è il 10 aprile. Un ragazzo cammina per la strada, con la mano sposta la falda del cappello per coprirsi gli occhi dal sole. Si accende una sigaretta e sorride, guardando i palazzi, il sole, la gente in questo inizio di anni Venti, burrascoso ed eccitante.
oggi viene pubblicato a NewYork “Il grande Gatsby”, scritto da Francis Scott Fitzgerald: è il 10 aprile 1925. Chissà che tempo faceva a New York. Sono passati (quasi) cento anni.
Siamo di nuovo in un turbinante inizio degli anni Venti, all’inizio di un altro secolo
siamo ancora qui. Sognatori scavezzacollo, inquieti, frementi
scontenti cercatori di felicità,
inquieti dissenti
visionari
stanchi del vecchio mondo
immaginando
il futuro
di nuovo
Tag: primavera
Vivere il tempo in quarantena
E la gente rimase a casa
E lesse libri e ascoltò
E si riposò e fece esercizi
E fece arte e giocò
E imparò nuovi modi di essere
E si fermòE ascoltò più in profondità
Qualcuno meditava
Qualcuno pregava
Qualcuno ballava
Qualcuno incontrò la propria ombra
E la gente cominciò a pensare in modo differenteE la gente guarì.
E nell’assenza di gente che viveva
In modi ignoranti
Pericolosi
Senza senso e senza cuore,
Anche la terra cominciò a guarireE quando il pericolo finì
E la gente si ritrovò
Si addolorarono per i morti
E fecero nuove scelte
E sognarono nuove visioni
E crearono nuovi modi di vivere
E guarirono completamente la terra
Così come erano guariti loro
Kathleen O’Meara, poesia scritta nel 1869
Ora o mai più
Il tempo si spezza e si entra nel mondo sospeso.
Si chiamano punti di riferimento temporali. Sì, perché non ci orientiamo solo nello spazio, ma anche in quello che è il nostro sentimento del tempo. Il tempo, che di per sè non esiste, ma esiste su di noi: è effetto di pelle e ci si incolla sull’epidermide. Il tempo è ruga, solco della terra che attende il passaggio dal seme a albero; il tempo è cicatrice, ferita, sorriso che si apre, sguardi che si perdono o si incrociano in un istante fatale.
Abbiamo bisogno di scialuppe di salvataggio per fuggire dal tempo, a volte. O altre volte di barchette di carta che sappiano traghettare intatti i momenti di cui abbiamo bisogno attraverso l’oceano inconsapevole dell’oblio. Una boa, almeno: da raggiungere a nuoto, bracciata dopo bracciata, che ci ricordi il destino, parola ambigua che in lingua italiana con un solo vocabolo è capace di unire spazio e tempo. “Destino”, quello del tempo di una vita, destino la fermata ultima di un treno. Smemorati cronici, al binario dell’esistenza con la valigia della nostra storia, cercando il senso indietro o avanti, tra qualche chilometro. Un punto che interrompa l’orizzonte indistinto e uguale a se stesso. Un punto di riferimento, appunto.
Il primo giorno del nuovo anno è uno di quei giorni definiti “punti di riferimento temporali” scrive Daniel H. Pink, che di mestiere ha fatto lo speech writer per Al Gore. Dobbiamo immaginarci una cosa simile al bar dell’angolo, la casa di mattoni rossi o il semaforo all’incrocio: la nostra mappa quotidiana è fatta di riferimenti che dividono e suddividono… lo spazio, ma anche il tempo. Nello stesso modo in cui lo sguardo si appiglia a costruzioni che emergono sul piano visivo, spieghiamo e organizziamo la nostra mappa temporale. Dentro l’ordine dei giorni cerchiamo il bandolo di una matassa che al tempo del Covid si è fusa e confusa.
La scatola dei gomitoli ora è diventata inestricabile. Torneremo mai quelli di prima?
Vogliamo tornare quelli di prima?
“Favole al telefono” di Gianni Rodari durano solo una pagina, ma non tutti sanno perché. Sono state raccontate al telefono da un commesso viaggiatore che ogni sera chiamava la sua bambina a casa per darle la buona notte e, come scrive Rodari, le interurbane costa(va)no. Sono favole moderne e adesso quasi non lo sono già più, perché sono state scritte negli anni Sessante, edizioni Einaudi 1962 per l’esattezza. Oggi siamo nella contemporaneità. Il telefono praticamente non costa più e non esiste nemmeno più
– nella mente il rumore del telefono grigio beige della nonna, dove infilavi il dito nella rotella e per iniziare a chiamare descrivevi un cerchio nello spazio come un rito magico –
ora da un capo all’altro dell’oceano passa un filo che ci permette di parlare e addirittura vedere quelli a cui vogliamo fare ciao. Siamo viaggiatori del XXI secolo, eppure se togli “20” davanti, rimane ’20.
Siamo di nuovo nei meravigliosi Venti, il sapore dell’inizio. Un altro giro di valzer.
Perché ogni secolo, ovvio e incredibile, ha i suoi anni Venti. Da piccola io mi chiedevo com’erano state le persone degli anni Venti; cercavo di immaginarmele quelle vite dell’Ottocento, Settecento, Novecento.
I sogni, gli incidenti e i bivi della vita. Le svolte, gli orizzonti cercati.
Le illuminazioni improvvise e le saggezze dell’età. Le cucine e le case, i visi allo specchio.
Che faccia avevano, quali abiti e sogni, che speranze e incubi abbbiamo indossato in tutti gli anni Venti della Storia.
E chissà, come saranno quelle degli anni Venti del Duemila col senno di poi.
E chissà, come saremo noi nel nostro sguardo di domani


I giardini del muschio rosa di Takinoue in Giappone

Nella prefettura di Hokkaido i giardini rosa di Takinoue in primavera
Il nome Takinoue, che letteralmente significa “sopra alla cascata” in lingua Ainu Takinoue è detto “Ponkamuikotan”, il “villaggio dei piccoli dei”.



Fiori di primavera: trifoglio rosso
“Trifoglio rosso” o “trifoglio violetto”, ha sfumature accese come un piccolo sole all’alba. Il trifoglio dei prati, Trifolium pratense, annuncia la primavera perché è tra i primi fiori a spuntare sui prati alla fine dell’inverno.
Succhia i suoi petali e sentirai un sapore dolce dolce. Puoi raccoglierlo e unirlo all’insalata, darà colore e ricchezza al piatto. Oppure impasta un formaggio caprino fresco con un cucchiaio di olio, aglio, una manciata di foglie tritate e i petali di qualche fiore di trifoglio: la ricetta di primavera per una crema da stendere sulle bruschette.
Fra gli effetti benefici del trifoglio rosso l’azione antiossidante degli isoflavoni, fitoestrogeni in grado di agire positivamente sulla salute della prostata, abbassare il colesterolo, alleviare i dolori mestruali e i sintomi della menopausa. Di questa piccola pianta dei prati i druidi conoscevano le proprietà calmanti e disintossicanti. Il trifolium pratense aiuta la respirazione e lo stomaco allontanando disturbi gastrici e malanni come la tosse. Sotto forma di impacco, calma la pelle.
Trifolium, tre foglie: inconfondibile la sua forma. La pianta si sviluppa rapidamente ed è usata nelle rotazioni agrarie per rigenerare il terreno. Il trifoglio può rimanere dormiente persino anni e poi all’improvviso sbocciare, quasi su qualsiasi terreno. Raccolto durante la bella stagione, diventa profumato foraggio per l’alimentazione delle mucche.
Plinio il vecchio nella sua opera “Storia naturale” racconta che le foglie del trifoglio si alzano leggermente quando sta per arrivare la pioggia. Chi si addormenta su un prato di trifoglio potrebbe incontrare un elfo, narrano le leggende nordiche. E se indossi un quadrifoglio, dice la tradizione inglese, potresti riuscire a trovare l’ingresso per il magico regno delle fate.
Trefoil è uno dei simboli dell’Irlanda, shamrock, in gaelico seamróg, trifoglio giovane. Con i fiori di trifoglio fra i capelli si brindava per poi gettare il fiore nell’ultimo sorso di whisky e lanciarlo dietro la spalla sinistra: drowning the shamrock, rito beneaugurante. Nel Settecento il trifoglio diventa simbolo della lotta per l’indipendenza irlandese.
Una delle specie più comuni è il trifolium repens: trifoglio bianco, noto come trifolium ladino o rampicante, amatissimo dalle api. Usa i suoi fiori nella frittata oppure lasciali macerare nel vino. Anticamente, i petali di trifoglio venivano seccati, polverizzati e uniti alla farina.
dalla “Flora dell’apicoltore lombardo”, pubblicata sulla rivista “L’Apicoltore” nell’anno 1873.
“Fra le moltissime specie di trifoglio l’apicoltore deve conoscerne tre che tanto per la loro diffusione, come per la quantità di miele che somministrano riescono d’una importanza non comune. Le tre specie sono: il Trifoglio pratense, o di Lombardia, o di Stiria, il Trifoglione, o incarnato, ed il Trifoglio ladino, o cavallino, o domestico”

Primo giorno di primavera, Capodanno in Iran
Mentre in Occidente si festeggia l’equinozio, fra il 20 e il 21 marzo in Iran si festeggia Nowruz. Il senso di questa festa, che letteralmente significa “nuovo giorno”, da una parte all’altra del Mediterraneo evoca il giallo e il rosso, fuoco che è sole, rinnovamento, vita. Natura che sboccia e rinasce. Vita che si rinnova.
La sera ci si raduna intorno all’Haft-Sin, il tavolo dei sette simboli, dove ogni elemento richiama un principio vitale. Un tempo era occasione per scherzare e ritrovarsi insieme alla famiglia, a cucinare e mangiare i piatti a base di mahi, pesce, e sabzi polo, il tradizionale riso con verdure. Il profumo lontano delle spezie e le ricette delle nonne chiuse in un cassetto, oggi diventano profumi evanescenti dall’altra parte dell’oceano. Al di là del mare, le famiglie: famiglie divise dalla storia e unite dal filo sottile della linea internet che diventa comunicazione, parole d’amore, vicinanza condivisa.
Per paura del contagio Covid-19 le autorità iraniane hanno rilasciato circa 70mila detenuti, temporaneamente rimessi in libertà. Ma molti rimangono in carcere, detenuti politici, uomini e donne che si battono per il diritto a vivere in libertà. In Occidente viole e primule, qui fioriscono i tulipani, che oggi evocano il sangue dei martiri e nelle Mille e una notte erano simbolo d’amore, quando nel regno di Persia i sultani ottomani gettavano un fiore di tulipano alla favorita scelta quella sera.
A passo rapido attraverso i giardini degli harem segreti, dal giardino botanico di Shiraz alle fioriture del deserto. I riti di primavera rievocano i fuochi sacri del culto di Zoroastro e illuminano la notte, quando saltando il falò si bruciano d’un balzo i peccati accumulati nell’anno, gli sbagli e e gli orrori, per purificarsi nel cielo stellato.
“Har ruzetan Nowruz, Nowruzetun Piruz”
Ogni vostro giorno sia Nowruz,
e il vostro Nowruz sia vittorioso
Abbracci, uova dipinte, la bellezza della rinascita: la festa di Nowruz nel 2009 è stata eletta Patrimonio Intangibile dell’Umanità.
