La luna piena del 7 maggio 2020

luna-piena-alba

Luna e terra si guardano più da vicino: 361.180 chilometri di distanza rispetto alla media, di oltre 384mila. Una serata con il naso all’insù, fra le stelle di questa notte di primavera in quarantena, dove la natura sembra aver riscoperto se stessa. Silenzio immenso, un gufo lontano, le sere interminabili di maggio quando arriva il mese più luminoso dell’anno.

Luna piena del 7 maggio 2020, il culmine alle 20.30. Luna piena del 7 maggio 2020, il culmine alle 20.30. Quando è piena, la luna riflette al massimo la luce: è un cerchio perfetto, chiuso nella sua completezza, assoluto. Secondo gli antichi i fiori e le piante raggiungevano in questo momento la fase più rigogliosa; fecondità e pienezza che corrisponde al massimo delle energie vitali.

Sembra che l’attività cerebrale risulti aumentata durante le notti di luna piena. Abitando fuori città, dove l’inquinamento luminoso si abbassa, è facile accorgersi delle trasformazioni di luce durante le fasi lunari del mese. Quando c’è la luna piena la casa si riempie di luce, basta lasciare aperte le imposte per accorgersene. I vialetti dei giardini e le strade che vanno verso i boschi all’improvviso si illuminano, un sentiero nell’oscurità che prende vita e ci guida. Purtroppo accade di rado di poterci fare caso. Lampioni e lampadine hanno radicalmente cambiato il nostro rapporto con la notte. L’ombra ci sfugge e noi, che con orgoglio amiamo spesso pensarci come creature solari, dimentichiamo la nostra parte oscura, connessa al buio, alla luna, agli animali della notte. Che fa paura e al tempo stesso ci fa rabbrividire di sacro stupore.

Con la luna di maggio si festeggiava Beltane, che in lingua gaelica significava “fuoco luminoso”. In un attimo sui rami spogli degli alberi le gemme si trasformano nell’incanto di mille fiori. I petali bianchi dei ciliegi riempiono l’aria in un turbinio di dolcezza. È il mese dei fiori che non sono ancora frutto e dell’amore. Si vola insieme, si cerca il proprio compagno o la compagna con cui fare il nido. Passeri e cinciallegre si danno da fare per costruire il rifugio che sarà casa.

In un tempo dimenticato i druidi del Nord Europa accendevano falò: animali e umani attraversano il fuoco in segno di buon augurio, rigenerazione e forza. Diffusi in varie parti del mondo i falò resistono fino agli anni Cinquanta del Novecento e in rari casi ancora oggi, sebbene si sia perduto il senso originario. Un’azione rituale con un risvolto psicologico pratico, intenso a livello emozionale, capace di segnare un prima e un dopo nella routine dei giorni.

Si passa attraverso il fuoco
attraversando
il cambiamento
sulla pelle,
pezzo per pezzo.
A piedi nudi,
avvertire il rischio
dentro la paura
illuminati dal fuoco e dalla luna
nella notte dell’anima
quando tutto trema

Molti sorridono di fronte a quelle che sembrano superstizioni. Eppure nel 2020 ancora si semina e si raccoglie a seconda della luna. Chi fa il vino lo imbottiglia guardando la fase lunare. La luna influenza le maree e il nostro corpo più di quanto ricordiamo e non per caso anticamente si contava il tempo con la luna. Ogni 28 giorni, la durata del ciclo femminile, il satellite si riallinea al sole e alla terra, un ciclo lunare: in un anno solare intercorrono 12-13 lunazioni. E lo sanno anche le ostetriche, con la luna nuova in genere i reparti maternità si riempiono di nuove voci.

luna-piena-alba

Alla fine la luna l’abbiamo vista, immensa e chiara come la moneta d’oro che nella cultura gitana si metteva sugli occhi dei morti per passare oltre, nell’aldilà.
Ma quello che mi ha stupito è stato il cielo.
La luna stanotte era ovunque.
A mezzanotte lungo la linea delle montagne l’orizzonte era di un blu cobalto fluorescente.
Il buio della notte è rimasto di questa luminosità chiara fino a mattina, come mi raccontavano gli amici bretoni delle notti chiarissime là dove le terre estreme della Francia si tuffano in mare e la notte è luce. Il Mediterraneo tutti lo immaginiamo pieno di luce, ridevano sempre, ma le vostre notti sono più cupe.
È vero, dove la luce è più forte, il buio incede.

E poi l’alba. Immensa, potente, piena di fuoco.
Dappertutto la luce rosa che arriva e lava il mondo

Volpe, animale sacro guida dell’aldilà

volpe
Amicizia con una volpe – Fotografia di Gianni Strozza

Secondo le antiche storie cinesi la volpe è dotata di poteri magici.
La volpe appartiene al regno del buio, principio femminile yin che si contrappone all’energia solare yang, con cui si combina in un’eterna danza degli opposti. Anche per questo la volpe è stata associata all seduzione e all’istinto primordiale della forza che si accresce attraverso l’altro.

Il dizionario “Shuowen Jiezi”, realizzato nel secondo secolo da Xu Shen durante la dinastia Han, è considerato il primo vocabolario della storia cinese. Qui le volpi, a cui vengono attributi poteri di guarigione, vengono cavalcate dagli spettri: questo piccolo animale che compare nella notte appare sulla soglia fra mondo di qui e aldilà. Sulla volpe bianca dalle nove code cavalcano, invece, i demoni. Nelle leggende è colei che accompagna i defunti oltre la vita.

Esistono testimonianze di templi eretti in epoca Song (960-1279) in onore del re delle volpi, perché dice un vecchio proverbio cinese, “Senza volpe non c’è villaggio”. Narra la mitologia cinese che il dio del sole, Xihe, avesse al suo servizio una volpe, per questo in epoche passate si facevano sacrifici alle volpi per propiziarsi la fortuna.
Qualche volta è una donna, altre volte sotto la sua pelliccia si nasconde un uomo. In generale, è uno spirito capace di trasformarsi e apparire dal nulla portando un messaggio.

Questo piccolo animale rosso appare nella tradizione popolare, da un punto all’altro della terra. Se in Cina al suo fianco cammina un fantasma, in Medio Oriente e Persia si credeva che accompagnasse i morti verso l’aldilà, mentre i Celti invocavano la volpa come guida dei boschi e attraverso il mondo degli spiriti.
Dall’altra parte dell’oceano, i Nativi Americani pensavano che le volpi donassero il dono dell’invisibilità e la capacità di vedere nel futuro: all’inizio della storia, si raccontava, era lei ad aver donato agli esseri umani la conoscenza del fuoco. Fra il popolo Dogon del Mali la volpe abita il deserto: è il dio che incarna l’energia del caos.

In principio era il Mare Primordiale, Nammu, raccontano i miti primordiali della civiltà sumera sulle tavolette del Gilgamesh. Da Nammu, il mare primordiale che esiste da sempre, ebbe origine la Montagna cosmica, che va dagli strati più profondi della terra fino al cielo, in un tutto indistinto. Il Cielo, An, principio maschile, insieme alla Terra, femminile Ki, generano Enlil, dio dell’Aria, del Vento e della Tempesta. il dio dell’Aria. A questo punto avvenne la separazione: An “tirò” il Cielo verso di sé, mentre Enlil “tirava” la Terra, sua madre.
An, Enlil, Ki, Enki: Cielo, Aria, Terra e Acqua.
Enki, signore dell’acqua, talvolta tradotto, forse in modo errato, con terra, o vita: la sua sposa è Ki, la Terra, conosciuta anche come Ninhursag, “Signora delle colline”: Ninmah “Signora maestosa” che plasma gli uomini con l’argilla, Nintu, “Signora delle nascite”. Colei che partorisce, madre di tutti gli esseri viventi.

Prima che gli uomini venissero creati, gli dei abitavano nel paese di Dilmun, un luogo dove non esistevano morte, né malattie e che sulle mappe di oggi corrisponde al Bahrain. Solo l’acqua dolce manca, per questo Enki, dio dell’acqua, chiede a Utu, dio del sole, di farla scaturire.
Nasce un meraviglioso giardino. Qui la dea madre Ninhursag, unendosi al dio Enki, mette al mondo tre generazioni di dee. Insieme alle giovani dee nascono otto piante sacre.
Ma Enki, in questa storia è l’uomo a essere curioso, desidera assaggiarle per questo le fa cogliere dal messaggero Isimud. Ninhursag lo maledice prima di scomparire nel nulla, mentre lui, sotto lo sguardo impotente di tutti gli altri dei, conosce la malattia.
Il principio della morte inizia a devastare il suo corpo.
Sarà una volpe a riportare Ninhursag da Enki: davanti a lui la dea madre trasformerà le sue malattie in divinità, saranno loro la cura in grado di guarirlo

Fra gli sciamani siberiani la volpe, insieme a animali l’orso e il gufo, è uno spirito custode, intermediario fra mondi diversi: un animale totem, di potere. Sarà per questo, forse che in Occidente, durante il Medioevo inizia a essere associata al potere diabolico e come tale cacciata, perseguita e oggetto di paura. Abbiamo paura dell’ignoto.
La volpe esce al crepuscolo, territorio delle ombre, ed è facile vederla durante la notte o all’alba, quando i sensi si confondono. È un animale magico che appartiene a un tempo e a uno spazio intermedio, per questo le antiche saggezze vedevano nella volpe una guida in grado di accompagnarci all’ingresso del mondo invisibile.

Gli Inca pensavano che nella volpe si nascondessero guerrieri capaci di combattere con il potere della mente. La volpe vede nel buio, il suo è simbolo dell’intuizione che sa comprendere al di là dell’apparenza, vedere la realtà.
Capacità di osservazione acuta nel buio della coscienza.
Mentre luce e buio si confondono e la sera scende con le sue tenebre, la volpe sa orientarsi e il suo è un orientamento che nasce da una capacità di vedere nelle tenebre.
Connessa al mondo dei sogni e guida nell’universo onirico della notta dell’inconscio, lo scrittore Antoine de Saint-Exupéry è alla volpe che fa pronunciare la frase, rimasta celebre: “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi” nel suo libro Il piccolo principe. La volpe rappresenta l’intuito dell’istinto che vede al di là. In Giappone la volpe è kitsune, spirito mutevole capace di cambiare forma: ogni inverno Inari, dio del riso e dell’agricoltura, saliva alla montagna dopo il periodo del raccolto e ogni primavera tornava a valle, quando la bella stagione iniziava di nuovo. Tutti gli anni, nello stesso modo, le volpi tornano, avvicinandosi ai villaggi, considerate messaggere divine. Bianche, sono spiriti guardiani che allontanano il male e vederle è segno di buon auspicio. Capace di mimetizzarsi tra le sfumature cangianti della natura, a seconda della stagione, la volpe si muove rapidamente, muta, sa osservare senza essere osservata.
Cacciatrice solitaria, è simbolo del sesto senso.

I ricercatori dell’Università di Cambridge scavando nel cimitero del sito archeologico di Uyun-al-Hammam hanno trovato una sepoltura con un essere umano insieme allo scheletro completo di una volpe rossa. Si pensa che il canide selvatico fosse stato addomesticato: tendente a fidarsi quando è giovane, la volpe diventa diffidente da adulta.
Ma questa storia di amicizia, per sempre segreta, fa pensare a quanto vicino abbiano vissuto, per secoli, la selvaggia volpe amante della libertà e l’essere umano, vicini ma non troppo, addomesticandosi a vicenda.

Studiare la natura con i bambini: le api

vita-api

Il libro di Maurice Maeterlinck, Premio Nobel per la Letteratura nel 1911, poeta e drammaturgo, noto come La vie des abeilles, La vita delle api, viene pubblicato nel 1901. A questo seguiranno La vita delle termiti, del 1926, basato (copiato? secondo alcuni) dallo scienziato sudafricano Eugène Marais e La vita delle formiche, 1930. È un successo immediato.

Api operaie e api guerriere, una regina, la città in miniatura dell’alveare: quello narrato è il complesso spettacolo di un mondo intero che va in scena con la sua complessa e mistica ritualità, immerso in una scenografia di colori e profumi, inebriante e dinamica, profondamente sconosciuto nella sua sottile perfezione. Fino al Settecento si credeva che ci fosse un re a capo delle api, invece questo è un esempio di società matriarcale.

La nascita dell’apicoltura

10mila anni fa, nel 9000 a.C, una mano sconosciuta ha inciso sulla roccia delle Cuevas de la Araña quella che sarà considerata la prima testimonianza nella storia della raccolta di miele. L’inizio dell’arte misteriosa che nei secoli diventerà l’apicoltura è un’attività di cui non conosciamo l’origine: nata insieme all’uomo, già nella cultura della Grecia arcarca e, prima ancora, fra gli Egizi se ne parla.

Nella Cuevas de la Araña, la grotta del ragno, un essere umano sembra infilare un braccio in un favo, mentre le api volano intorno. È il più antico frammento di storia delle api giunto fino a noi.

cueva-arana-miele

In Africa la tradizione insegnava al cacciatore di miele a mettersi sulle tracce dell’Indicator Indicator, un piccolo uccello scuro noto come indicatore golanera, diffuso nell’Africa subsahariana, ghiotto di larve. L’indicatore ci conduce ai nidi delle api selvatiche, spesso appesi fra i rami di un albero, nella fitta trama della vegetazione.

Non sappiamo quando iniziano ad essere utilizzate le arnie. Attraverso il lavoro di scavo l’archeologia ci racconta di tracce che risalgono ad almeno tre-quattromila anni fa. Questa è la datazione attribuita alle arnie trovate nell’antica città di Tel Rehov, in Palestina, dove sono state scoperte 30 arnie posizionate in fila per la produzione del miele, realizzate in argilla cruda e paglia.

Il fumo simula il pericolo di incendio e al tempo stesso maschera il feromone che le api rilasciano come avvertimento nel caso di intrusi: questo metodo veniva già utilizzato nell’antico Egitto, come riportato nelle iscrizioni del tempio solare di Nyuserra Ini, dove si illustra la raccolta del miele selvatico e l’impiego del fumo, utile per avere il margine di tempo necessario, venti minuti circa, per poter avvicinarsi alle api senza essere attaccati.

Per la lavorazione del miele nel Medioevo venivano utilizzati tronchi cavi e cesti di vimini. Verso la fine del Settecento si inizia a utilizzare l’arnia nella sua concezione moderna, ovvero strutturata a livelli, con uno strato di celle per ogni livello, così da rendere più pratica l’estrazione del miele e limitare i danni nella raccolta.

Cacciatori di miele

Ancora oggi in alcune parti del mondo sopravvive la pratica di raccolta del miele selvatico. Una di queste tradizioni nasce sulle montagne dello Yunnan, fra l’etnìa Yi, una delle 56 riconosciute in Cina. Qui vivono le api selvatiche della specie Apis cerana, diffuse in Cina, Nepal, Giappone, India, Malesia, Papua Nuova Guinea e Bangladesh. Queste api, evolutesi con l’acaro Varroa destructor, sono più resistenti ad esso rispetto alle api occidentali, tuttavia oggi il loro numero è fortemente ridotto a causa dell’intensa importazione di specie provenienti dall’Occidente.

Le api selvatiche dello Yunnan, in Cina, costruiscono piccoli alveari fra le rocce o nei tronchi degli alberi, immersi nella foresta e lontano dai luoghi abitati della città. Non vengono nutrite in alcun modo dall’essere umano, che a volte sfrutta finti tronchi in modo da ricreare un habitat simile a quello offerto dalla natura. Molto resistenti al freddo e alle malattie, producono il miele dello Yunnan, profumato e denso, noto per il sentore intenso di piante medicinali e fiori selvatici. ha profumi intensi di fiori selvatici di montagna e erbe medicinali. Il suo colore è giallo intenso.

Il miele dello Yunnan viene raccolto due volte all’anno, nel periodo primaverile, fra maggio e giugno, poi in autunno, alla fine del mese di ottobre e durante i primi giorni di novembre. Secondo il metodo tradizionale si estrae tutto l’alveare dalla cavità; il nido, quindi viene distrutto: si spreme il favo, per poi filtrare il miele con una garza e versare nei barattoli.

ape-insetto
Api, immagini del 1885, Illustrated Dictionary of Gardening – A Practical and Scientific Encyclopedia of Horticulture, George Nicholson

Dalla Cina all’America, le tradizioni del miele

Dall’altra parte del globo un’altra delle antiche tradizioni di raccolta del miele è quella delle popolazioni indigene del Chaco. Ingrediente della chicha, delle feste e dei rituali sciamanici, il miele è altamente nutriente e per questo considerato un alimento prezioso della dieta. Con la coraggiosa vicinanza di chi vive in stretta intimità con la natura, ci si avvicina alle api a mani nude, spaccando il tronco dove si nasconde la dolce materia. Una cannetta ridotto a mo’ di penello viene utilizzata come spatola per assaggiare il miele. Le tradizioni del Chaco narrano che un tempo ci si arrampicava sugli alberi utilizzando corde e una borsa fabbricata con il capiente collo della cicogna jaburu. Con un cuneo o sfruttando le unghie di un formichiere si raschiavano i favi e il miele colava imbevendo una paletta costruita con fibre di hang, Bromelia hieronymi, fino a riempire la borsa. L’eco delle incisioni sulla roccia delle Cuevas de la Araña ritorna.

Letture consigliate sulle api

“Le api” di Rudolf Steiner
“L’ape domestica” scritto da Gaia Volpicelli e Giovanna Osellame (edizioni Arka)
Qui trovi le risorse per bambini di National Geographic sulle api
Vita delle api National Geographic

Laboratorio di studio sull’ape

La pagina Facebook MioMontessori a Lucca nasce per condividere buone pratiche e riflessioni sulla pedagogia Montessori; è stata creata da Tania Campana, maestra Montessori che lavora con i bambini da 0 a 6 anni. In occasione dell’arrivo della primavera, ha proposto un bellissimo lavoro di educazione cosmica sull’apis mellifera. Vuoi condividere l’ispirazione? L’attività “confronta e colora” è di Cocai Design, progetto per la creazione di materiali didattici e di gioco ispirati al metodo Montessori. È possibile trovare online “Ciclo di Vita di un’ape” di Safari con i modellini in resina di larve e pupe (età consigliata 4-15 anni).

miele

ape-cartoncino

bambini-scienza-api

bambini-studio-api

bambini-studio-api

fasi-vita-api

studiare-api

studio-natura-bambini

Salva

Salva

Salva

Primo giorno di primavera, Capodanno in Iran

riti-fuoco-feste

Mentre in Occidente si festeggia l’equinozio, fra il 20 e il 21 marzo in Iran si festeggia Nowruz. Il senso di questa festa, che letteralmente significa “nuovo giorno”, da una parte all’altra del Mediterraneo evoca il giallo e il rosso, fuoco che è sole, rinnovamento, vita. Natura che sboccia e rinasce. Vita che si rinnova.

La sera ci si raduna intorno all’Haft-Sin, il tavolo dei sette simboli, dove ogni elemento richiama un principio vitale. Un tempo era occasione per scherzare e ritrovarsi insieme alla famiglia, a cucinare e mangiare i piatti a base di mahi, pesce, e sabzi polo, il tradizionale riso con verdure. Il profumo lontano delle spezie e le ricette delle nonne chiuse in un cassetto, oggi diventano profumi evanescenti dall’altra parte dell’oceano. Al di là del mare, le famiglie: famiglie divise dalla storia e unite dal filo sottile della linea internet che diventa comunicazione, parole d’amore, vicinanza condivisa.

Per paura del contagio Covid-19 le autorità iraniane hanno rilasciato circa 70mila detenuti, temporaneamente rimessi in libertà. Ma molti rimangono in carcere, detenuti politici, uomini e donne che si battono per il diritto a vivere in libertà. In Occidente viole e primule, qui fioriscono i tulipani, che oggi evocano il sangue dei martiri e nelle Mille e una notte erano simbolo d’amore, quando nel regno di Persia i sultani ottomani gettavano un fiore di tulipano alla favorita scelta quella sera.

A passo rapido attraverso i giardini degli harem segreti, dal giardino botanico di Shiraz alle fioriture del deserto. I riti di primavera rievocano i fuochi sacri del culto di Zoroastro e illuminano la notte, quando saltando il falò si bruciano d’un balzo i peccati accumulati nell’anno, gli sbagli e e gli orrori, per purificarsi nel cielo stellato.

“Har ruzetan Nowruz, Nowruzetun Piruz”
Ogni vostro giorno sia Nowruz,
e il vostro Nowruz sia vittorioso

Abbracci, uova dipinte, la bellezza della rinascita: la festa di Nowruz nel 2009 è stata eletta Patrimonio Intangibile dell’Umanità.

Il corrimano che racconta il panorama di Napoli ai non vedenti

corrimano-napoli-non-vedenti

La meraviglia del panorama di Napoli svelata ai non vedenti grazie a un corrimano capace di raccontare la bellezza in caratteri braille. Esiste dal 2017: “Follow the shape” è un’opera di Paolo Puddu.

“Follow the shape”, opera d’arte in braille

Dove si trova? Chi cerca “Follow the shape” di Paolo Puddu troverà l’opera là dove si innalzano le antiche mura medievali di Castel sant’Elmo. Dalla collina del Vomero, dove esisteva una piccola chiesa dedicata a dedicata a Sant’Erasmo già nel X secolo, in uno sguardo è possibile racchiudere tutta la bellezza della città di Napoli vista dall’alto.

Spiegando l’opera l’autore ha raccontato che le dimensioni maggiori dei caratteri incisi sono un invito alla lentezza.
La bellezza si assapora rallentando.
Alle spalle il possente tufo giallo napoletano dell’edificio, situato a 250 metri sul livello del mare. In epoche passate Castel sant’Elmo fu una torre d’osservazione normanna, Belforte: assediato più volte e persino colpito da un fulmine nell’ormai lontano 1587, durante gli anni Cinquanta del Novecento divenne un carcere, ma oggi è luogo di cultura, punto d’accesso a una bellezza millenaria dove la natura, la storia della città e la sua atmosfera intensamente azzurra si mescolano inestricabilmente. Qui si trova il museo permanente “Napoli Novecento”.

“La terra e l’uomo” di Giuseppe De Lorenzo

Le parole incise sul corrimano sono tratte dal libro “La terra e l’uomo”, scritto nel 1947 da Giuseppe De Lorenzo, nato a Lagonegro, in provincia di Potenza, e morto a Napoli il 27 giugno 1957. Geografo, geologo e politico, fu docente presso l’Università di napoli, prima con la cattedra di Geografia Fisica, poi in Geologia.
Si era laureato proprio a Napoli, nel 1894, in Scienze Naturali, diventando uno degli assistenti più giovani della facoltà, fin da bambino appassionato della terra e dei suoi misteri. La madre Carolina morì quando Giuseppe aveva appena sei anni: perse il padre, Lorenzo, impiegato dell’ufficio telegrafico di Lagonegro, a tredici anni. Avido lettore degli antichi filosofi greci e curioso di storia naturale, la vita di Giuseppe De Lorenzo ha l’incontro del destino quando incrocia quello che diventerà il suo mentore: Emilio Bose, geologo di origine tedesca. Insieme cammineranno per i sentieri di campagna, discutendo di arte e scienza, forse come un padre e un figlio senza legami biologici ma con un’affinità elettiva capace di riunirli al di là dei vincoli, e farli ritrovare nel vasto mondo.

giuseppe-de-lorenzo-geografo

Non tutti sanno che a Giuseppe De Lorenze, studioso di indologia, si deve la diffusione della saggezza e delle conoscenze del Buddhismo. Fu grazie a Emilio Bose che Giuseppe De Lorenze conobbe Karl Eugen Neuman. Insieme viaggiarono per Napoli, Lagonegro, fino a Vienna, esplorando le montagne del sud Italia e i paesaggi sul Danubio. È in questo periodo che inizia lo studio del sanscrito e della lingua Pali, iniziando ad abbracciare la filosofia Buddhista.

L’opera di Paolo Puddu “Follow the shape”

Il progetto “Follow the shape” di Paolo Puddu è stato presentato in occasione della quinta edizione del concorso “Un’opera per il castello” sul tema “Uno sguardo altrove- Relazioni e incontri”. L’opera d’arte è stata premiata dalla giuria presieduta da Mariella Utili, ex direttrice del Polo museale campano, con la motivazione che l’artista “ha declinato il tema del concorso ribaltando la consueta concezione della visione, riuscendo a creare una relazione inedita tra il castello e il territorio circostante. Gli spalti panoramici divengono il luogo d’incontro tra esperienze sensoriali differenti, fornendo uno strumento ulteriore per ampliare le possibilità di fruizione del luogo”.

Il dialogo fra visivo e tattile trasforma l’esperienza dei sensi in un’amplificazione dell’operazione artistica, capace di coinvolgere abilità e piani diversi. L’azione creativa punta l’indice sulla bellezza che è attenzione sociale: un’arte che ci fa interrogare su prospettive alternative e ci sprona a riflettere su modalità differenti della percezione. In quanti modi è possibile vedere? Iniziare a immaginare con le nostre mani è uno stimolo per inventare nuove strade, lasciar emergere nuovi spazi anche in noi stessi, risorse che spesso non mettiamo in campo fino a quando non subentra una difficoltà.

La percezione visiva occupa la maggior parte della nostra comunicazione: usiamo gli occhi più di ogni altro organo di senso, eppure le risorse del corpo raccontano altre storie, da imparare attraverso la pelle (l’organo più esteso del corpo umano), attraverso il gusto, udito e olfatto (l’odore è connesso, sembra, alle memorie più antiche del genere umano). Storie parallele, a cui spesso non siamo più abituati a fare caso e che invece raccontano una bellezza da sperimentare in modo diverso: un mondo, quello là e fuori e quello dentro di noi, da iniziare a percepire di nuovo, recuperando sensi primordiali.
Nel paesaggio si inscrive un’operazione artistica che diventa riflessione sociale. Geografia come viaggio di esplorazione in noi stessi.