Primo vagabondaggio di famiglia

Il caldo dei primi giorni di luglio e il venerdì che sa già di libertà,
cielo blu,
il traffico chissà dove va; la polvere sui vetri.
Fermi al semaforo.
Di traverso nel finestrino lo sguardo sorridente di quelli ai bordi delle strade che
lavorano per ricostruirle,
tuta arancione, pelle scura bruciata dal sole e rughe come solchi di vita, vecchi alberi
sulla provinciale
l’ombra verde dei boschi e i cespugli di rose che si arrampicano sulle facciate bianche,
piccole case in gruppetti, giocattoli dimenticati in giardino
un tagliaerba che va.
La bellezza di una casa cantoniera abbandonata.

Sulla via da Pavullo a Pievepelago
e poi verso Sant’Annapelago: provinciale 72,
la Selva Romanesca che porta al Passo delle Radici e S.Pellegrino in Alpe.
Vagabondare nella mattina fino al Casone di Profecchia,
antica stazione edificata nel 1845 da Francesco IV, Duca di Modena
quando per unire Ducato di Modena e Granducato di Toscana veniva costruita la strada del Passo delle Radici e gli operai avevano bisogno di un ricovero.

In certi posti,
dove la Storia si è fermata
si respira la meraviglia di
chi ha osato
lasciare tutto com’era…
i grandi lastroni di pietra come pavimento
la sala con il camino e
racconti invisibili sfiorando questi muri,
stanze grandi e fresche. Vecchie fotografie appese.
Profumo di funghi, mani che impastano.
Le pappardelle qui sono stracci e in effetti,
mi spiegano, le pappardelle in Garfagnana nascono così e restano tali:
fogli di pasta all’uovo lavorata al mattarello,
strappata con le mani e buttata nell’acqua bollente.
Nel tavolo a fianco sciatori d’inverno e ciclisti durante la bella stagione,
due vecchi amici chiacchierano fitto in un angolo.
Su ogni tavolo la brocca piena d’acqua e una bottiglia di vino rosso sulla tovaglia bianca.
Dopo pranzo allungare le gambe sulla sdraio davanti all’orizzonte,
mentre si chiacchiera con Tommaso che dopo il conto prepara l’amaro del Casone insieme al caffè

e poi via, Castelnuovo di Garfagnana, la provincia di Lucca,
verso il lago di Vagli e il borgo fantasma Fabbriche di Careggine, piccola frazione duecentesca dal 1947 sommersa da 34 milioni di metri cubi d’acqua: la diga di 92 metri sul fiume Edron della centrale idroelettrica Enel.
Il pomeriggio afoso, un lattante affamato, il cane che sogna di correre
il lago e le zanzare, le strade sbagliate e quelle tutte curve, quando
il cane abbaia – il lattante piange e tu non puoi fermarti.
Isola Santa, Stazzema. A poca distanza Levigliani, l’Antro del Corchia:
la più grande grotta carsica d’Europa, più di sessanta chilometri di strade sotterranee e cuniculi.

Curva dopo curva, muretti e case di pietra,
il verde folto e rigenerante:
le Alpi Apuane che si aprono come una bocca spalancata nella terra.
Da lontano, in uno sguardo si abraccia la cicatrice bianca delle cave di marmo,
ruscelli che corrono fra le pietre e una lunga galleria scavata nella roccia,
la strada fino a Forte dei Marmi.
In un attimo i cartelli che avvisano: 5 km per Pietrasanta,
bagliore azzurro che fa presagire il mare
vicino
odore salmastro di pini e sale.

E poi Strettoia, la piccola strada laterale in salita verso l’hotel
un tuffo al tramonto avvolti dall’ultimo sole della giornata.
Di nuovo il cane che abbaia e si stizzisce,
il caldo e la gente,
l’estate strana in mascherina dopo la primavera in quarantena per questa inaspettata pandemia, il Covid che riporta il 2020 all’inizio del Novecento con la spagnola del 1918.

Svegliarsi di mattina presto con quello piccolo che sorride fra le lenzuola bianche,
la luce che filtra dalle finestre e la voglia di andare a scoprire il mondo.
Cercare un posto dove far correre il cane,
arrivare fino alla pineta di Levante a Viareggio e
non trovarlo, mentre i sentieri di sabbia che arrivano al mare bruciano al sole e
di nuovo, il lattante piange – il cane abbaia. Entrambi concorsi e al’unisono.

Schivare la folla, comprare focaccia e sciocche delizie.
Rifugiarsi in una stanza chiara e fresca, stare a piedi nudi davanti alla finestra.
Guardare il pomeriggio che avanza e prendere il sole dal terrazzo,
lo sguardo su quelli che dormono.
Soridere al niente, dormire tanto. Vagare con la mente.
Sentire il profumo delle rose di Paolo, il giardiniere e tenerlo in mente, dentro al cuore.
Rondini che volano sull’acqua a caccia di zanzare. La piscina deserta,
i piedi a mollo, una nuotata lenta, l’abbraccio verde delle Apuane alle spalle,
come una giungla lontana.

Assaporare lunghi sorsi di caffè sulle poltrone bianche, mentre
la giornata si riaccende ed è già ora di ripartire.
E poi il cane che non vuole più stare in macchina, il neonato che di nuovo piange
la strada che torna ad avvolgersi curva dopo curva come un filo sul rocchetto,
montagne e ombra verde degli alberi. Respiro profondo, fresco, antico.
Uno dopo l’altro i paesi già visti: il bianco sfolgorante delle cave di marmo,
Isola Santa e Stazzema, Castiglione dove fermarsi un attimo a comprare il pane e formaggio buono toscano. La gente che passeggia nella domenica e il sole,
aria di mercati e giornata ancora a metà, da vivere inseguendo le ore.
Su, ancora più su, fino a San Pellegrino in Alpe, il comune più alto dell’Appennino
dove una linea sottile passa persino dentro un locale, diviso a metà fra il comune di Castiglione di Garfagnana, in provincia di Lucca, e quello di Frassinoro, Modena.
Linee invisibili da percorrere come funamboli sospesi su un mondo che in fondo è territorio della nostra immaginazione.

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