiare e fare tante altre cose che magari non sono indisensabili ma fanno comunque parte della vita. Salvo poi ricordarti, magari dopo anni, dove sono finiti i miei sogni? Che cosa ne ho fatto e che cosa sono diventato nel frattempo? Non preoccuparti, è successo a tanti, forse tutti. Si perché forse un po’ a tutti capita di dimenticare, anche solo per un attimo, qual’era la cosa che non dovevi dimenticare.

La ritrovi là dentro, nel respiro del cuore che batte: la cosa da non dimenticare mai, caro viaggiatore delle stelle, è quello per cui batte il tuo cuore. Che cosa ti fa vivere e sorridere e respirare, ancora? Riportalo a galla e avrai la chiave della felicità

La felicità non è domani, non è il successo. Ricorda che lasceremo tutto un giorno, è nel destino di questo viaggio. La felicità è nell’attimo di adesso, è ciò che ti fa sorridere anche se sei nella situazione più grigia. Per questo hanno sbagliato tutto a raccontarci dei sogni: i sogni che vale la pena inseguire non lo sono per via della sopravvivenza, o perché hanno successo o si trasformano in un lavoro. Lo sono a dispetto di tutto questo. Lo sono perché portano pace nella nostra anima.

Le officine del gas a Bologna

officine-gas-Bologna
Dall’archivio personale di Domenico Alvisi

L’Ottocento è stato il secolo dei grandi stravolgimenti tecnici, sociali ed economici che hanno colpito il mondo intero e di conseguenza anche Bologna. In città abbiamo avuto cinque grandi innovazioni tecnologiche: La costruzione del primo acquedotto, il tram, l’energia elettrica, la ferrovia e le officine del gas. Ora, vorrei parlare proprio di queste ultime. Come alcune delle altre innovazioni tecnologiche anche le prime officine del gas, sorte nel 1846 fuori porta san Donato, furono non so se create, ma sicuramente appaltate a due banchieri inglesi. Cominciò così la distribuzione del gas illuminante (o gas di città) tramite tubazioni sotterranee che giungevano fino al centro della città. Di conseguenza vennero installati anche quei meravigliosi lampioni di ghisa artisticamente lavorata.
Nell’aprile del 1862 l’appalto passò alla Compagnia Ginevrina dell’Industria del Gas, e le officine vennero ampliate e l’illuminazione venne estesa a tutta la città dentro il perimetro delle mura.
Nel 1863 iniziò, tra la Porta san Donato e la Mascarella la costruzione del grande stabilimento di quasi 15.000 mq. tuttora esistente. Nel maggio del 1900, primo caso in Italia, il servizio venne municipalizzato e la gestione venne assunta direttamente dal Comune. Negli anni seguenti lo stabilimento venne nuovamente ampliato e dotato di sempre più moderni aggiornamenti tecnologici.
La funzione principale delle Officine era, come detto, la produzione del gas illuminante ma diverse altre produzione uscivano nel corso delle trasformazioni. La lavorazione partiva dal Litantrace, che è un carbon fossile la cui formazione si fa risalire a 250 milioni di anni fa.
Il Litantrace, moderatamente scaldato si trasforma in una sorta di carbone chiamato coke, e libera una miscela di gas che depurato diviene il gas di città.
Con la distillazione del Litantrace si ottenevano anche: catrame, benzolo, toluolo (diluenti per vernici), naftenici da cui la naftalina un tempo regina dei nostri armadi, fenantrene che, assieme ad altri prodotti chimici, serviva a produrre il creosoto, tra l’altro conservante per traversine ferroviarie, il cui odore pungente deliziava le nostre narici nelle stazioni ferroviarie.
Il gas di città fu indubbiamente una grande conquista. Ora noi abbiamo notti piene di luci e ci riesce difficile concepire una Bologna completamente al buio, almeno che uno abbia vissuto la città, in tempo di guerra, durante le notti dell’oscuramento. Un tempo era normale e di notte, per stare tranquilli, bisogna uscire con le lanterne.
Naturalmente non bisogna dimenticare la funzione che ebbe il gas nelle cucine, finalmente era possibile, per cucinare, disporre una fonte di calore comoda e pulita a scapito della carbonella.
Naturalmente i fanali dovevano esse accesi e spenti, uno per uno tutti i giorni e a questa mansione provvedevano un certo numero di “accenditori” ai quali erano anche di competenza di sorveglianza dell’illuminazione, la pulizia e le piccole riparazioni. La città era divisa in quattro quartieri per ognuno dei quali era predisposto un certo numero di accenditori che dovevano trovarsi nella sede predisposta dieci minuti prima dell’ora di partenza. Al mattino, alle prime luci, venivano spenti, ma gli addetti dovevano, a turno, fare anche servizio di sorveglianza notturna ed essere disponibili tutto il giorno.
Altra grande innovazione la introdusse il “carbon coke” che dette la possibilità, specie in locali pubblici e preso abitazioni private (dei più abbienti) di installare impianti di riscaldamento con caldaie e termosifoni.
Col tempo la luce elettrica sostituì il gas nei lampioni e il metano il gas illuminante e le officine del gas cessarono la loro produzione e si trasformarono in distributori di metano.
Domenico Alvisi

primo settembre

agosto-1939

Agosto se l’è portato via una fotografia d’altri tempi,
trovata in fondo a un cassetto di una vecchia casa di montagna,
quella in cui viviamo noi vagabondi immaginevoli, la canina lagotta e il piccolo viaggiatore intergalattico,
noi e i fantasmi, i bauli di altri vite e le nostre, negli zaini di altre case portate qui dall’altrove.

Agosto 1939, è scritto a matita
la grafia ordinata che si usava un tempo, non senza qualche svolazzo qua e là.
Il nome della donna si è perso,
si è perso il contesto, il luogo.
L’occasione no,
sta lì, ferma da decenni
impressa dal momento
nell’immagine

il grano, materia dorata ed essenziale
sopravvivenza
il grano che arriva a costare un capogiro nelle guerre,
oggi come ieri,
il grano lavorato a fatica da mani che non hanno paura
della terra e dei tagli.

Agosto era la festa del grano,
un po’ ce lo dimentichiamo vivendo in città.
Ma ai bordi delle strade quando vediamo i campi
ci emozioniamo
girasoli dalla testa alta e una distesa gialla di grano

oggi è il primo settembr del ’22
se togli i primi due numeri davanti rimane il ’22
questa foto accade fra dieci anni,
il secolo lo abbiamo scordato
ce lo lasciamo alle spalle

stamattina i passeri scendevano sul tavolo di legno fuori,
intriso d’acqua lui e intrisi d’acqua loro.
La pioggia forte del mattino, le rose rosse del giardino sfatte
la rugiada e le ultime api,
un merlo fuggitivo
la nebbia che poi si dirada, i biscotti e il tè
la luce accesa di mattino presto e poi spegnerla
cuscini scomposti del divano e cartoni animati degli anni Trenta
leggere libri
guardare dalla finestra, che
c’è bisogno di un orizzonte
e poi partire con la valigia dell’immaginazione

l’asinello di Winnie The Pooh, per cui gli amici provano a fare di tutto per renderlo felice credendolo triste, svela un segreto
una visione bellissima, così fra la pioggia e i fulmini
uno spettacolo di colore che buca il grigio là dove sembrava solo esserci il cupo
Everybody can do it, just use your imagination

27 agosto, io e Pavese

Il 27 agosto 1950, moriva, suicida a Torino, lo scrittore Cesare Pavese. Ricordo che la sua morte mi colpì molto. Proprio in quegli anni dell’immediato dopoguerra avevo divorato i suoi romanzi che erano giunti a valanga in libreria. In particolare: Il compagno, La casa in collina, la bella estate, La luna e i falò, quest’ultimo edito a cavallo della sua morte. Mi colpì negativamente la modalità del suo suicidio raggiunto con una forte dose di barbiturici, che non mi pareva una morte “eroica” come mi sarei potuto aspettare da quello che, a quel tempo, consideravo un eroe anche se solo letterario. Anche le ragioni del suo decesso, che si vociferava fosse dovuto a una forte delusione amoroso, mi parve una assurdità. Le due cose unite mi smontarono un poco il mito dell’uomo, ma rimase forte quello dello scrittore.
Negli anni dal 1954/59, per ragioni famigliari, dovetti abbandonare il liceo e iniziai l’attività di rappresentante per una ditta che aveva sede a Torino con la conseguenza di dovermi recare saltuariamente in questa città. Andavo in auto o in treno e per comodità soggiornavo sempre in un vecchio albergo che si chiamava Hotel Roma Cavour ed era di fronte la stazione di Porta Nuova. Credo che fosse un edificio di metà ‘800 e aveva mantenuto la struttura e l’arredamento di quel tempo. Ricordo la camera che mi dettero la prima volta; i mobili erano in legno pregiato e il bagno, molto grande, aveva una vasca con i piedi tipo zampa di leone ma non c’era la doccia. Come tutti i vecchi alberghi nell’aria stagnava quell’odore particolare come un misto di stantio e di cera da pavimenti. Non so perché quella stanza e l’atmosfera che si respirava mi colpirono e non capivo il perché in quanto non rappresentava il massimo dell’accoglienza. Da quella volta ogni volta che scendevo a Torino chiedevo sempre della stessa stanza che era quasi sempre libera.
La sera ero spesso solo e solitamente andavo a cena e al cinema e rientrando in albergo mi fermavo a fare quattro chiacchiere con il portiere di notte. Una sera, parlando gli chiese che mi pareva strano che ogni volta che lo chiedevo la camera fosse quasi sempre libera. Sorridendo mi rispose e disse che si trattava della stanza dove si era suicidato Cesare Pavese e che pensava fossi anch’io uno di quelli che ogni tanto, andavano per ritrovarne lo spirito, poi vedendo il mio stupore mi chiese se volessi cambiare stanza, risposi di no. Non ho mai creduto negli spiriti né tanto meno del ritorno, in qualche modo, dei defunti. Chi è morto è morto e vive solo dei nostri pensieri. Però da quel momento, pensare di dormire nello stesso letto dove si era suicidato Pavese mi dava un certo brivido.
Domenico Alvisi

Ultimo giorno di luglio

Fra i sorrisi di una giornata semplice e bellissima….
le mani stanche e soddisfatte di quando metti a posto cose, stanze, situazioni – oggi la legnaia – che ti lasciano la polvere addosso e l’anima leggera
la meraviglia di quelle giornate in cui hai la sensazione di aver fatto tanto e aver vissuto ogni ora, sarà perché ti sei svegliato alle sei con il profumo di caffè e le fette calde tostate e la marmellata di ciliegie e il burro e poi il riposino sul divano a metà mattina e tutti gli orari strani e scombinati che sono la cosa bellissima della vita in generale e dell’estate in particolare
un piccolo viaggiatore intergalattico che non si arrende al tramonto. ‘namo, dai – andiamo
Dove?
Là. LLLà
A fare benzina, papà
Indossare la felpa di un amico
I giochi, le scale e gli scivoli
La casetta con i libri del book sharing
La fontanella con la testa a forma di pesce e l’acqua che si accende e spegne
La luce arancione del tramonto che scende fra i crinali delle montagne ritagliate come sagome di carta
E poi?
“Biletta! Apta!” la birretta e l’acqua con le bolle
Uno talallo – un tarallo, uno! gli aghi di pino, le sdraio di tela e legno ma in versione gnomo per i bambini piccoli che ci si mettono sopra e si sentono grandi
La luna, i libri da sfogliare mentre si aspetta
Il buio blu e le prime stelle
Tornare a casa con la testa piena di sogni e sorrisi

L’ultimo pensiero della giornata: quanto vogliamo imporre noi la nostra visione e quanto decidiamo di lasciarci contaminare? Che siano i figli, il cane, il gatto, i compagni di vita o la coinquilina che diventa per sempre, la famiglia è un sistema in cui tutti dovrebbero, e possono, influenzare l’altro. E allora non solo dare le regole, specie ai più piccoli, ma anche lasciarci inondare dalle loro prospettive sul mondo e da quello che la vita ci lascia scoprire ogni giorno, anche e soprattutto nelle situazioni che non avremmo mai immaginato

E poi. Papà che guarda le stelle. La finestra aperta e l’aria della notte quasi fredda, le montagne scure all’orizzonte. Una musica lontana. Tu che appoggi la mano sul mio braccio mentre dormi. Un libro bello. La lanterna accesa. Il segnalibro della Pimpa con le foglie e l’autunno che è già dopodomani