Lontananza, ovvero la misura del tempo

“Essere assente” viene dal latino, abesse, ab + esse, essere lontano. Dis/stare. Trovarsi separati. Essere lontano.

Lontano, che equivale a dire “longitano”, parola antica quasi dimenticata, invece viene da “longus”, lungo. Longitudine in effetti è la coordinata geografica che misura la distanza angolare di un punto dal Meridiano fondamentale (che dal 1885 è il Meridiano di Greenwich). La lontananza, che gli antichi chiamavano “longità” da longitas, si misura in “lunghezze”, ci dice la storia delle parole. Come gli stivali delle sette leghe della favola, il nostro andare lontano è misurato dalla distanza che sappiamo percorrere. Il tempo è misura dello spazio. Spazio che ci serve per andare, spazio necessario per esplorare, per tornare.

Non si usa più misurare il mondo in leghe, ma la lega in origine esprimeva la distanza che una persona o un cavallo riuscivano a compiere in un’ora di tempo. Nell’antica Roma un passus era la misura della distanza tra il punto di distacco e quello di appoggio dei due piedi opposti durante il cammino (il doppio rispetto a come lo consideriamo oggi), registrazione delle mie possibilità di movimento. Un piede dopo l’altro.

Dentro la lontananza c’è il movimento. Una lunghezza che posso misurare con un mio piede, anzi con un miei piedi. Perchè con un solo passo non vado da nessuna parte. Noi umani non abbiamo radici di albero. Ci muoviamo, e per farlo superiamo distanze, sfidiamo l’equilibrio. Funamboli dell’esistere, stiamo in bilico, nostro malgrado abbiamo dovuto imparare e conviverci. Fin dai primi passi. Barcollanti, andiamo avanti. Passo dopo passo.

2 febbraio, Candelora

Candelora, scopro che il mio disfare l’albero proprio in questi giorni ha un senso antico. Proprio per Candelora era tradizione togliere il presepio, data simbolica della fine del periodo di Natale.

Nel mondo cristiano con la Candelora si ricordano la presentazione di Gesù al tempio e la purificazione di Maria: nel mondo ebraico in base alle leggi di purità le donne seguivano un bagno rituale trascorso un certo periodo dopo il parto. Era, in un certo senso, il ritorno nella società,al quotidiano e agli spazi percorsi e abitati dopo la bolla in cui si è stati immersi nel tempo della nascita.

Che cosa affascinante, il fatto che queste regole di purità trovino un corrispettivo. Alla liturgia cristiana si sovrappongono le celebrazioni dell’antica Roma a Giunone e prima ancora, quando Februus in Etruria era signore della morte e dell’oltretomba. Si portavano fiaccole accese per le strade invocando protezione dalle malattie e guarigione.

Nell’anima delle candele sottili, tremolanti nel buio delle chiese cristiane ortodosse, brucia il fuoco dei grandi ceri offerti a Giunone. Fra il popolo dei Celti la festa di Imbolc segna il cambiamento della luce, fine dell’inverno e inizio di un nuovo periodo: l’arrivo della primavera. Fra diversi popoli al mondo il calendario inizia in primavera. Febbraio visto da questa angolazione diventa, quindi, spazio di confine, chiusura e riapertura di un ciclo: il grande ciclo del tempo, l’anno.

Madonna della Candelora dell’inverno sèmo fòra ma se piove o tira vento, de l’inverno semo dentro

Ovvero…

“Se p’a Cannelore ne chòve ‘u virne se ne more”… se a Candelora non piove, l’inverno muore<

Fine stagione al mare

Settembre

Il primo di settembre, l’ultimo dell’estate: sapore intenso del weekend come l’impronta calda che rimane per ore sulla pelle quando sei stato troppo al sole, intenso come il morso succoso e giallo all’ultima pesca di stagione, malinconico no, che ancora ci illudiamo di cieli azzurri e lasciamo la testa fra le nuvole, voglia di fare e girare in questa strana estate dopo la primavera blindata dellw quarantena. E poi stare fermi a osservare la gente. La voce lontana del mare che sussurra. Le ore del tempo insieme e il pomeriggio senza orologio. Io che faccio le scale e poi torno indietro, mi fermo dietro la porta in segreto per sentire se è tutto ok, se si divertono. I pantaloni a righe blu, le magliette gialle, gli urli nella notte, ragazzetti che si arrampicano sul cancello e vecchi vicini di casa davanti a un caffè, con le tazzine belle e il pizzo sotto. Il profumo della bouganville, rosa e bianca, che si sfalda al sole. L’acqua troppo fredda e lui che anche se è piccolo non batte ciglio. E brindiamo alla vita, ai nuovi progetti che settembre chiama fare… E agli imprevisti.
Che cosa sarebbe la vita senza l’imprevedibilità degli imprevisti?

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Il primo di settembre, l'ultimo dell'estate: sapore intenso del weekend come l'impronta calda che rimane per ore sulla pelle quando sei stato troppo al sole, intenso come il morso succoso e giallo all'ultima pesca di stagione, malinconico no, che ancora ci illudiamo di cieli azzurri e lasciamo la testa fra le nuvole, voglia di fare e girare in questa strana estate dopo la primavera blindata dellw quarantena. E poi stare fermi a osservare la gente. La voce lontana del mare che sussurra. Le ore del tempo insieme e il pomeriggio senza orologio. Io che faccio le scale e poi torno indietro, mi fermo dietro la porta in segreto per sentire se è tutto ok, se si divertono. I pantaloni a righe blu, le magliette gialle, gli urli nella notte, ragazzetti che si arrampicano sul cancello e vecchi vicini di casa davanti a un caffè, con le tazzine belle e il pizzo sotto. Il profumo della bouganville, rosa e bianca, che si sfalda al sole. L'acqua troppo fredda e lui che anche se è piccolo non batte ciglio. E brindiamo alla vita, ai nuovi progetti che settembre chiama fare… E agli imprevisti. Che cosa sarebbe la vita senza l'imprevedibilità degli imprevisti?

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