Ti sarà capitato di tornare in certe strade e scoprire con sorpresa che l’orologio del paesaggio è rimasto fermo sulle stesse lancette. Persino il meteo è lo stesso di quando ci sei passato per la prima volta, in questa strana casualità della vita in cui la vera stranezza è ciò che torna uguale a se stesso, incredibile arbitrario dono dell’imprevisto.
Era da anni che non tornavo in questa via, eppure tant’è ci ricapito perché invitata da amici che non sapevo abitassero proprio qui. Arrivo di notte e nonostante il buio le mie cellule si risvegliano aprendo la pagina giusta di una mappa mai dimenticata, ben chiusa in un cassetto della memoria, nemmeno stropicciata dal tempo perché in fondo usata pochissimo, solo per un frammento piccolissimo di vita.
Ci sono momenti che sono passati come un lampo nella nostra vita, così brevi che non dovrebbe restarne traccia. Invece certi istanti non passano mai: di loro resta il sapore dell’assenza, di tutto ciò che avrebbe potuto e non sarà. Come quando sei in ospedale e io guardando i corrimani o i quadri alle pareti mi chiedo quante preghiere silenziose, quante speranze e disperazione hanno ascoltato: le dita appoggiate sul davanzale nel momento in cui la vita può cambiare, il bivio di quando niente sarà più lo stesso. Poi te ne scordi, ma solo apparentemente: la mente registra la mappa scritta attraverso il tatto da quelle mani aggrappate al momento. Un filo tesse la nostra presenza nella vita attraverso le assenze di ciò che non è, ciò che non sarà mai o non è più: ciò che si è perso, ciò che è scivolato via nella nebbia sottile e nella pioggia, come quella di stamattina, dove mi svegliano le nuvole troppo bianche di una via ben nota.
Ecco, il meteo di questa strada anche quando l’ho conosciuta anni fa era fatto dal bianco opaco di nuvole strisciate e folte come un piumone sul cielo. Oggi, con un cane al guinzaglio che prima non avevo, guardo le villette una di fianco all’altra, il cemento delle architetture semplici e i bordi colorati; le scale che si arrampicano quasi chiocciola su per i palazzi di pochi piani, dove nessuno si conosce bene ma tutti in fondo si sono già visti. I cespugli di rosmarino e salvia piantati all’angolo della via, ci passo una mano e si diffonde la scia nella pioggia sottile che inizia a inzuppare la manica.
Un tempo è stata un’ombra alla finestra, questa via, e sigarette nella notte. Il volto di una donna inquieta che oggi è lontana: la vita ha vinto su di lei. Ma forse no, chi può dire quali siano i piani in serbo per ognuno di noi, che cosa sia vincere e cosa perdere. Passando qui, senza volere, entro di nuovo in quella storia e la mia presenza tesse i fili della memoria.
In ogni spazio che attraversiamo lasciamo tracce del nostro passaggio, che qualcuno ritroverà come pietre erose dal tempo.