Come nacque il Carnevale di Viareggio

È il Martedì Grasso del 25 febbraio 1873 e per la prima volta in Via Regia passa una sfilata di carrozze in festa. Nacque così il carnevale di Viareggio e racconta la voce del Tempo che l’ispirazione venne nel Caffè del Casinò, fondato quarant’anni prima, negli anni Trenta dell’Ottocento.

Lungo la passeggiata a mare viareggina sfilano i carri con alcune delle maschere più grandi al mondo, tra i 20 e i 30 metri d’altezza.

A Viareggio esisteva già una Società del Carnevale, che organizzava feste da ballo. Ma le carrozze decorate da fasci di fiori con le persone che gettavano in strada confetti e caramelle non le aveva mai viste nessuno. 

L’idea l’aveva avuta un gruppetto di ragazzi che di solito si incontrava al Caffè del Regio Casinò, proprio in via Regia. Lì fra quei tavoli si pensò a una festa che fosse per tutta la città: proprio tutti. Una festa che fosse colore, divertimento, sorpresa. Pura magia.

E così fu. Anno dopo anno, le sfilate di Carnevale diventano una festa popolare. Nel 1905 i festeggiamenti di Carnevale si trasferiscono dalla Via Regia alla Passeggiata a mare di Viareggio, dove si tengono ancora oggi. Come accadde alla Biennale di Venezia l’evento sarà interrotto dalle guerre mondiali.

Il 15 settembre 1827 Carlo Ludovico, Duca di Lucca, aveva ceduto alla comunità di Viareggio Palazzo Ferrante Cittadella, in via Regia. Il palazzo doveva servire per la costruzione di una chiesa e un annesso convento. Tuttavia, visto che per la chiesa si era provveduto diversamente, il 16 gennaio 1834 autorizzò la richiesta del Governatore di Viareggio di «ridurre una parte del palazzo ad uso di Casino, onde i forestieri che si portano per l’uso di bagni abbiano un locale dove riunirsi nelle ore a questi non necessarie».

Fonte: Quando Viareggio iniziò a giocare al casinò di Paolo Fornaciari su Il Tirreno

Satira e sogno al carnevale

La satira politica è presente da sempre. Il secondo anno del Carnevale, nel 1874, fu preso di mira Adolfo Piatti, agente delle imposte, il quale denunciò alla polizia la mascherata organizzata, ma la presa in giro fu archiviata. Accanto alla satira carri che si ispirano alla letteratura, all’arte e alla poesia della vita: ogni anno il tema è differente.

Nel 1883 sfilano I quattro mori, considerato il primo carro allegorico. Le carrozze vengono sostituite dai carri figurati: all’inizio sono i carpentieri e i maestri d’ascia dei cantieri navali a costruirli.

Burlamacco, maschera ufficiale del Carnevale di Viareggio

Scultori, carpentieri e fabbri lavoravano gomito a gomito modellando le figure con gesso e scagliola, tagliando e incastrando il legno e il ferro. Immagina il lavoro, lì davanti al mare sulla Darsena, dove la perizia artigiana sapeva realizzare imbarcazioni destinate a sfidare le onde.

Il 1921 fu un anno importante e purtroppo non solo in senso positivo. Era l’inizio dei ruggenti anni Venti; il secolo era all’inizio, pieno di promesse. La prima gueerra mondiale era finalmente terminata e il carnevale riprendeva dopo sei anni. Fu per la prima volta in quell’annata, il 1921, che si cantò per la prima volta la canzone che è ancora l’inno del carnevale: “Su la coppa di champagne“, poi nota come “Il carnevale di Viareggio”, con le parole di Lelio Maffei e musica di Icilio Sadun. I carri si animarono di musica grazie alla banda, che trovò posto nel carro “Le nozze di Tonin di Burio” di Guido Baroni, costruito su ispirazione di un matrimonio.

Nel 1931 appare per la prima volta Burlamacco, ideata da Umberto Bonetti, pittore, grafico e scenografo. Diventerà la maschera ufficiale del Carnevale di Viareggio, l’ultima nata delle maschere tradizionali della Commedia dell’Arte

La cartapesta e i movimenti: come cambiano i carri del Carnevale

La festa del 1921 fu un grande successo. Ma a maggio le squadre fasciste irruppero nell’associazione dei Maestri d’ascia e calafati di Viareggio e la distrussero. Qualche tempo dopo rimasero uccisi due giovani: l’anno dopo, il 1922, il carnevale saltò. Tuttavia, ecco il 1923 con l’innovazione più grande, l’uso della cartapesta.

Oggi le maschere dei carri vengono animati dai “movimenti” e il primo fu il carro Pierrot di Umberto Giampieri del 1923, che riuscì a rendere mobili gli occhi e la testa del fantoccio.

Il fascismo incoraggiò e controllò il Carnevale, che si svolse fino al 1940. Durante la seconda guerra mondiale furono numerose le incursioni aeree sulla città di Viareggio. I bombardamenti uccisero un elevato numero di civili, distrussero case, palazzi, attrezzature del porto. Liberata nel 1944, Viareggio lentamente si leccò le ferite e iniziò a ricostruirsi.

Carnevale di Viareggio: gli hangar di via Cairoli

Il primo carnevale dopo la guerra fu quello del 1946. I maestri della cartapesta lavoravano fra le macerie e dopo due anni, nel 1948, iniziarono la costruzione degli hangar di via Cairoli: l’arte della cartapesta e della costruzione dei carri, che occupa un intero anno, diventa patrimonio della città, un’eredità preziosa di cultura e storia.

La cartapesta si prepara con acqua, carta, colla e gesso. Grazie alla leggerezza del materiale vengono plasmate forme giganti, che verranno levigate con la carta vetrata e dipinte con colori acrilici. Il primo carro di cartapesta del Carnevale di Viareggio fu “I cavalieri del Carnevale” di Antonio D’Arliano, nel 1925.

Il 29 giugno del 1960 un incendio distrusse i capannoni e l’attrezzatura di via Cairoli: non si fece in tempo a preparare le mascherate che erano già in costruzione per il Carnevale dell’anno successivo, ma Viareggio e i suoi artigiani non si diedero per vinti e il 1961 fu festeggiato in ritardo e ricordato come il Carnevale di primavera. Un simbolo di resilienza, la lezione di chi non si arrende.

Giorni di febbraio

Momenti strappati dal calendario del libro dei giorni, il diario del tempo è fatto di neve che si scioglie e sole che torna…

Giorni di febbraio

Svegliarsi per bere un sorso di latte o mezzo bicchiere d’acqua, prima che faccia giorni, con i piedi nudi sugli scalini freddi e la stufa che borbotta sommessa

I raggi del sole sulle palpebre e tenere gli occhi ancora chiusi e sorridere, rotolarsi fra le coperte come gatti che sonnecchiano nella luce del mattino che entra dalle finestrelle della soffitta

Caffè lungo, lunghissimo; capelli arruffati; programma C veloce, a 40°, della lavatrice con i vestiti di ritorno dal viaggio che fanno mucchi colorati e aspettano pigri il loro turno

Svuotare lo zaino e lasciare qualcosa nelle tasche, come sempre, prima di appenderlo al suo gancio, dietro la porta, in attesa di nuove partenze

Sentirsi finalmente pronti per salutare il Natale e smontare l’albero per costruire al suo posto un castello di cartone

Lasciar andare il ragù, che lentamente si raddensa, in una pentola di coccio sulla fiamma della stufa

Cinciallegre e passeri che ancora cercano i semi che mettiamo loro ogni mattina, un corvo solitario oltre una siepe e, ieri sera, il verso di un allocco, solitario nella notte silenziosa e per niente fredda, con un cielo di velluto immenso di stelle

Tu che ridi mentre io ti faccio notare un aereo che attraversa il cielo nel buio, mi guardi e dici “sembra un po’ una stella, così rotondo”, e sì, è vero, sembra un po’ una stella

Il cacciavite, non quello di plastica no, quello vero, per lavorare sul serio

I sonnellini, i libri belli da lasciare sul davanzale e prendere andando su e giù per le scale; le bacche rosse della cotonastra

all’orizzonte le montagne tornano del loro solito rosso paglierino che contrasta con l’azzurro sterminato del cielo, una sfumatura unica che forse nemmeno esiste fra i colori conosciuti. Eppure è proprio così, se guardi bene riesci a distinguere ogni singolo albero, il tronco bianco e i rami verso l’alto, tutti stretti stretti, uno all’altro, e in mezzo radure di prato ancora coperte di neve.

In giardino il bianco si scioglie. Appare la prima pratolina da sotto la neve, stropicciata, con le punte dei petali rosa, e all’improppivo la primavera sembra già sulla porta di casa, insieme ai nuovi germogli delle rose e le radici di un ramo spezzato di miseria, trovata su un vialetto e messa in un bicchiere, che forse fiorirà.

Carlos Soria, alpinista: in vetta a 80 anni

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Carlos Soria è un alpinista spagnolo e il 5 febbraio 2021 ha festeggiato 82 anni. Operato al ginocchio, ora ha una protesi. Dice di se stesso: sento l’energia di mani e piedi che se va. Ed è per questo che mi alleno.
Questa primavera uscirà dalla sua casa di Avila diretto all’aeroporto di Madrid dove prenderà un volo per il Nepal diretto al grande gigante bianco, il Dhaulagiri.
“Voglio farlo per la memoria di tutti gli anziani morti durante la pandemia”.

Negli ultimi vent’anni, cioè da quando ha compiuto 60 anni d’età, Carlos Soria scalato 11 delle 14 cime più alte al mondo.
Se riuscirà, come desidera, a scalare il Shishapangma in Tibet il prossimo autunno sarà record mondiale.

 

1 febbraio 2021, colpo di stato in Birmania

In Myanmar c’è un colpo di stato. Su Wikipedia hanno già creato una nuova pagina,
Colpo di Stato in Birmania del 2021
“è stato un colpo di Stato militare messo in atto dalle forze armate birmane la mattina del 1º febbraio 2021 per rovesciare il governo di Aung San Suu Kyi, che è stata arrestata” (e attualmente non si sa dove sia)

Nel frattempo sul viale principale della città una ragazza fa lezione di aerobica. C’è da dire che in Asia è frequente (con grande stupore di noi occidentali). Accade ovunque, di solito la mattina e al tramonto. Qualcuno arriva, in un parco o in una piazza in cui lo spazio lo permetta, e accende uno stereo collegato a una cassa: inizia l’ora della ginnastica e chiunque, gratuitamente, può unirsi.
In questo caso la lezione diventa virale. Perché sulla stessa strada dove Khing Hnin Wai, insegnante di aerobica, si muove a ritmo di musica iniziano a passare i convogli militari.
Il golpe è in atto. Il video riprende.

Essere proprio lì, nel posto giusto al momento giusto.
Là dove accade la Storia.
E non vederla.
Suona ironico. O magari notare qualcosa fuori posto con la coda dell’occhio ma non farci poi troppo caso, quante volte succede.
La realtà ci avvisa e invece andare oltre, proseguire come niente fosse.
E intanto niente è più uguale, ma tu fai finta che sia un giorno come un altro.
Ignori i rumori e anche il tuo sesto senso che ti direbbe di muoverti, fare qualcosa.
Agire un gesto imprevisto invece di rispettare il programma.

Uscire dalla zona di comfort a volte è anche questo, il coraggio di interrompere il programma
e agire. E per farlo, guardarsi intorno e chiedersi che cosa accade nel mondo, intorno a noi.

Perché in fondo non c’è maggior cecità che vedere solo ciò che accade a noi stessi