
Tradizionalmente la luna piena di febbraio viene chiamata Luna della Neve o Luna della Tempesta: questi nomi derivano dalle osservazioni dei popoli nativi dell’America e delle culture del Nord Europa. Mese di burrasche e nevicate, febbraio è un funambolo in equilibrio lungo una linea sospesa fra inverno e primavera, da una parte il gelo, dall’altra i primi timidi accenni di sole e i bulbi che si fanno strada fra la terra ancora scura, intrisa di pioggia, ricamata dalla brina mattutina che a volte non passa. nomi che derivano dalle antiche osservazioni dei popoli nativi americani e delle culture agricole europee. La luna piena di febbraio portava con sé il candore dell’ultima neve invernale e l’oscurità dlele tempeste, ma anche il senso di resistenza e sopravvivenza, che oggi in fondo si è perso, ma di cui, in fondo, è ancora possibile ritrovare una traccia.
Immagina la notte della Luna della Neve, un momento sospeso nel tempo, quando la luce d’argento del plenilunio illumina i paesaggi sterminati ricoperti di bianco. Le foreste immense: secoli, millenni fa tanto più vaste rispetto a oggi. Nel tempo in cui il mondo era più buio, le notti di luna piena erano evidenti. La luce. La lune improvvisa e totale che rovescia la notte e illumina i prati gelati, i sentieri e i laghi. Con la neve ancora di più, un mondo abbacinante e candido nell’essenza.
Il silenzio dell’inverno è spezzato solo dall’eco di un ululato lontano. In questa notte di febbraio, il legame tra il lupo e la luna si fa più intenso, un filo invisibile che unisce cielo e terra, passato e presente, mito e realtà.
Sarebbe bello in questa notte di luna piena di febbraio immaginare di essere in una foresta antica, innevata: al centro di una radura nel riflesso del bianco il respiro fra paura e attesa che si confonde con la bruma, il cielo limpido e infinito fra le stelle brillanti. E poi, un suono: il canto del lupo che risuona nel silenzio, un richiamo antico che parla all’anima. Luna della Neve, luna della Fame, perché nel periodo dell’anno in cui le scorte già scarseggiano: invito ad ascoltare e affrontare l’inverno dell’anima, speranza di primavera e timore sacro verso tutto ciò che è tanto più immenso di noi, capace di divorarci anche, uccidere ed essere uccisi, forza per la sopravvivenza
Un altro nome della luna piena di febbraio era Luna della Fame. In molte culture indigene nordamericane questo era il periodo in cui le scorte di cibo accumulate in autunno iniziavano a scarseggiare: a causa del gelo la caccia diventava più difficile; le notti fredde e l’assenza di risorse trasformavano la Luna della Fame in un simbolo di sacrificio e resistenza, ma anche di tenacia e forza per la vita, attaccamento alla sopravvivenza contro ogni ostacolo. Febbraio era considerato un mese di transizione, un momento in cui la comunità doveva affidarsi alla propria capacità di resistere fino al disgelo.
In questa prospettiva, la Luna della Fame si collega direttamente a Imbolc, l’antica festa celtica celebrata attorno al primo febbraio, che segna il primo segnale della rinascita primaverile. Imbolc era dedicata alla dea Brigid, protettrice del fuoco, della fertilità e della guarigione: la rappresentazione della luce che inizia a vincere sulle tenebre invernali. Durante questa festa, si accendevano candele e si compivano riti di purificazione per prepararsi alla nuova stagione, simboleggiando un passaggio tra il vecchio e il nuovo ciclo della vita. La festa della luce ritornerà, secoli dopo, nelle celebrazioni cristiane della Candelora, diffuse nel mondo contadino fino al Novecento. Come la Luna della Fame segnava la sfida degli ultimi giorni di freddo e privazione, Imbolc era un invito alla speranza, alla preparazione per la rinascita della natura e all’accoglienza dei primi segni di cambiamento.
Sotto la Luna della Neve, tutto sembra immobile, eppure pulsa la vita nascosta: un’esistenza ancora segreta, come nascosti sotto la terra sono i bulbi dei bucaneve, di cui già si intravedono le punte. I semi sono stati gettati: sbocceranno in primavera; per ora è la terra a custodirli e inghiottirli. In certi giorni, quando il gelo sembra attanagliare anche lo spirito e la neve ricopre tutto in uno strato infinito, subentra anche il timore che la terra non restituirà mai più quei semi, che si sono persi, perduti per sempre nel buio e nel marcio.
Dobbiamo pensare a un mondo molto più ostico rispetto a questo in cui viviamo. Un mondo fatto di legna da bruciare ma non così tanta, di vestiti caldi e fuoco, ma anche di una capacità molto più elevata di sopportare il freddo. Un mondo in cui l’inverno, in certi territori del mondo, poteva assomigliare a un lungo tunnel oscuro la cui via d’uscita non fosse affatto scontata.
Il gelo conserva il seme della primavera, la notte custodisce la promessa dell’alba. Anche per gli esseri umani il tempo di febbraio e della Luna di Neve è un momento in cui stare fermi: raccoglimento interiore. Immobili, in piedi davanti al mare a guardare le tempeste che si dibattono nelle acque gelide. Immobili, a respirare fra gli alberi nel fruscio della neve che cade dai rami.
Nelle credenze popolari, la Luna della Neve rappresenta il culmine dell’inverno e l’attesa della primavera. Gli sciamani con la neve preparavano rituali di purificazione, un modo per lasciar andare il vecchio e prepararsi per il rinnovamento, interiore come della natura.
Ieri pomeriggio qui fra le montagne dell’Appennino è scesa una nebbia che ha avvolto tutto. Ma a tarda sera la nebbia si è diradata e improvvisamente le nuvole hanno iniziato a correre velocissime: nel buio è apparsa la luna. Ho spalancato la finestra e sono stata a osservarla. La luna piena sembrava immensa e aveva una meravigliosa e strana sfumatura rossa. Respirare di fronte alla luna la notte d’inverno, che energia.
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