Fiori di primavera o di fine inverno? Mentre la neve si scioglie sui prati fra i sentieri fa sobbalzare il colore intenso dei nuovi fiori, ci lasciamo sorprendere da profumi che credevamo dimenticati e nuove sfumature dell’anima. Qui dove abitiamo noi, nell’Appennino Tosco-Emiliano, provincia di Modena, i primi fiori di primavera a spuntare sono le primule, che fanno rinascere di giallo il mondo.
Alla fine dell’inverno appaiono le violette, in mucchietti che mi ricordano i gruppi di vecchie amiche, strette strette negli sciallini minuscoli spalla contro spalla a chiacchierare e commentare ciò che è stato dell’inverno. Poi il crocus, che colora la terra di bianco e sfumature viola, ricordo delle vacanze di Pasqua quando andavo con mia nonna a camminare in questi prati.
Crocus
L’ho avvistato per primo fra tutti quest’anno, una piccola esplosione viola fra il color terra delle foglie secche. Il crocus è temerario e di frequente è il primo a sbocciare, fra la fine dell’inverno e l’inizio di primavera. Appartiene alla famiglia delle Iridacee (Iridaceae) e il suo nome viene dalla lingua greca, Kròkos. Questo piccolo fiore, viola o bianco, è citato fra le pagine dell’Iliade: significa filo di tessuto. All’interno sono ben visibili i lunghi stigmi che nel suo cugino più celebre, il Crocus sativus (comunemente noto come zafferano!) vengono sfruttati in cucina.
Il piccolo crocus durante la stagione primaverile sa trasformare i prati in un dipinto. Nell’Appennino tosco-emiliano il crocus spunta ovunque, fra le zolle di terra brulla e l’erba ingiallita scampata alla fine dell’inverno insieme ai piccoli cespugli di violette e le primule. Cresce in Europa, ma si trova anche in in Africa nord-occidentale e in Asia occidentale, fra le vallate dei Monti Altaj, un posto magico, dove anticamente nacque lo sciamanesimo. I popoli che vivevano in Altaj, o Altai, consideravano sacre le montagne. Siamo in Asia, sui monti che svettano dal deserto dei Gobi alla Siberia occidentale all’incrocio fra Russia, Mongolia, Cina e Kazakistan.
Primula
I petali di primula si possono aggiungere anche all’insalata. Ma la vera sorpresa è avvistarle alla fine dell’inverno, quando i prati sono ancora secchi e il loro colore è il primo a manifestare signora Primavera che torna a camminare sulla Terra. Infatti il nome primula, dal latino, viene dalla parola primus, primo: è il primo fiore a sbocciare dopo l’inverno e per questo la primula è il simbolo della rinascita di primavera.
Violetta
Il genere Viola appartiene alla famiglia Violaceae, diffuso in ogni continente: comprende circa quattrocento specie. La violetta è il fiore della città di Toulouse, nel sud della Francia, dove si produce un aperitivo a base di questo fiore. Come si riproduce la violetta? In due modi. I fiori più in alto vengono impollinati dalle api e dagli insetti, così viaggiano nell’aria, mentre negli altri, più in basso, si verifica l’autoimpollinazione. Questo significa che questi semi cadono vicino alla pianta madre e presentano un corredo genetico simile a lei. Non è meraviglioso pensare a questo processo immaginando che alcuni figli vadano lontano, a esplorare il mondo, e altri si fermino qui, vicino a noi. Figli o… azioni. Possiamo pensare ai semi dei fiori come ai nostri gesti: i nostri pensieri e le azioni che compiamo ogni giorno volano e riproducono ciò che siamo.
Alla fine dell’inverno ogni anno attendo, con trepidazione e curiosità, i bucaneve. Perché la natura ritorna, con magica puntualità, da anni, così tanto che noi non abitavamo in questa casa e non eravamo nemmeno nati. C’è un unico piccolo gruppo di bucaneve, qui in giardino; non sono che tre o quattro eppure da più di cinquant’anni, tornano, alla fine dell’inverno, sempre di fianco alla porta di casa. E io ogni anno spio il loro arrivo.
Bucaneve
Il bucaneve, Galanthus nivalis, è della famiglia delle Amaryllidaceae: galanthus, così viene chiamato anche in lingua inglese, da due parole greche: gala, latte, e anthos, fiore. Fra i parchi del Regno Unito in questa stagione è ovunque: se ti trovi a camminare fra i parchi di Londra nel mese di febbraio vedrai un tappeto di minuscoli bucaneve, ai piedi delle querce. In Irlanda il bucaneve era il simbolo della festa di Imbolc, una festa antichissima che poi in epoca cristiana divenne la Candelora. Sai che il bucaneve inglese ha un legame con l’Italia? Fu la regina Elisabetta a introdurre i primi bucaneve in Gran Bretagna, dalle montagne italiane.
Tarassaco o dente di leone
All’improvviso il giallo delle prime primule sembra diventare scialbo. D’un colpo, in una notte e un giorno, è nato il tarassaco: il suo giallo rende tutto ciò che era prima sbiadito.
C’è una cosa che ci insegna il tarassaco ed è il senso della trasformazione: nulla accade se non accade prima dentro. Rifletto su questo ogni volta che osservo il tarassaco. Com’è diverso a seconda del momento della sua esistenza, vero?
Leggi qui: la lezione del tarassaco
La raccolta delle erbe selvatiche di primavera, un tempo così comune, è diventata una pratica dimenticata. Tuttavia, dagli studi emerge che il livello di zuccheri presenti nel nostro sangue presenta un aumento preoccupante e altrettanto preoccupante nella nostra alimentazione è la carenza delle erbe amare e del loro potere detossinante.
Rosmarino
Anche il rosmarino, Salvia rosmarinus, all’inizio di primavera si trasforma. Non sono meravigliosi i suoi fiori azzurri e viola?
Viola canina o viola selvatica
Lamium purpureum o falsa ortica
Spinacio selvatico
Noto con altri nomi, come buon enrico o farinello, lo spinacio selvatico o spinacio di montagna è ottimo nella frittata, nel risotto e nelle zuppe. Si tratta di un’erba spontanea preziosa per il sistema immunitario, ricca di vitamine e sali minerali, un tempo particolarmente importante in un momento dell’anno, la fine dell’inverno, in cui c’era meno disoponibilità di verdura fresca e fonti di vitamina. Al contrario, attualmente ciò di cui più il corpo risente è la carenza di un elemento che già nell’Ayurveda o in medicina cinese viene abbinato al potere disintossicante delle erbe di primavera. Sono le erbe come il tarassaco, o dente di leone, l’ortica e l’aglio orsino che da secoli venivano raccolte nei campi e per tempo immemorabile sono state protagoniste nella cucina di primavera, svolgendo un ruolo importante perché oltre che nutrimento e fonte di vitamine, aiutavano la depurazione dell’organismo e la pulizia dell’intestino. Oggi viviamo sempre più lontani dalla natura, per questo la raccolta delle erbe selvatiche di primavera, un tempo così comune, è diventata una pratica dimenticata. Tuttavia, dagli studi emerge che il livello di zuccheri presenti nel nostro sangue presenta un aumento preoccupante e altrettanto preoccupante nella nostra alimentazione è la carenza delle erbe amare e del loro potere detossinante.
Alliaria
Se avvisti questa pianta spontanea prova stropicciare leggermente una delle sue foglie fra le dita. Sa di aglio, vero? Si chiama alliaria ed è un’altra delle erbe di primavera buona da mangiare. Puoi pestare le foglie o sminuzzarle e usarle per l’insalata o la bruschetta.
Trifoglio
La fioritura del prunus
In Giappone la fioritura dei ciliegi, chiamata sakura, è uno spettacolo che diventa rito collettivo. La parola hanami letteralmente rimanda all’azione del “guardare i fiori”, un gesto di attenzione: un atto di comtemplazione trasformato in rito collettivo. Sulle montagne dell’Appennino fiorisce il genere prunus, che comprende oltre trecento specie di piante. Fiorisce il ciliegio e insieme a lui l’amareno, da cui nasceranno, all’inizio dell’estate, piccoli frutti rossi dal sapore aspro. Da bambini, in vacanza sui monti, raccoglievamo con le nonne le rosse amarene, che venivano coperte con alcol e zucchero per farne barattoli da lasciare sui davanzali al sole, che sarebbero diventati doni per le mamme e i papà, in attesa del loro arrivo in agosto, all’inizio delle ferie.
Orchidea selvatica
Il periodo migliore per vederla è maggio, anche se in luoghi come la Sardegna è facile avvistarla anche in marzo: l’orchidea selvatica.
Muscari neglectum
Cerastium peverina
Farfaraccio
Osservare un fiore nel tempo è una riflessione sul cambiamento. Alcuni fiori non sembrano gli stessi, a distanza di qualche giorno o settimana. Ma in fondo non succede anche a noi? Ci trasformiamo, giorno dopo giorno. Siamo sempre gli stessi, ma anche nuovi, ogni istante, anche se non ci facciamo caso o non ce ne rendiamo conto.
Anemone dei boschi
Attenzione all’anemone…
Bellissimo, ma velenoso.
Anemone giallo
Myosotis, non ti scordar di me
Erba di san Lorenzo o bugola
Ha tanti nomi lei: erba Lorenza o erba di san Lorenzo, bugola, morandola, ma il suo nome scientifico è Ajuga reptans. Assolutamente non per uso interno a meno che non si tratti di integratori preparati da professionisti perché possiede un’azione epatotossica, un tempo le sue foglie venivano raccolte e strofinate sulle ferite infatti ha proprietà cicatrizzanti.
In attesa dell’estate…
Fragaria, fragola
Che meraviglia le piccole piante di fragoline di bosco: è la fine di aprile e quest’anno stanno spuntando ovunque. Non sempre accade perché dipende anche dall’umidità.
Nel mese di giugno le fragoline selvatiche sono facili da trovare nel folto del bosco, ma anche fra i prati e ai bordi dei sentieri tra ombra e sole. Si possono raccogliere e congelare o… mangiare fragola dopo fragola, magari con un cucchiaio di gelato. C’è un vecchio film del 1957 che parla di ricordi d’infanzia, tempo e cambiamento: “Il posto delle fragole“, scritto e diretto da Ingmar Bergman girato in Svezia vicino alla città di Lund.
“La verità è che io vivo sempre nella mia infanzia, giro negli appartamenti in penombra della mia infanzia, passeggio per le silenziose vie di Uppsala, mi fermo davanti alla Sommarhuset ad ascoltare l’enorme betulla a due tronchi. Mi sposto con la velocità di secondi. In verità, abito sempre nel mio sogno e di tanto in tanto faccio una visita alla realtà”
Ingmar Bergman
Margheritina o pratolina
L’arte del vedere
Vedere è un’arte, sai? Sì, perché non basta vedere o poter vedere: saper vedere è un allenamento e un’ispirazione, va coltivata ogni giorno e quanto spesso ce ne dimentichiamo. A vedere si impara, ecco perché si tratta di un esercizio quotidiano. Nella storia della medicina i casi di chi ha potuto vedere grazie a un intervento chirurgico ci hanno fatto scoprire che fenomeni come la prospettiva non sono un fatto scontato bensì una costruzione: noi vediamo con il cervello e la nostra vista si allena nel tempo. La visione che abbiamo, del mondo e anche di noi stessi, delle forme, dei colori e di come percepiamo le cose è il risultato di tanti fattori: del nostro carattere e delle nostre unicità, della cultura che respiriamo e della storia in cui siamo collocati. È il nostro universo di senso. Se ci fermiamo su questo pensiero – il modo in cui ognuno di vede è unico – allora può accadere un’incredibile rivoluzione e a partire da questo possiamo persino iniziare a costruire la nostra visione, che non ha solo a che fare con la vista perché diventa il modo che abbiamo per chiederci quali sono i nostri sogni, le direzioni in cui ci interessa andare, la strada che stiamo percorrendo giorno dopo giorno.