Passeggiate di novembre

Passeggiate di novembre la mattina presto, quando esci di casa e c’è una luce fortissima: il sole, l’aria fredda, il sapore di una mela selvatica. Mettere la sciarpa e tornare a casa per prendere dal cassetto i guanti di lana colorata. Passo dopo passo inerpicarsi in un prato dove non si è mai stati e non importa se è a distanza di poca metri: importa raggiungerlo e poi stare un attimo lì, fermi a guardare il mondo da questa prospettiva.

La luce del sole che si rovescia addosso sul mondo e sulle cose, sui cappotti e sulle facce, fra gli occhi e i capelli; scioglie la brina e dove, invece, rimane l’ombra la terra scricchiola ancora sotto alle suole delle scarpe. Raccogliere una mela e addentarla, il sapore fresco della vita che nasce senza essere imbrigliata, selvatica e pura. Il sapore antico degli alberi che stanno lì da prima di noi, antichi e antiche saggezze, come custodi silenziosi e vigili.

Camminare a novembre, nelle mattine di silenzio e luce intensa. I cieli azzurrissimi senza stormi, già volati via. Una cinciallegra gialla e blu fra i rami del ciliegio. Tornare a beccare la buccia e la polpa di quelle buone meline selvatiche è una colazione fortunata che alle cince e ai passeri piace molto, racconta l’amico immaginario nel vento. Il tasso dorme nella sua tana non lontana dal vecchio ciliegio.

Sabato. Il bucato steso ad asciugare al sole. La prospettiva dei movimenti della luce sull’aia: come cambia dall’estate all’inverno, gli angoli raggiunti e quelli subito abbandonati. Un gatto accovacciato al sole, sdraiato su un sasso. Un merlo che si tuffa fra le bacche arancioni della siepe, uno dei primi animali che un bambinetto biondo di due anni imparava a dire, due anni fa: “mello!” e il ditino indicava il merlo nascosto fra i rami o saltellante lì a pochi metri, nell’aiuola di un parco.

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