Sbattere le palpebre al sole
Rovesciare il latte a colazione
La doccia, i piagnistei, i mugulii e la borsa da infilare sulle spalle
I sentieri d’estate
Il fiatone e il sudore
I tunnel creati dai rami verdi degli alberi e tu che me li fai notare, tunnel!
Arrivare nel posto dei cavalli e salutarli con il pane secco
Beccare proprio il momento finale della costruzione di un muretto di sassi lunghissimo e vedere l’orgoglio di soddisfazione negli occhi di chi l’ha costruito, con uno sguardo così limpido e leggero che arriva fino all’orizzonte
Il sole delle undici, che inizia a rallentare e fermarsi in mezzo al cielo
Tornare con te addormentato su una spalla e Kukla, una zampa dopo l’altra, che ci affianca stanca
Aprirsi una birra gelata e mentre tu dormi sul divano raccogliere la salvia, l’odore forte fra le dita
Le cicale di mezzogiornoLunedì 25 luglio ’22, ultima settimana di luglio
Tag: diari di vita
La scuola di Tito
io non me lo ricordavo, ma dentro al mondo della Pimpa – che io credevo scomparso invece esiste ancora – c’è un personaggio che si chiama Tito
è un piccolo cane blu
vorrebbe andare a scuola lui, ma è troppo piccolo
e allora, la scuola se la crea a casa
è una scuola inventata la sua,
sono i libri a raccontarsi
a prendere parola
le cose
tutto il mondo intorno
ed è vero, è così
all’inizio della nostra vita volevamo imparare tutto
eravamo esploratori instancabili
viaggiatori intergalattici in arrivo da sconosciute galassie su questa Terra di cui non sappiamo niente
lo siamo ancora.
Noi diciamo che non abbiamo tempo, ma i bambini molto piccoli non si danno per vinti. Ce lo ricordano con infinita pazienza ogni attimo:
non c’è niente altro da fare
se non
sperimentare
e
continuare
a
chiederci
che cosa
vogliamo
imparare
Scuola è ogni volta che apro gli occhi
qui da quando l’inverno se n’è andato e siamo tornati c’è stata la settimana delle passeggiate di primavera, la settimana in cui si piantano semi e si fanno i riordini della bella stagione, la settimana a zonzo alla scoperta dei bombi e a mettere il naso nelle case amiche; la settimana del vento, a svegliarsi presto e leggere libri sul tappeto com il caffellatte e quella in cui i libri si son letti di notte al chiaro di luna. La settimana del mare, a guardare le barche e costruire piste immense per le biglie, la settimana nudista in giardino fra sabbia, terra e acqua, la settimana dei bimbi, a fare amicizia e passare tutto il tempo in giro. Settimana scorsa è stata la settimana del ping pong e del calciobalilla, era da una vita che non ci giocavo, settimana di afa, giochi, sabbia e del fare gruppo.
Questa settimana a cosa sarà votata? ~ non lo so
ma,
dovremmo chiedercelo
che si sa, il tempo si misura in settimane
il weekend si ferma
il tempo
poi, ricomincia. E
via così, settimana dopo settimana
sia che tu faccia la casalinga o sia in fabbrica o in ufficio
il venerdì, il sabato, il fine settimana
è sempre un tempo diverso, speciale
un tempo del rallentare
non è una questione nostra,
te ne accorgi anche se sei in pensione
è il mondo intorno a dirtelo
il mondo per un attimo prende fiato,
respira
e poi si riparte
e intanto chiediamocelo
allora
qual
è
l’ispirazione
per
questa
nuova
settimana
?
Chiediamocelo a venti, quaranta, sessant’anni o novanta, che forse solo questo ci salverà
fino a cento e per sempre
l’entusiasmo
ogni giorno imparo
ogni giorno POSSO imparare
ogni giorno la scuola inizia quando apro gli occhi
ogni giorno è un nuovo viaggio
A Gabicce Mare
in uno spazio tempo a metà via fra Cesenatico degli anni Ottanta e i matrimoni lampo di Las Vegas vive
Gabicce
a Gabicce non si dorme mai e si mangia a stento,
i “ciucciamonetine” sono alti un metro e mezzo o poco più,
conoscono bagnini e baristi, con cui hanno traffici segreti: è tutto uno scambiarsi soldini e monetini per avviare i temibili giochi, che sono
ovunque. Impossibile andarsene dalla spiaggia: bimbi! esclama il piccolo viaggiatore con il dito puntato
e del mare chissenefrega
il centro del mondo è la spiaggia,
giochi: giochi è la prima parola con cui ci si sveglia la mattina e mentre si aprono gli occhi suona imperioso un monito interiore:
là, fuori
fuori. Giochi!
C’è il camper di Adriano al bagno 28, si narra che quando arrivò i piccoli viaggiatori intergalattici facevano la fila. Me lo dice il bagnino Francesco, che per passione legge grossi volumi di economia in lingua inglese all’ombra. Al sole delle due resistono solo le signore più abbronzate, indefesse con il cappellino sulla fronte: loro, quelli piccoli, non si arrendono
scotta la sabbia? no
correre! dicono, e se ne vanno correndo mentre i grandi si salutano in fretta e lasciano i discorsi a metà.
Abbiamo tutti gli stessi giocattoli, molto simili, cambiano i colori e qualche forme. TrattoLe! I trattori sono i preferiti, ruspe, palle che il vento disperde continuamente e
ovviamente, secchiello e paletta.
Sono oggetto di lunghe contrattazioni fra i più piccoli, secchiello e paletta. Una palestra con cui i più volenterosi imparano, e insegnano, l’uso dei possessivi e della filosofia politica: mio, tuo, suo, condivisione, riappropriazione, appropriazione indebita, prestito, riscossione etc. Gli stronzi di solito iniziano a intuirsi già a questa età, hanno modi di fare che rivedrai a diciotto o quarant’anni, solo con più rughe.
Ma a volte è da un graffio e uno spintone che nasce un’amicizia. Perché tu, che cammini su questo pianeta da un po’, te ne andresti. Invece loro no: i giovani viaggiatori dello spazio, neo neanderthaliani, stanno ripercorrendo la storia dell’umanità in breve. Sono convinta che sia un’informazione impressa nel DNA, esce allo scoperto all’inizio del viaggio sulla Terra. Mio! No! Tu! IO! dicono “io” per dire “tu” e “tu” per dire “io”, si lanciano urli e danno spintoni, ma poi tornano, proprio come preistorici Neanderthal ribadiscono le posizioni, le discutono, si guardano dritto negli occhi, si lanciano sabbia e si depistano, si perdonano, si baciano, si odiano, si fanno la guerra e fanno pace
e poi te ne vai, un po’ più in là.
C’è il bagno Marisa al 23, dove incontri il gruppetto degli amici con cui proprio ti trovi. Succede a ogni età, affinità elettive, qualcuno le chiama, o più semplicemente la capacità di allenarsi a riconoscere quelli con cui ti piace fare gruppo: un esercizio che forse è il più importante di tutti e per tutta l’esistenza. Forse è proprio da questo allenamento che nasce il desiderio e la forza di non accettare passivamente la classe, la scuola, o i colleghi del lavoro ma di andare a cercare le situazioni e le persone con cui sentiamo di star bene; sapere che sì, è sempre possibile trovarle. Soprattutto se continui a camminare ed esplorare, sapendo che è un viaggio, che ti fermerai con qualcuno e non è affatto detto che saremo amici, non possiamo essere amici di tutti: questa è una grande e meravigliosa verità.
Vogliamo appiattire i bambini dicendo ‘sii amico di tutti’, ‘i giocattoli sono di tutti’. Ma tu non daresti la tua borsa o il vestito a cui tieni a chiunque. Dentro, anche se sei alto meno di un metro, intuisci che c’è qualcosa di storto, qualcosa che non torna in queste parole. No, non possiamo essere amici di tutti: bisogna imparare a sentire. E scegliere. E sperimentare, vivere, metterci alla prova. Curiosare. Uscire dal proprio spazio e vedere che effetto fa. Provare a giocare insieme, sbirciarsi a vicenda.
C’è Luca che ha cinque anni, anzi sei, ma non so quando sono nato in ogni caso o venerdì o sabato o domenica perché al mio compleanno è sempre festa, c’è Maria Sole che è sua sorella e di anni ne ha tre e Anastasia, la grande, che ne ha nove e suo papà, bravissimo a costruire piste giganti, che ogni tanto scappa a fumare, quando può – ancora un’altra ? – dice lei e scuote la testa. C’è Ettore che, la sua mamma sospira, spero si stanchi e vada a dormire. E poi Domenico che ha il costume con i teschi e gli occhi azzurrissimi: sono in quattro fratelli, ognuno distante cinque anni dal precedente o successivo. E poi Simone, che passerebbe la vita su uno scoglio o in acqua a nuotare come un pesce.
Tutti festeggiano le pagelle, comunque sia andata, e l’inizio di una nuova stagione dell’anno e della vita: le vacanze, desiderio di un anno intero. In barba alle preoccupazioni su ragazzini curvi sugli schermi, a Gabicce mare impera, incontrastato, il vecchio gioco delle biglie
le biglie sono palline di plastica colorata con dentro un’immagine, una figurina di carta diversa così ognuno può riconoscere la sua. Ogni giorno si fanno piste immense, dotate di tunnel, salite, discese ardite e fossati: questo impegna all’incirca tutta la mattina; poi si svolge la gara di biglie. Subito dopo è l’atto finale di distruzione perché le buche vanno richiuse altrimenti una persona può cadere e si rompe una gamba, soprattutto i vecchi, e poi il bagnino si arrabbia: questo lo sanno tutti i bambini. Per i più piccoli una delle cose più difficili da capire è perché alla cura estrema a non rompere mura e parapetti e tunnel in un attimo si sostituisca la furia cieca della distruzione. Tant’è, succede anche nella vita. E di solito, in spiaggia come nel quotidiano, solo chi ha costruito ha il diritto di rompere: diritto che si accaparrano i più grandi, che tanto si sono impegnati con secchi, sabbia, leganti e leggi dell’architettura dei ponti.
ogni giorno è diverso, ma solo se lo vuoi. Perché
se non fai programmi e ti lasci portare dalle sensazioni
può darsi che ieri ti farai un caffettino e uscirai tardi, senza orologio finendo per tornare tardissimo, al tramonto, con un cartoccio di spiedini di gamberi e calamari, la sabbia fra le dita dei piedi e ovunque, la pelle rossa di sole e appena il tempo di fare una doccia prima di addormentarsi
oggi hai lasciato aperta la tapparella e ti sei alzata presto, beato chi ama svegliarsi all’alba e cammina nella spiaggia ancora umida fra i colori che dipingono l’inizio del mondo
domani non sappiamo che sarà,
non lo sappiamo mai a dire il vero solo che cerchiamo di darci orari, tempistiche, programmi,
giusto per star tranquilli
giusto per occupare il tempo
e ci perdiamo il gusto,
il gusto di vivere attimo per attimo, che
ogni attimo ti dice di cosa c’è bisogno in questo momento
proprio questo, adesso e qui
tutto questo sembra estate, ma è ancora primavera,
gli ultimi giorni di primavera
a Gabicce Mare.
La filosofia della gentilezza
La filosofia della gentilezza è un modo di stare al mondo: essere gentili, una sfida. Ecco la rivoluzione: a bassa voce, con un sorriso
Ci sono delle cose che dovremmo tenere a mente e una di queste, insieme alla gratitudine, è la gentilezza. Sulla gratitudine ci hanno scritto dei libri, compresa Oprah (Winfrey), che a dire il vero ha avuto una vita per niente facile e se non fosse per qualcosa di più che una sterile analisi dei fatti probabilmente sarebbe ancora immersa nelle sabbie mobili del rancore. Sì, la rabbia ci divora da dentro: ci smangia e consuma l’impossibilità, o almeno il crederlo tale; ci logora l’eterna attesa, la tristezza che deprime, la pioggia che intride, il rimorso, il rimpianto, la nausea di tutto. La sensazione che avrebbe potuto essere meglio, sempre e comunque.
La meditazione ti fa fermare e vedere quello che vivi, qui e adesso, sof/fermarsi a respirarlo, soffiarlo via, incamerarlo
è esattamente quello che succede quando sono grata. Mi fermo e lo vedo, tutto ciò che ho vissuto: entra nel naso, in gola, riempie i polmoni.
A volte è forte, troppo forte; fa pizzicare il naso, gli occhi, la pelle. Fa scendere il naso e ridere, piangere, in una parola: emozionarsi.
Piange o ride, non si capisce quale delle due, ha detto oggi un bambino parlando di uno più piccolo che voleva aiutare.
Ecco, non diciamocelo. Importa davvero dare il nome a tutto? Malinconia, disperazione, attesa, felicità, trepidazione, quante sfumature infinite tutto quello che possiamo provare. Ci hanno detto che importante saper leggersi dentro, ma magari è tutto questo e ancora molto altro.
Questo è il punto. Non mi forzo. Non mi sforzo. Quando smettiamo di farlo allora iniziamo a essere gentili con l’ultimo degli ultimi: noi stessi. Noi, che siamo quelli che ci giudichiamo. E arranchiamo, corriamo, non ci bastiamo, ci allunghiamo, ci facciamo piccoli o grandi a seconda del caso.
Gentilezza, una parola bellissima.
Che cosa ci vuole nella vita? Più gentilezza.
Sembra che la parola “gentilezza” indichi l’appartenenza alla stessa gente, a un medesimo gruppo sociale. I bambini in questo a volte sono giudici terribili: devi entrare nel cerchio per poter essere trattato con gentilezza, devi osare e giocartela, devi volerlo e rischiare.
Abbiamo questa idea di dover tirare fuori il meglio da noi stessi e dal mondo. Invece basterebbe vedere quanto siamo già tutto questo e oltre, altro.
Eravamo bellissimi, quando abbiamo iniziato a percorrere questa strada, appena precipitati su questa sfera azzurra chiamata Terra.
Siamo bellissimi e nessuno ce l’ha mai detto.
Trovare la bellezza nel mondo
Le rose perché sbocciano tutte insieme e all’improvviso
I bambini perché portano caos nelle vite ordinate
I cani perché conoscono l’amore
La pioggia perché tutto fa risplendere
I fiori selvatici perché sono alieni silenziosi e noi ancora lì a cercare nel cielo ciò che non sappiamo riconoscere in terra
Il legno, la terra, l’acqua perché veniamo da lì
Le giornate fatte di ore lente, dove niente accade, perché ci fanno osservare il sole
Le spine delle rose, i germogli appena nati, camminare a piedi nudi, liberare una lucertola, le ortiche che fanno ahi e la pizza da impastare, gli aperitivi fino a tardi, aspettare l’imbrunire, l’orizzonte silenzioso e indaco, le prime stelle della sera, un sogno bello
quante cose ci salvano
con la bellezza
– Trovare la bellezza nel mondo è un esercizio quotidiano, dentro ha il potere della gentilezza che si china e, flessibile sulle ginocchia, si inchina alla vita. Domani voglio continuare a trovare…
Per la felicità ci vuole coraggio
Avevi un sogno. Poi ci si è messa in mezzo la pandemia. Avevi un sogno ed eri così giovane, poi ci si è messa in mezzo la vita, il marito sbagliato, il lavoro che non va. Sono passati gli anni, a volte ci pensi. A volte, invece, i sogni cadono in fondo a tasche così profonde che non li vedi più, o li ritrovi dopo anni, come la matita dentro le tasche del cappotto di uno morto cent’anni fa: serviva a ricordare qualcosa, ma nessuno sa più che cosa dovesse annotare.
Mangi un cioccolatino e allora puoi mangiarne un’intera scatola, visto che è lunedì oggi facciamo eccezione. Ma ormai la settimana è iniziata, è già andata in vacca e allora tanto vale, lasciamola andare come andrà. Cade tutto a pezzi: debiti, contratti, delusioni. Si accumulano sui mobili all’entrata e la mente sta sempre lì, all’ingresso senza mai fare un passo oltre, in attesa, aspettando il momento giusto che non arriva mai. Il momento in cui finalmente è tutto a posto. Eppure la vita continua ad accadere, ecco perché il sospirato tempo in cui niente accade è quello della morte ma noi non ce ne rendiamo conto.
Sogniamo la perfezione e ci schianta l’essere perennemente imperfetti. Allora, tanto vale. Mandare tutto in vacca è un retropensiero costante.
Viviamo così, lacerati fra la voglia, il bisogno di essere persone migliori e la realtà che ci schiaccia. Perché intanto c’è la vita quotidiana, i biglietti del bus dimenticati, la bolletta con la mora, i tradimenti e le tarme, le cose che vanno storte e a volte con un po’ di colla si riattaccano ma certi giorni non ce la fai proprio. Che rammendare non si rammenda più e un perché c’è: non abbiamo più tempo. La vita certe volte sembra un’eterna bolletta con la mora.
Siamo diventate brave e bravi, molto bravi. A osservare la situazione, capire che cosa vuole ognuno di quelli che ci circondano, alleggerire gli animi, parlare -anche troppo, a volte- per riempire i buchi, sfilacciare la tensione, cucire gli umori. Osservare per dare a ognuno ciò che serve per essere felici, o almeno un po’ meno infelici. E noi? Abbiamo imparare a riconoscere ciò che ci fa felici o ancora no?
E così si avanti. Da secoli.
Ci hanno fatto credere che con il potere della mente puoi fare qualsiasi cosa. Invece, ci sono anche io, urla il corpo. E te lo ricorda: con una malattia o una sofferenza o persino una felicità imprevista. Il corpo ci ricorda che non esistiamo a millemetri da terra: siamo qui, ora. Siamo il nostro corpo, siamo la nostra mente. Mente e corpo sono uno dentro l’altro, inestricabilmente. Il dolore sì, ha a che fare anche con la sua gestione ma ci vorrebbe un po’ di più. E non ce l’hanno insegnato. Ci vorrebbe un’educazione al dolore, alla morte, alla vita, all’essere qui su questa terra, alle potenzialità del corpo di bambina, bambino, donna e uomo, e non ce l’hanno insegnato.
A volte il corpo stupisce anche in senso contrario. Il corpo riesce a sostenerci in modi incredibili ed è già sopravvissuto mille volte. Tutti noi dovremmo ricordarcelo: possiamo morire, ogni attimo. Anzi, è già un miracolo essere qui. Potevamo essere già morte e morti mille volte. Ecco, la vita riequilibria le cose perché a volte le cose grandi, che sembrano inaffrontabili, ci danno la possibilità di scegliere: o annego o sopravvivo, o cado vittima e in ansia o da questa cosa io voglio imparare e diventare più forte.
Siamo figlie e figli, tutti. E quindi? Sì, ogni storia è diversa: c’è chi è solo, chi ha un gatto, chi ha figli, chi vive con bambini, chi sta scegliendo di vivere altrove. Io me la ricordo quella bambina. Anche tu te la ricordi. Stiamo facendo tutto questo per lei. Se siamo arrivate fino a qui è perché non l’abbiamo dimenticata. Conosciamo i suoi sogni, le sue delusioni, le speranze e i bisogni. Abbiamo cercato di proteggerla, cerchiamo di farlo ogni giorno, per quanto possibile.
Io voglio ridere. E voglio circondarmi di persone che ridono. Questo era quello che volevo, in fondo una promessa semplice ma che richiede impegno perché attorno sembra che tutti siano -oggi più che mai- tremendamente impegnati a litigare, lamentarsi, s/parlare. In questo i bambini, sono i nostri alleati. Perché loro sono bambini, proprio come lo eravamo noi e ancora lo siamo, dentro: loro ci tirano fuori quella parte bambina. Anche i vecchi possono essere nostri alleati. Perché entrambi vivono l’essere vulnerabili, essere in balia di, aver bisogno di aiuto. Che a dire il vero, aver bisogno di aiuto non è questione di età, ma di vicissitudini dell’esistenza.
E va bene, ognuno con la sua vita.
La prima rivoluzione è toglierci il peso del dover-essere. Chissenefrega. Fuggire da questa fissazione del dover essere…. Figlie, Madri, Partner, Ruoli, Lavori. Si potrebbe continuare all’infinito con tutte le definizioni che pensiamo di dover essere. Voglio cercare di conoscere l’altro per quello che è: una persona. Anche io lo sono, semplicemente una persona.
Ogni essere umano è unico. Siamo donne, uomini. Siamo bambini, dentro
E i bambini sono saggi, come alberi crescono alti e forti. Non c’è qualcuno che possa allungare i rami o le radici, è la pianta a seguire le sue evoluzioni e i suoi tempi. I bambini di oggi cresceranno, come siamo cresciuti noi. Forse quello che posso fare, nel mio piccolo, offrire acqua quando serve, un po’ di luce. Dare più ascolto, questo sì, risate, esplorazioni, piccole pazzie. E considerarli alleati perché questo sono. I bambini sono forse gli unici a non avere aspettative, ricordati come eri tu, come sei.
Va bene anche la pizza surgelata purché col sorriso, metterci a ridere anche se si rovescia l’acqua o si sbaglia strada. Sbriciolare sul divano, disegnare sullo specchio, vestirmi con roba stroppicciata ma avere tempo per guardarci negli occhi. Ballare in cucina. Quand’è che abbiamo smesso di fare le piccole pazzie che ci rendevano adolescenti matti con la voglia sfrenata di trovare la sacrosanta felicità?
Ogni figlio non vuole altro che un genitore sia felice. Ma per essere felici ci vuole coraggio e prendersi la responsabilità di dire “io”.
voglio cambiare il mondo. Non il mondo, quello grande. Il mio, il mio piccolo mondo che inizia e finisce con me. Il tempo in cui avere cura dei nostri sogni di felicità sarà il nostro passaporto per la libertà. Dalla vulnerabilità la forza, ci insegna la natura, da un ramo spezzato il coraggio di un nuovo germoglio.
Buona primavera…
Neve di maggio
E te ne accorgi quando se ne va la luce e nel giro di qualche ora non si sa più come fare perché ormai tutto dipende da quello, dal frigo al riscaldamento. La vita è imprevedibile e poi succede che avevi scommesso no e invece girano gli spazzaneve al mese di maggio, ci siamo svegliati con il sole immenso e poi la pioggia e l’arcobaleno e anche la nebbia, tutto nella stessa giornata.
E alla fine è arrivata, mezzo metro di neve.
Giocare a Scarabeo mentre la luce del pomeriggio si trasforma, quel piccolo cane si tuffa nel bianco e ancora non ci crede, la neve è di nuovo più alta di lei.
A me tutto questo fa venire in mente le vacanze e i nonni, la stufa blu a carbone che negli anni è stata sostituita. Il brivido di quelle volte in cui andava via la luce, finalmente si usavano le candele sempre appoggiate sul camino. La luce del fuoco. Il tempo lento, quasi immobile. Il buio dei lampioni spenti.
Sì, la vita è imprevedibile. Non tiene conto dei ritardi, ci ricorda che la nostra pseudo modernità è appesa a un filo. Ci ricorda che basterebbero pochi giorni per mettere in ginocchio città intere. Che il buio è la condizione naturale della notte. Che il tempo non lo comandiamo.
E allora questa luce che va via per ore, ore intere e poi torna bassa bassa, sì mi rendo conto che fa arrabbiare tutti eppure rimette in pace col tempo, strizza l’occhio alla vita. Quanta meravigliosa magia a fermarsi. Quanta incredibile magia a ritrovare il tempo e farci ritrovare dal tempo, meravigliosamente vivi. Insieme a chi ti fa ridere.
E ora buona notte, già che ci sono il telefono lo spengo io.
Neve di maggio, era il 5 maggio 2019 e una potente nevicata controcorrente e contro ogni previsione arrivava, ribelle, a insegnarci di nuovo il senso del Tempo