1 luglio 1967: nasce il CAP… ispirato alla classificazione delle biblioteche

Un luglio di tanto tempo fa e una rivoluzione ormai entrata a far parte del nostro mondo: 1 luglio 1967, nasce il CAP. Chi andò in posta quel giorno si trovò a scrivere, sotto l’indirizzo, il noto codice che ora viene automatico conoscere. All’inizio non fu facile, eppure piano piano il CAP si affermò. Fu un cambiamento senza precedenti. Dalle lettere e le cartoline della guerra, con gli indirizzi che segnalavano destinatario e via, si passò a un modo di intendere lo smistamento della corrispondenza più sistematico e preciso.

Negli Stati Uniti lo ZIP Code era entrato in vigore il primo luglio (anche lì, un primo luglio!) 1963. Ma non furono i primi. Il ruolo di pioniera si deve alla Germania, dove la sperimentazione avvenne durante la seconda guerra mondiale, nel 1941.

C’è una storia poco nota che si intreccia con quella dei nostri indirizzi. Oggi diamo per scontati quei cinque numeri che scriviamo accanto al nome di una città – ma l’idea di codificare i luoghi, le strade, i quartieri affonda le radici nel silenzio degli scaffali di una biblioteca.

Nel 1917 Carl Bobe lavorava come funzionario in Germania: l’Europa era nel pieno della Prima guerra mondiale. Bobe, impiegato presso l’amministrazione postale tedesca, stava cercando un modo per semplificare e organizzare la distribuzione della corrispondenza. Fu così che si ispirò al mondo delle biblioteche.

Il sistema Dewey, nato negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento (1876), che ordinava i libri secondo un criterio numerico, classificandoli per argomenti e sottogruppi, così da identificarli univocamente. Bobe immaginò che anche le località, come i libri, potessero essere classificate e trovate attraverso un codice composto prima dalle grandi aree, poi le regioni, infine le singole zone o città. Propose quindi una suddivisione territoriale numerica, che anticipava di decenni i moderni codici postali. Il mondo come una biblioteca, un libro da trovare e aprire.

L’idea non ebbe applicazione immediata, come spesso accade con le invenzioni destinate a essere rivoluzione. Ma l’intuizione rimase e nel 1941, in pieno conflitto mondiale, la Germania introdusse ufficialmente un sistema di Postleitzahlen a due cifre per lo smistamento postale. Da lì in poi, il concetto si diffuse ovunque: prima nel Regno Unito, poi negli Stati Uniti, infine in Italia nel 1967 con l’introduzione del CAP. Scrivere un codice significa dare una direzione a una lettera, ma ci racconta che, anche nei gesti più quotidiani, esiste una storia nascosta di cui non ci chiediamo mai.

Negli anni del boom economico, tra la fine degli anni ’50 e i primi ’70, l’Italia si rimise in piedi e cominciò a correre. E mentre crescevano le fabbriche, le autostrade e la televisione, a legare il Paese era ancora un filo più sottile, più intimo: quello della posta. Aumentarono le lettere, i telegrammi, le cartoline. In ogni occasione – un compleanno, un esame, un Natale lontano – si scriveva: faticosamente, spesso ricopiando in bella dopo la brutta, la penna (o il pennino!) correva sul foglio per raccontare, aggiornare su fatti e malattie, inviare felicitazioni e fotografie, chiedere, condividere.

Il CAP, introdotto nel 1967, arrivò nel momento in cui il flusso inarrestabile di parole che attraversavano il Paese testimoniava un Paese in crescita. Le cartoline dai luoghi di villeggiatura raccontano l’Italia in trasformazione: dal mare di Rimini alle Alpi del dopoguerra.

Nei Paesi in guerra, ancora oggi, la posta non arriva: non dobbiamo dimenticarlo. E se pensiamo che un messaggio del computer o dello smartphone arrivi istantaneamente, ovunque, in una manciata di secondi, pensa quanto è diversa l’idea del tempo quando attendi una notizia, giorno dopo giorno. Una lettera capace di attraversare il mondo e farsi riconoscere attraverso le calligrafie incerte anche da quel codice, il CAP, capace di raccontare un luogo attraverso i numeri.

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