
Io nella mia ignoranza non lo sapevo nemmeno che esistesse la parola camallo, plurale: camalli. E invece, non solo è il nome di un mestiere antico, ma è anche una parola che viene dall’arabo, un dettaglio che in questo capitolo di storia non è trascurabile e trova una forza tutta sua.
Il termine “camallo” viene dal dialetto genovese, lingua misteriosa intrecciata di mille lingue e cadenze. Sembra che in origine, dietro, ci sia la parola araba ḥammāl, “portatore” e infatti i camalli erano gli scaricatori del porto di Genova: sulle loro spalle forti, per secoli, è passata tutta la merce di mezzo mondo, che dalla pancia delle navi, dal buio della stiva, finiva al sole e al vento, sulle banchine in attesa e nei magazzini infiniti. Nata nel 1340, la Compagnia dei Caravana, regolava il mestiere, segno che già allora, sette secoli fa, della presenza dei lavoratori portuali genovesi nelle Darsene, dove arrivavano e partivano beni da ovunque.
Domenica 31 agosto 2025 dal porto di Genova e da Barcellona è partita la Sumud Flotilla. Si uniranno ulteriori mezzi dalla Sicilia, dalla Tunisia e dalla Grecia: sono state oltre 15mila le richieste di partecipazione. Tu immagina medici, infermieri, cantanti, studenti e studentesse, avvocati, marinai. Persone di ogni occupazione e ogni età, semplicemente persone: 44 nazioni, oltre 50 navi, circa 300 tonnellate di aiuti.
Prima, ci avevano provato nel mese di giugno. Dodici persone, sulla Madleen, partita da Catania e bloccata insieme al suo equipaggio in acque internazionali dall’irruzione violenta dell’esercito israeliano. Anche la Handala, salpata a metà luglio da Siracusa, è stata bloccata e scortata ad Ashdod, un tempo, in arabo, Isdūd. La moderna città di Ashdod è stata fondata nel 1956, poco lontano dall’antica palestinese Isdud, e oggi il suo porto è il principale dello stato di Israele, dove arrivano la maggior parte delle merci di importazione.
In questi giorni stiamo parlando del termine arabo che parla di resilienza: sumud. La parola sumud viene dall’arabo صمود (ṣumūd), letteralmente vuol dire “fermezza”, “resistenza”, “stare fermi e radicati”. La radice da cui deriva è ṣ-m-d, che porta l’idea di rimanere saldo, non cedere sotto pressione. In arabo classico viene usata per indicare la capacità di mantenere la posizione in un assedio, la capacità di restare in piedi anche quando tutto intorno vacilla.
Nonostante l’occupazione, spaziale e mentale, restare fermi: restare radicati. E nel radicamento dare vita a radici, sogni, figli, progetti, tradizioni. Cultura che continua a restare in profondità, nel cuore e nnel sangue, e intrecciarsi, creare rami, gettare ponti, non arrendersi.
Freedom Flotilla Coalition, Global Movement to Gaza, Maghreb Sumud Flotilla e Sumud Nusantara si sono unite nel luglio 2025 per coordinare l’iniziativa, una nuova via, in una dimensione collettiva e condivisa: l’impegno a continuare a parlare, a non cedere al silenzio a cui ci vorrebbero consegnare i governi. La presenza.
A me fa venire in mente l’Operazione Dynamo e l’evacuazione di Dunkerque, quando fra il 26 maggio e il 4 giugno 1940, centinaia di imbarcazioni di ogni tipo – pescherecci, barche private, yacht, traghetti – attraversarono la Manica per portare in salvo 330mila soldati britannici e francesi accerchiati dai soldati tedeschi. Alcune di quelle barche esistono ancora oggi, oggetto di costante restauro da parte di associazioni come la Association of Dunkirk Little Ships.
Questa volta c’è il Mediterraneo e un viaggio di 3000 chilometri, da Genova e Barcellona verso Gaza, oltre il blocco navale imposto al porto di Gaza City, in direzione della frontiera oggi inesistente che è il miracolo della libertà.
Perché se da bambini ci siamo chiesti mille mila volte – perché nessuno ha fatto niente – in tante pagine di Storia, oggi sappiamo la verità: forse anche allora, in troppe pagine di Storia, c’era più di qualcuno che avrebbe voluto fare qualcosa ma non ha potuto. Ecco, non sempre si può. Eppure, proprio la Storia ci insegna che piano piano, con la forza di tanti, si crea un’onda, fatta da mille mila onde, che poi diventa gigante e allora non può fermarsi, proprio non può.
Quello di una volta è un mondo che non potete immaginare, mi disse una volta un uomo ormai vecchio che aveva fatto la guerra, era un mondo senza collegamenti, dove per avere una notizia dovevi aspettare magari settimane, avvolto nel nulla del non sapere, e poi arrivavano briciole di informazioni: era un mondo in cui non sapevi bene nemmeno chi eri e faticavi a capire come andavano le cose, faticavi persino a capire chi fosse o no un nemico.
Oggi abbiamo internet e la stampa disponibile in un click, eppure tonnellate di immagini scattate per riprendere la follia e la concentrazione di puro dolore, sangue e morte, non hanno cambiato le cose. La verità è che le persone non hanno bisogno di essere sensibilizzate: ieri come oggi i governi decidono date e guerre che il cittadino non decide.
Eppure un chiodo, messo di traverso, punge un piede. Una luce sa dividersi in mille mila luci e illuminare il buio.
La Lanterna di Genova, il suo faro storico all’ingresso del porto, con i suoi 77 metri di altezza è il faro in muratura più anto e più antico del mondo a essere ancora funzionante. Alla fine del Duecento, Marco Polo fu prigionero per un anno nel Carcere di Palazzo San Giorgio di Genova, proprio accanto al porto: la Lanterna all’epoca non aveva ancora la sua forma attuale, che arrivò nel 1543. Italo Calvino nelle “Città Invisibili”, immaginando Marco Polo che racconta a Kublai Khan il suo viaggio ha scritto: “L’inferno dei viventi è già qui. L’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Ci sono due modi per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
“Intorno a metà settembre queste barche arriveranno vicino alle coste di Gaza, nella zona critica. Se anche solo per 20 minuti perdiamo il contatto con le nostre barche, le nostre compagne e i nostri compagni, noi blocchiamo l’Europa. Insieme al nostro sindacato Usb, insieme a tutti i lavoratori portuali, insieme a tutta la città di Genova. Da questa regione escono 13-14mila container all’anno per Israele. Non faremo uscire più nemmeno un chiodo. Lanceremo lo sciopero internazionale, bloccheremo le strade. Bloccheremo tutto. Devono tornare indietro le nostre ragazze e i nostri ragazzi senza un graffio, e tutta la nostra merce, che è del popolo, fino all’ultimo cartone, deve arrivare dove deve arrivare”
Supportiamo CALP e la lotta dei lavoratori portuali contro il traffico di armi nel porto di Genova. E se nel porto di Genova non passassero più le armi e noi un giorno potessimo raccontare questa battaglia sui libri di storia e geografia?
