Ci sono giorni pieni di inverno e giorni pieni d’estate

Ci sono giorni pieni di inverno e giorni pieni d’estate: sono i momenti della nostra vita, le stagioni dell’esistenza che scorrono via senza che ce ne rendiamo conto, senza che passiamo un solo attimo decisi a volerli vedere davvero. Ci vuole determinazione per fermarsi, o forse semplicemente attenzione. Sì, il coraggio dell’intenzione si trasforma in un’onda e allora accade, possiamo immergerci nel tempo e restare a contemplarlo. Ferma-tempo. Per un attimo, fermare persino il tempo

In questi giorni leggo Thomas Mann, “La montagna incantata”, un libro che a dire il vero mi segue da anni. Suona strano leggerlo in questi giorni, mentre la primavera ci parla di guerra e i nostri pensieri si mescolano alle emozioni in cui si muovono Castorp e il cugino, affacciati alla guerra senza saperlo, il tempo in cui scriveva Mann, che ci metterà anni a seguire il filo di questo libro che inizialmente doveva dipanarsi veloce.

“Nevica in gennaio, ma non molto meno in maggio, e anche d’agosto nevica, come vedi. In complesso si può dire che non c’è mese senza neve; un assioma che non bisogna dimenticare. Insomma, ci sono giorni d’inverno e giorni d’estate, giorni di primavera e di autunno, ma vere e proprie stagioni, a rigore non ci sono quassù”
Thomas Mann, “La montagna incantata”, Corbaccio p. 86

Ci sono giorni pieni di inverno e giorni pieni d’estate, così accade nella nostra esistenza in cui misuriamo i momenti della vita a seconda del clima del nostro cuore. Lì dentro, nello tsunami del nostro mondo interiore, ci sono paesaggi aridi improvvisamente sconquassati dalla tempesta; distese che tornano verdeggianti e piene di promesse avvolti da una pioggerellina dolce che strappa via petali senza colpo ferire. A volte l’estate del cuore scoppia nel pieno dell’inverno. Altre volte, invece, si gela d’estate. Non c’è dolore più acuto, forse, di quando si rabbrividisce sotto uno sterminato cielo blu, perché in certi momenti, con la morte nell’anima, ci sentiamo più consolati da una giornata di pioggia, quando le lacrime nostre si mescolano a quelle delle nuvole e la luce possiede la delicatezza di una malinconia pacata.

Se mi fermo posso vederli, tutti questi paesaggi. Si svolgono dentro di me, una narrazione che non sempre è parole, spesso emozioni incaaci di traduzione. Siamo noi le mappe. Siamo punti di una storia geografica in costante cambiamento. Non ho tempo per fermarmi, eppure ho bisogno di tempo. Mentre in Oriente si meditava, l’Occidente contemplava. Da tempo immemorabile, chiusi fra le pareti secolari di monasteri segreti le mani piantavano semi e affondavano nella terra, le mani si mescolavano alla gola e cantavano; le mani decoravano pagine di pergamena con calligrafica precisione. Ancora prima, da sempre, uomini e donne se ne andavano vagabondi, a camminare fra i boschi e si sdraiavano con un rametto in bocca, in attesa che un gregge brucasse l’erba. La giornata durava il tempo del sole, una stagione il tempo del grano.

L’amore per la bellezza vive di attimi. Abbiamo bisogno di ritrovare il coraggio della contemplazione e fermare il tempo. Trovare tempo per entrare nelle nostre mappe e starci. Abitare i paesaggi di cui siamo fatti e camminarci dentro.

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