
Adesso chiudi gli occhi e immagina. Tutto intorno a te c’è il rumore del mare, è il suono delle onde: costante, ritmico, eterno. Avanti e indietro, il ritmo dell’oceano.
Immagina di viverci da sempre, in mezzo all’acqua: è il mestiere dell’Ama, antichissimo. Le Ama, una parola che in lingua giapponese significa 海女, “donne del mare”, si narra che già 2000 anni fa si tuffavano, a frutti di mare e conchiglie. La notizia si trova scritta nel Nihon Shoki, del 720 d.C., una delle più antiche cronache del Giappone. Eppure lungo le coste giapponesi sono stati ritrovati strumenti e resti di mollusco che risalgono già in epoca preistorica, un’epoca che si perde indietro nel tempo fino a un’età incalcolabile fra 14.000 e 300 a.C.
Le Ama si immergevano per raccogliere frutti di mare. Si tuffavano per raccogliere abaloni, alghe, ricci di mare e ostriche. Oggi sono note come raccoglitrici di perle, ma la pesca delle perle naturali e coltivate divenne più importante solo a partire dal XIX secolo, quando il Giappone iniziò a esportarle in grandi quantità.

Nell’epoca feudale giapponese, l’abalone secco (noshi-awabi) era considerato un dono di prestigio e veniva offerto come tributo agli imperatori e agli shogun. A differenza delle ostriche, l’abalone può produrre perle, ma sono molto più rare e hanno colori unici, come il blu, il verde e il rosa iridescente, tra le più ricercate dai collezionisti. L’abalone può essere cucinato in modi diversi, ma i metodi più pregiati sono crudo (sashimi), alla griglia o brasato. Nell’Awabi Sashimi, abalone crudo alla giapponese, si affetta l’abalone e si serve su ghiaccio insieme a salsa di soia, wasabi e qualche goccia di yuzu.
A causa della pesca intensiva e del cambiamento climatico, le popolazioni di abalone stanno diminuiendo drasticamente. Per proteggerle, il Giappone ha introdotto severe restrizioni sulla raccolta, e oggi molte Ama possono pescare solo abaloni di una certa dimensione per evitare l’estinzione.

Oggi molte delle Ama si trovano a Toba e Shima, nella prefettura di Mie, nella prefettura di Wakayama e Ishikawa, nella penisola di Noto, e nell’Ise-Shima National Park. Adesso chiudi gli occhi: ti tuffi. Sei nel blu, nuoti. Scendi nell’acqua, a profondità sempre maggiore. Non hai bombole. Da sempre le Ama si immergono in apnea; un tempo indossavano una semplice striscia di tessuto, fundoshi, il tradizionale perizoma bianco che è usato anche dai lottatori di sumo; oggi hanno una muta. Riescono a muoversi lungo i fondali fra i 3 e i 15 metri di profondità, anche 20 metri, e lo fanno anche a ottant’anni e oltre.
Essere un’Ama è un mestiere e una tradizione familiare. Il mare è un allenamento costante, ogni giorno, e una delle cose che impara l’Ama per svolgere il suo lavoro è l’isobue, che in giapponese significa 潮笛 “fischio del mare”. Per chi lo ascolta è un fischio, un particolare suono sibilante che le Ama emettono dopo ogni immersione. L’isobue è un’espirazione controllata che aiuta a regolare il battito cardiaco e a espellere l’anidride carbonica accumulata nei polmoni.


Ricorda un fischio, leggero e ritmato, con le labbra socchiuse: l’isobue è un segnale per comunicare alle altre compagne che tutto è andato bene e che l’Ama è riemersa, ma aiuta anche a evotare l’iperventilazione e ristabilire il ritmo cardiaco. La leggenda racconta che siano state le sirene a consegnare alle donne il respiro del mare, un dono di chi abita l’abisso per parlare insieme al suono del vento, dell’aria e dell’acqua. Shakuhachi, Il flauto di bambù, uno dei primi strumenti della storia del mondo, ricorda il fischio del mare delle Ama perché in fondo la nostra gola questo è, un flauto, che sa modulare il respiro in una musica, lungo un bambù vuoto chiamato trachea, dove vibrano le corde vocali.
Il cuore delle Ama ha un battito simile ai delfini e alle foche, più basso durante l’immersione. Il corpo si è adattato e sa nuotare sott’acqua per un tempo molto più lungo rispetto alla media. Tradizionalmente le Ama utilizzavano cotone e cera per proteggere le orecchie.
I racconti del mare dicono che ad alcune Ama, nelle profondità in cui erano abituate a nuotare, sia capitato di incontrare le donne pesce, Ningyo: le sirene. Quello delle Ama è un dono ricevuto dagli spiriti dell’oceano, dice la leggenda, ed è per questo che per secoli le “donne del mare” si rivolgevano a Watatsumi, il dio del mare, negli ema, le tavolette della preghiera in legno caratteristiche del mondo shintoista, che si appendono fuori dai templi.
Quando un’Ama sente un sussurro o un canto lontano laggiù, fra le montagne nell’abisso, sa che può essere un marinaio, la voce di chi è annegato in mare che le chiama. Ma non bisogna fidarsi e non abusare troppo dei limiti del corpo: meglio riemergere e non stare troppo a lungo, insegnano le Ama più anziane. Nelle colline sopra il villaggio di Wagu esiste una delle comunità Ama più antiche del Giappone: nel santuario nascosto di Wagu Shrine, 和具神社, a Shima, le Ama si recano a pregare prima delle immersioni e, con un antico rituale dell’acqua, versando piccole quantità in una ciotola, chiedono al mare di essere clemente. Anche per oggi.

Watatsumi è il principale dio del mare nella mitologia giapponese, descritto come un potente drago marino. Era ritenuto il guardiano degli abissi e delle creature marine, e secondo la leggenda vive in un sontuoso palazzo sottomarino chiamato Ryūgū-jō. Watatsumi è una delle più antiche divinità del mare nello scintoismo ed è considerato il dio primordiale degli oceani. Il suo nome significa “Colui che osserva il mare”.

In Giappone un’altra potente divinità marina è Ryūjin, spesso raffigurata come un drago che regna sulle acque profonde. Alcuni lo confondono con Watatsumi, ma è considerato un dio più antico e misterioso che, come raccontavano le Ama, punisce chi non rispettava il mare, facendo affondare le barche o scatenando tempeste. Ryūjin è chiamato il dio drago del mare, venerato soprattutto nella tradizione popolare e nelle leggende buddiste e scintoiste. Il suo nome significa “Dio Drago”, ed è spesso associato al controllo delle piogge e delle tempeste.


