
C’era una volta un uomo che guardava il mare e osservando l’orizzonte, si era convinto di poter arrivare in Asia navigando verso ovest.Si chiamava Cristoforo Colombo e partì dal porto di Palos de la Frontera, in Spagna, il 3 agosto 1492, con tre navi: la Nina, la Pinta e la Santa Maria.
Credeva che la Terra fosse rotonda (aveva ragione) ma pensava che fosse anche molto più piccola (e su questo si sbagliava). Navigò per settimane senza vedere terra, finché, dopo due mesi di viaggio nella notte tra l’11 e il 12 ottobre 1492, qualcuno gridò: Tierra!
Ma non era l’Asia.
Colombo era approdato su un’isola delle Bahamas, anche se lui non lo capì mai. Era convinto di trovarsi vicino all’India e per questo chiamò le persone che incontrò “indios”, cioè “indiani”. In realtà, stava camminando su un continente che nessun europeo conosceva ancora: le Americhe.
Tornò più volte in quelle terre, in tutto quattro viaggi, tra il 1492 e il 1504, ma morì ancora convinto di essere vicino alla Cina e di aver trovato una nuova rotta per l’Oriente. Quando morì, non sapeva di aver aperto la rotta verso un nuovo continente.
Il nome “America” arrivò dopo, da un altro navigatore, Amerigo Vespucci, che capì che quelle terre non erano l’Asia ma un “Nuovo Mondo”. Così, nel 1507, un cartografo tedesco scrisse per la prima volta “America” su una mappa, in onore di Vespucci.
Per molto tempo i libri hanno scritto che Cristoforo Colombo ha scoperto l’America: è ancora così, sta scritto in alto, sui titoli in grassetto stampati in grande. Ma davvero è corretto dirlo? O ci stiamo prendendo una terribile libertà linguistica?
L’America non è stata scoperta: è stata invasa. E non si chiamava America. Era un luogo fatto di tanti luoghi diversi, territorio vivo, abitato, pieno di popoli, lingue e storie. Lì c’erano gli Arawak, i Taino, i Maya, gli Aztechi, gli Inca, e centinaia di altri popoli. Ognuno aveva un nome per la propria terra: i Taino la chiamavano Ayiti (oggi Haiti), gli Inca Tawantinsuyu, “le quattro regioni del mondo”.
Sarebbe bello scrivere questa storia così: un giorno, tre navi che arrivano da lontano. La curiosità, l’incontro. Uno scambio di doni. Parole nuove, stupore immenso. Doni fatti di semi da scambiarsi e far crescere, medicine e rimedi, cibi e sapori. Ma non andò così. Forse a giocare un ruolo importante, come sempre, la paura. Insieme alla paura anche l’avidità. L’arroganza di chi si crede migliore e sentendosi meglio dell’altro, giudica ciò che è diverso. E la polvere da sparo, capace di uccidere moltiplicando la morte. A partire da quell’ottobre iniziò una guerra inarrestabile, violenta e lunghissima, in grado di segnare il confine del mare con il sangue e far crollare civiltà antichissime. Un genocidio.
Ecco, tu provaci a rileggere le parole come fosse per la prima volta, chiedendoti se esprimono davvero la verità. Il Columbus Day — che in America si celebra ogni secondo lunedì di ottobre — riporta l’eco di Cristoforo Colombo e la sua vita, viaggiatore ignaro, ma anche la memoria di una data tragica, su cui meditare. Per trovare il coraggio di cambiare il linguaggio e cambiare i titoli dei libri di storia a scuola.