Piccole scoperte meravigliose

Curiosità, motore del mondo: è per curiosità che usciamo dalla porte, ci mettiamo su nuove strade; cambiamo lavoro, casa e amori, ci mettiamo alla prova, andiamo alla scoperta di nuovi orizzonti, ci sentiamo insoddisfatti.
Inquieti, nulla ci basta mai. Abbiamo bisogno di esplorare, sperimentare
la vita
in ogni forma,
pur sapendo che non è possibile, ci dobbiamo accontentare.
Non possiamo vivere più di una vita alla volta,
tranne,
forse
che

con l’immaginazione.
Lei sì, ci salva:
è con il potere dell’immaginazione che
viaggiamo
attraverso lo spazio e il tempo,
solcando le onde invisibili di oceani primordiali.
Chiudiamo gli occhi e siamo altrove,
possiamo volaree
essere in altri luoghi e altre vite,
superare i nostri limiti
fare un salto al di là di ciò che siamo.

Quali sono le piccole scoperte meravigliose? Sono quelle quotidiane, le scoperte di ogni giorno, quelle che ci vuole attenzione per vedere. E cuore per comprendere

Ogni volta che usciamo di casa se apriamo veramente gli occhi
corriamo un rischio: è il pericolo di
essere interrotti,
fermarci
andare altrove, incontrare un bivio che
ci porterà fuori strada. Ci farà scoprire
nuove rotte, perdere, dimenticare ciò che
stavamo cercando.

La parola “meraviglia” viene dal latino mirari, “meravigliarsi”: è lo stupore di ciò che ci lascia attoniti. Accade innumerevoli volte da bambini, solo che tu più passano gli anni più te ne dimentichi, tutto diventa un già visto e già sentito. Te ne sei dimenticato che c’è stata un’epoca in cui tutto era una prima volta, tutto era stupore e meraviglia, oggi te l’aspetti e mentre facciamo dell’aspettativa una regola, lentamente si sbriciola la magia, che invece è una componente fondamentale della meraviglia e… dell’infanzia, non per caso.

Come recuperare angoli di meraviglia nella nostra vita? Camminare in compagnia dei bambini aiuta, ma a dire il vero viviamo in una società dove è sempre più raro avere l’occasione di passare del tempo con i più piccoli, a meno che non facciano parte della cerchia delle nostre piccole famiglie. Eppure, quella di trovare occasioni di meraviglia è una missione, va esercitata nel tempo e con dedizione, passione, curiosità. In fondo, è una questione di sguardo. Perché dietro la rigida maschera del quotidiano si nascondono infinite occasioni di meraviglia. Vale sempre la pena meravigliarsi.. Dentro, c’è il movimento sinuoso e inarrestabile della bellezza, è la poesia che ci salva la vita perché ci riconnette a tutto quello che ci fa sentire tragicamente belli e talvolta infelici, inquieti, ribelli, veri, coraggiosi, paurosi, indomiti, pieni di speranza e forza. In una parola, vivi.
Ogni volta che mi meraviglio riconosco, con stupore, quanta vita scorre ancora in me.

Neve di maggio

neve-di-maggio

E te ne accorgi quando se ne va la luce e nel giro di qualche ora non si sa più come fare perché ormai tutto dipende da quello, dal frigo al riscaldamento. La vita è imprevedibile e poi succede che avevi scommesso no e invece girano gli spazzaneve al mese di maggio, ci siamo svegliati con il sole immenso e poi la pioggia e l’arcobaleno e anche la nebbia, tutto nella stessa giornata.
E alla fine è arrivata, mezzo metro di neve.
Giocare a Scarabeo mentre la luce del pomeriggio si trasforma, quel piccolo cane si tuffa nel bianco e ancora non ci crede, la neve è di nuovo più alta di lei.
A me tutto questo fa venire in mente le vacanze e i nonni, la stufa blu a carbone che negli anni è stata sostituita. Il brivido di quelle volte in cui andava via la luce, finalmente si usavano le candele sempre appoggiate sul camino. La luce del fuoco. Il tempo lento, quasi immobile. Il buio dei lampioni spenti.
Sì, la vita è imprevedibile. Non tiene conto dei ritardi, ci ricorda che la nostra pseudo modernità è appesa a un filo. Ci ricorda che basterebbero pochi giorni per mettere in ginocchio città intere. Che il buio è la condizione naturale della notte. Che il tempo non lo comandiamo.
E allora questa luce che va via per ore, ore intere e poi torna bassa bassa, sì mi rendo conto che fa arrabbiare tutti eppure rimette in pace col tempo, strizza l’occhio alla vita. Quanta meravigliosa magia a fermarsi. Quanta incredibile magia a ritrovare il tempo e farci ritrovare dal tempo, meravigliosamente vivi. Insieme a chi ti fa ridere.
E ora buona notte, già che ci sono il telefono lo spengo io.

Neve di maggio, era il 5 maggio 2019 e una potente nevicata controcorrente e contro ogni previsione arrivava, ribelle, a insegnarci di nuovo il senso del Tempo

Cose che ci fanno sentire ancora meravigliosamente vivi

Correre sotto la pioggia

Il panettone anche se non è Natale

Dopo una mattina grigia, il sole che esce dalle nuvole proprio quando hai finito di lavorare

La campanella dell’uscita da scuola

L’ aroma di caffè

Certe canzoni che ti basta sentirle per essere già altrove

Il rumore del mare

Chiudere gli occhi al sole

Il momento in cui tutto sembra possibile e lo è veramente

L’aria del mattino sulle guance quando cambia la stagione, così croccante, e il fiato un respiro bianco

I giardini che sbocciano in primavera

Il colore dei boschi quando due stagioni si incontrano

L’odore dei gelsomini d’estate in città

Un progetto bello, un libro che scalda il cuore

Stare ore a sognare a occhi aperti

Avere ancora tempo

Abbracciarsi di nuovo

Sorridere a una persona che non avevi mai visto

Il potere della gentilezza

Le luci dell’albero di Natale

Il segno dell’abbronzatura

Un caffè con i propri genitori, nonni e sapere quanto è prezioso

Scendere alla stazione sbagliata

Smontare vecchi lampadari e farne arcobaleni di cristalli

Prendere un bus e vedere tutte le fermate che fa

La pausa pranzo in piscina e fingere un po’ di essere al mare

Ricordarti quanto vale un pomeriggio con chi ami

Fare una cosa che non avevi mai fatto

Crederci davvero in quel vecchio sogno e continuare a chiederti qual è, il tuo sogno di oggi

Il coraggio di andare via. E quello di tornare

Le bolle di sapone

Il giallo del tarassaco e le margherite, millemila sui prati di primavera

Maddalena De Bernardi>>>

… Cose che ci fanno sentire ancora meravigliosamente VIVI…

continua tu, è il gioco di oggi

 

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Maddalena De Bernardi (@maddalenadebernardi)

Viaggio nel tempo

Potrei iniziare dicendo che c’è stato un pomeriggio estivo in cui, girovagando attraverso le stanze di quella che era stata la casa della mia nonna paterna ho trovato un vecchio settimanale pieno di fogli e foto. Il settimanale è un mobile alto e stretto: si chiama così perché veniva utilizzato per i conti; settimanale, uno per ogni giorno della settimana. Infatti, la camera in cui l’ho trovato è in una di quelle case a ringhiera che un tempo rappresentavano una delle tipiche architetture del nord Italia, in Lombardia. Dentro al caseggiato si susseguivano tante stanze, ognuna con una porta che dava su un ballatoio esterno che correva lungo la facciata della casa. Dal primo piano ti affacciavi sotto, sul cortile, e in mezzo ricordo due grandi vasi di latta, che un tempo erano stati contenitori di qualcosa, con dentro due oleandri profumati che cinquant’anni fa erano fiori e ora sono ormai alberi. Dietro alla saracinesca di sotto c’era il bar, il Bar Italia che io non ho mai visto ma che è stato l’infanzia di mio papà. L’ho ritrovato stamattina, in una foto dove c’erano ancora tutti, il nonno Carlo e la nonna Stelvia giovani e felici dietro al bancone, fra le bottiglie di liquori e aperitivi e i clienti più assidui e mio papà Vittorio che all’epoca avrà avuto nove anni, con una magliettina a righe proprio come quelle che amo mettere a Tito.

Nel viaggio di formazione che abbiamo iniziato ormai qualche anno fa la nostra maestra tantrica Prem Rupa ci ha invitato a riflettere sulla nostra storia familiare e questo è uno dei motivi per cui mi sono ritrovata qui, a cercare vecchie fotografie e seguire indizi. Potrei iniziare col dire che il viaggio nel tempo inizia nel momento esatto in cui spingiamo una porta e ci permettiamo di entrare. Non è una porta uguale a tutte le altre, a volte è immensa e noi così piccoli che per avere il coraggio di passare dobbiamo interrogare la Sfinge mostruosa di un inconscio sepolto, altre volte è così piccina la porta che si fa molta fatica a scorgerla. Si nasconde, come nell’ombra si confondono i nostri sentimenti e le storie di famiglia, gli amori sepolti, le morti, le gioie, i segreti che non sono stati detti e quelli che senza saperlo abbiamo intuito, ingoiandoli conditi da sensi di colpa come dolci speranze trangugiate in segreto.

Mi sono rivista
negli occhi di una nonna che in fondo
non ho conosciuto così bene e
non conoscerò più, ormai.
Ho visto mio figlio dentro i ricci e le mosse di uno che è nonno
proprio adesso.
Dentro il bianco e nero
ho immaginato colori.
Mi sono stupita vedendo due vecchie fotografie con un paesaggio e il modellino di un aereo
“eleo” direbbe Tito, che ama molto anche lui gli aerei e li indica sempre,
e ci ho ritrovato dentro la sensibilità di mio papà,
in anni dove si fotografavano sempre persone, quasi mai case o oggetti.

Le fotografie accarezzano le nostre evoluzioni, accompagnano la metamorfosi. Può guarirci rivedere una fotografia del tempo perchéa guarirci sono i momenti felici. Ci sono momenti che non avevamo mai visto, come quel viaggio a Istanbul e San Pietroburgo del nonno, di cui nessuno ricordava; ci sono persone che non conosciamo più e volti che non si sanno più attribuire, chi li conosceva se c’è già andato e senza un tratto di matita che abbia segnato una dedica e un nome o almeno un anno, si consegnano al flusso indiscriminato e immenso della storia del mondo, una storia senza nome né date, una storia che ci travolge e avvolge, annega e si dispiega dentro le nostre braccia come il filo di una coperta infinita. Eppure, noi siamo questa storia. L’oceano di tutto ciò che siamo stati, e saremo, scorre dentro alle nostre vene, si arrotola nella spirale di un DNA che, senza saperlo, ha il viso, il sorriso e gli occhi di qualcuno che tu non hai mai conosciuto ma vive in te. E tu in lei, o lui. Poi dentro i tratti di una fotografia all’improvviso passa un lampo, è il fulmine del riconoscimento.

Ci sono cose che non sappiamo nemmeno spiegare, a voce. Sfuggono dalla nostra testa e dalla comprensione. Il cuore le conosce e ri-conosce. Le vede, ora sa

Ho deciso di appendere al muro quel ritratto dell’altra nonna, insieme a sua sorella al mare, in Liguria; era il ’49, dopo la guerra, in una giornata che immagino piena di sole. Hanno i costumi di tessuto come si usava un tempo, di maglina morbida. Sono molto sorridenti e giovani. Questo momento l’ho messo dentro un riquadro rosso, rosso come la passione che ci infiamma da ragazzi e con una goccia di colla abbiamo fissato un corallo, relitto del mare di una nostra vacanza. Per mescolare passato e presente, per ricordare che anche il passato aveva colore, per ricordare che gli stessi che abbiamo conosciuto più in là negli anni sono stati ragazzi proprio come noi, con un carico di sogni che allora aveva una valigia pesante perché loro, quei ragazzi del ’47 uscivano da una guerra. Erano giovani e innamorati, avevano già vissuto tanto. Come sta capitando ora a bambini e ragazzi come loro: se si incontrassero ai confini del tempo, fra una fotografia e l’altra, entrambi scuoterebbero la testa increduli, di essere così vicini e avere così tanto da dirsi, pur in anni così diversi, che tanto tempo li distanzia eppure siamo ancora qui a parlare di guerra, che sfacelo, che caramella amara da sciogliere in bocca, non ci si crede. Quei nonni, ragazzi di allora, e questi ragazzi di qui, sotto le bombe, si abbraccerebbero parlando di tutte le emozioni e quanta paura può fare una sirena d’allarme quando la senti nella notte, e del fragore dei muri che crollano. Io lo so, mia nonna Giuseppina e sua sorella Erminia, che io ricordo eternamente spavalde, con il rossetto rosso e rosso lo smalto anche a ottant’anni direbbero loro che passerà, che passeranno questi anni e che a vivere e soprav/vivere ci vuole forza, ci vuole coraggio. Ci vuole spavalderia, che a mia mamma, di un’altra epoca come parola non piacerebbe. Ma in certe epoche è necessaria, la spavalderia.
Perché coraggiosi non si nasce. Coraggiosi si diventa.

Intanto le fotografie le abbiamo appese lì, lungo le scale. Perché la scala di casa, che dalla cucina porta fino in soffitta, è una parte in movimento, proprio come la vita e mi sembra ci sia un po’ di somiglianza anche con quel proverbio indiano che ricorda “l’esistenza è un ponte, atraversalo ma non pensare di costruirci sopra una casa”. Lungo le scale, gradino dopo gradino, si sale e si scende, ci si ferma a mezz’aria, certi giorni, si sta seduti su un gradino a sfogliare un libro o si prende un passaggio, come Tito quando al mattino si aggrappa al collo e urla “mano mano” per scendere. E allora mi piace pensare che ogni volta il nostro sguardo si appoggerà su un volto diverso, un incontro di sguardi. Lungo queste scale del tempo ci si incontra, ci si continuerà a incrociare, e vedere. E c’è la cornice di due che conosciamo più, ma forse un giorno sarà la loro storia a venirci a cercare. E c’è posto anche per una cornice vuota, che sono tutti quelli che nella storia si sono persi, di cui un volto non c’è più ma la cui memoria è scritta nel territorio oscuro e palpitante del nostro incoscio.
Lungo le scale, a una altezza che è proprio quella della mia faccia più o meno ora, c’è anche uno specchio. Non sembra ma anche questa è una foto. Un passaggio in divenire, è il nostro volto che cambia, costantemente, è il nostro sguardo in cui ci guardiamo e riceviamo, ogni giorno. Oggi. La metamorfosi ci trasforma, da dentro, in uno sguardo ci ritroviamo.

A proposito, chi è curioso può consultare qui i prossimi incontri di Prem Rupa

Lontananza, ovvero la misura del tempo

“Essere assente” viene dal latino, abesse, ab + esse, essere lontano. Dis/stare. Trovarsi separati. Essere lontano.

Lontano, che equivale a dire “longitano”, parola antica quasi dimenticata, invece viene da “longus”, lungo. Longitudine in effetti è la coordinata geografica che misura la distanza angolare di un punto dal Meridiano fondamentale (che dal 1885 è il Meridiano di Greenwich). La lontananza, che gli antichi chiamavano “longità” da longitas, si misura in “lunghezze”, ci dice la storia delle parole. Come gli stivali delle sette leghe della favola, il nostro andare lontano è misurato dalla distanza che sappiamo percorrere. Il tempo è misura dello spazio. Spazio che ci serve per andare, spazio necessario per esplorare, per tornare.

Non si usa più misurare il mondo in leghe, ma la lega in origine esprimeva la distanza che una persona o un cavallo riuscivano a compiere in un’ora di tempo. Nell’antica Roma un passus era la misura della distanza tra il punto di distacco e quello di appoggio dei due piedi opposti durante il cammino (il doppio rispetto a come lo consideriamo oggi), registrazione delle mie possibilità di movimento. Un piede dopo l’altro.

Dentro la lontananza c’è il movimento. Una lunghezza che posso misurare con un mio piede, anzi con un miei piedi. Perchè con un solo passo non vado da nessuna parte. Noi umani non abbiamo radici di albero. Ci muoviamo, e per farlo superiamo distanze, sfidiamo l’equilibrio. Funamboli dell’esistere, stiamo in bilico, nostro malgrado abbiamo dovuto imparare e conviverci. Fin dai primi passi. Barcollanti, andiamo avanti. Passo dopo passo.

Il tempo dell’attesa

Attesa, è il tempo che crediamo immobile. Durante l’attesa si sta fermi

pensiamo

immobili, come lucertole al sole. Il tempo dell’attesa, invece,
ha il coraggio dell’autunno
quando la luce cala e
nei campi si taglia la terra con la lama del vomere
il momento dell’aratura
falce che taglia e prepara nuove nascite

nelle ferite entrerà la pioggia che lava,
lacrime e acqua fresca
neve, ghiaccio

al buio
matura
l’attesa

in spagnolo si dice
“esperar”
attendere
sperare.
Sì, espero:
attendo
spero.

Mentre attendo spero.
Sperando, attendo.
E nel tempo dell’attesa trasformo
il presente in futuro

Viaggiare fra i ricordi

Ci vuole gentilezza, quando si tratta di viaggiare fra i ricordi.

Troverai cose che ti faranno ridere e altre per cui ritorneranno le lacrime,
le stesse emozioni di allora. Intatte, perché
il cuore non cambia

il tempo del cuore vive l’istante

ci vuole pazienza per te, un caldo abbraccio
comprensione

troverai schegge di frammenti,
puoi rimetterli insieme oppure solo guardarli

troverai
vecchi scontrini
contratti di lavoro
bollette ormai dimenticate
indirizzi di casa e chiavi di cui si sono perse le serrature
ricerche fatte,
appunti scoloriti

troverai progetti che non hai realizzato e
sogni ancora da inseguire