Ti porto in un posto segreto

Vieni, seguimi. Mi hai detto così tu stamattina. Intanto pioveva e tu sei uscito di casa con il tuo ombrellino trasparente e gli stivaletti di gomma di Spiderman. Mi sono anche arrabbiata un po’ perché ci metti sempre così tanto a uscire di casa e prepararti.

Ti sei lanciato giù per la discesa e ci siamo fermati in posta, io a passare all’impiegata le cose da pagare, tu a chiedere tutto, che cosa serve questo, che cos’è quello.

Quando abbiamo finito era quasi mezzogiorno e allora ci siamo detti: che facciamo? Andiamo per di qui, vieni, mi hai urlato tu partendo di corsa. Mi hai portato di fronte a una scaletta di pietra che non andava da nessuna parte, o ovunque. Poi siamo trotterellati via e abbiamo continuato ad andare, vagabondando qui e là, senza meta apparente.

Non importa quanto lontano o vicino andiamo, per mano a un bambino. Non importa quanto ci mettiamo. Anzi, per fare un lungo viaggio è importante che i passi siano piccoli e ravvicinati, per andare lontano anche quando siamo vicino.

Adesso facciamo che tu dici “o ma dove siamo capitati, mi sa che ci siamo persi”, mi hai suggerito tu. E allora è successo che abbiamo guardato il mondo con occhi nuovi.

Guarda, mi hai detto tu, in piedi davanti alle montagne, da qui si vede tutto.

Poi siamo tornati,

senza mai tornare,

andando a piccoli passi,

osservando i cinodromi rossi della rosa canina,

giocando a rincorrerci a nascondino fra un muro e l’altro,

sempre avanti,

di corsa

fino a casa.

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