Tu li compi in maggio e non vedevi l’ora: ci hai messo qualche giorno o settimana, ora non so più, a lasciare il 3 per il 4, imparare un nuovo modo di piegare le dita quando qualcuno ti chiede quanti anni hai – chissà perché da piccoli rispondiamo spessissimo a questa domanda, poi passano gli anni e anche la domanda. Forse i numeri si imparano così, aggiungendoli dito dopo dito fino.
Più di tutto mi emozionano le tue gambette. Gambe magrette e disegnate da quanto corri, giochi e ti arrampichi ovunque. Gambe ogni giorno più lunghette. Mi emozionano e mi commuovono anche. Anziché concentrarci sulla nostalgia del tempo che passa potremmo vedere l’inestimabile meraviglia, il miracolo che rende una cosina piccola come un neonato cicciotello un ragazzino che sfreccia per casa e sa mille parole e ha spiegazioni e mille invenzioni in testa.
Parli di marchingegni e robot che fanno tutto e ancora non esistono nemmeno nel mondo là fuori. Ami le fragole, l’anguria, i noodles, il brodo, lo yogurt.
I tuoi giochi preferiti: fili e corde; fino a qualche mese fa costruire carrucole, ovunque. Da Natale scorso, il primo di cui hai davvero memoria, i tuoi tre monster truck telecomandati che cerchi di fare ovunque. Soprattutto il cassetto della cucina, il cassetto dei lavori, di papà e soprattutto tuo, dove è infilata ogni genere di cianfrusaglia, oggetto e attrezzo.
Prima di andare a dormire ami leggere sempre e solo i tuoi libri delle scoperte, una vecchia collana molto bella che io da piccola giudicavo troppo noiosa e che invece ora tu mi chiedi continuamente di leggere per te. La pagina sulla formazione del carbon fossile è la prima didascalia in assoluto che sei stato fermo ad ascoltare da piccolo e ancora oggi ti interessa soprattutto quello, come sono fatte le cose.
Da un paio di settimane è iniziato novembre e tu ti sei reso conto con meraviglia che papà sa leggere e tu no. Allora mi chiedi le lettere magnetiche da appoggiare sulla lavagna formando parole; noto che mentre leggiamo guardi bene le parole a cui prima non facevi così caso. L’inverno scorso ogni tanto con papà, in viaggio, riempivate il foglio bianco di una pagina con tutte le lettere dell’alfabeto. I nuovi metodo ormai da un po’ dicono che è più facile imparare a leggere creando piccole parole con un senso compiuto, ma tu no: volevi che qualcuno ti dicesse l’alfabeto dall’inizio alla fine e sapere come scrivere ogni lettera. Per bene la ricopiavi e poi ti mettevi a cercarla ovunque. Ancora le ritrovi quelle lettere, dentro al mondo: ogni tanto mi fai notare un filo caduto a forma di m, o una t fatta di stecchi, lo zero dentro a una ciambella. La prima era una P di papà dentro il cartello blu con la P bianca del parcheggio; anche quella volta eravamo in viaggio, in Spagna, camminando sul marciapiede di fianco al mare a Peniscola. Alleni la tua atttenzione a riconoscere l’alfabeto ovunque.
I numeri? Non so se li conosci. Dici 1,2, 53, 87, 90. Poi di fronte a un’amica dici anche che il 3 è 2+1 allora mi viene il dubbio che in parte ti diverti, in parte quei nomi di numeri mille volte ripetuti da qualche parte stiano. Il 4 era il numero che non volevi mai dire, ma poi hai compiuto 4 anni e allora hai iniziato a considerarlo. Dici: quattlo, e io sorrido.
Vai a piedi nudi ovunque. Hai capelli scompigliati che non vuoi pettinare né tagliare.
Buona notte, ti dico io stasera: vuoi un abbraccio. No, rispondi tu, come a dire che sei grande. Poi aggiungi: e tu lo vuoi un abbraccio? Io lo voglio sì! Allora mi abbracci fortissimo al collo e in un attimo precipiti nel sonno.