Tempo sospeso, ottant’anni e non sentirli

Vorrei avere una macchina fotografica speciale di quelle che sanno intrufolarsi in certi momenti imprendibili e essere capace di rendere il senso di una stretta, le mani che si stringono, il fruscio dei maglioni pancia contro pancia. E poi i sorrisi e due sguardi che si incontrano, l’angolo umido della palpebra e gli occhi velati che diventano rossi, il respiro che si mescola. L’atmosfera degli incontri all’improvviso, quelli dove ti porta il cuore.

Quando mi aveva detto mi piacerebbe incontrare la mia amica Antonietta, ma non so che fa di mattina non ci ho fatto granché caso, anzi mi sono detta chissà perché non l’ha chiamata forse per lasciare il tutto al caso. Non avevo capito.
Lì, in quel mercato nella piazza arroccata fra le montagne, erano quarant’anni che non ci veniva. Mio marito è morto da trenta e pensa che venivamo qui ancora prima, l’ultima volta saranno quarant’anni fa, sì.

Com’era prima?
Intanto questo parcheggio non c’era! Lei spesso inizia le frasi con intanto, che è una parola che addosso ai suoi discorsi mi piace, come un cappello da indossare mentre stai già pensando ad altro, qualcosa che deve ancora arrivare, il vestito sotto al cappotto; intanto è l’aperitivo mentre aspetti la cena. A volte il resto non arriva e il discorso si tronca lì, su quell’intanto che ormai ha già spalancato la porta della mia immaginazione. Com’era il mondo prima, quando l’ultima volta che l’hai visto eri una ragazza e in mezzo ci si sono infilati quarant’anni? Vorrei avere le parole per vederlo invece spio la sua espressione mentre lo guarda di nuovo. Case dai muri scrostrati e altre rimesse a nuovo; la strada rimasta immobile e dritta, come una riga netta su un foglio bianco: è tutto il resto a essere cambiato, il mondo le è cresciuto intorno. A volte cresce così tanto che poi si fa fatica a rinoscerlo.

Girando fra i banchi del mercato si sceglie la verdura e la frutta più bella, quest’anno più cara e difficile da trovare perché spaccata dalla pioggia. Mi distraggo dalle cassette di pesche e albicocche, propongo un caffè nella pasticceria all’angolo che ho notato con la coda dell’occhio.
Così, ecco che succede. Ordino un cqppuccino e lei la vede, quella donna al bancone che ha un anno più di lui , gli occhi chiari e i capelli di sole. Tu sei Antonietta, eravamo insieme alle elementari. E sì, è proprio lei. E allora la distanza che il tempo ha tessuto in mezzo si supera nell’attimo di andare una verso l’altra, là oltre il bancone maglioni che si strofinano e profumi che si mescolano, le dita si stringono. Sono mani che già molto hanno vissuto, occhi che si conoscono e riconoscono. Si parla del tempo che sta in mezzo, dei figli, dell’essere attivi e del lavoro che mantiene giovani, dei mariti che uno c’è e l’altro non c’è più da molto. Si parla di chi è rimasto, si parla dei vivi e dei morti, delle case svuotate, del paese un tempo pieno di voci e ora che triste tornarci: non c’è più nessuno.

Più hai anni da contare sulle dita, più scompaiono le persone che amavi.
Questo è un segreto che da bambini non si riesce ad afferrare. Sopravvivere alla morte è veder scomparire, lentamente, chi ami. E allora ci vuole carattere, ci vuole l’orto, lo faccio ancora io sai? Ci vuole la sfrontatezza dell’ironia che sa ridere con la vita, ci vuole la forza che non si arrende, le giornate di sole di vento in faccia; che sia il giardino, i nipoti o il bancone del bar tutte quelle attività che ti fanno sentire ancora intensamente vivo: in Giappone lo chiamano Ikigai,“quello per cui vale la pena vivere”. A volte è difficile trovarlo quel qualcosa, in certi momenti sembra colare a picco, in altri siamo così indaffarati che ce ne dimentichiamo, smettiamo di chiederci cosa ci fa sentire ancora vivi; certe persone lo coltivano da tutta la vita e adesso mentre beviamo il caffè ridiamo e le osserviamo ridere insieme quelle ragazzine ritrovate.
Ottant’anni e non sentirli, esclamiamo noi.

Tempo sospeso quello che rimane nell’aria
Filo infinito che attraversa la trama dei giorni e
il tessuto degli eventi, i cambiamenti.
Nell’istante di un incontro
quel filo è di nuovo
stretto in mano
sguardi che si riconoscono
al di là
degli anni

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Pubblicato da

Maddalena De Bernardi

Giornalista freelance e web writer, scrivo di qualità della vita. Ho un dottorato in etnosemiotica con un progetto di ricerca sui riti di cura. Da qualche anno vivo in un borgo dell'Appennino modenese e mi occupo di resilienza, educazione, meditazione

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