Che cosa leggere insieme ai piccoli per affrontare il dolore del lutto e la paura della morte?
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Piano piano… Osservare la natura per vivere senza fretta











Tu immagina una giornata di nuvole e la pioggia forte in giardino, il lento viaggiare delle chiocciole e il volo della libellula che nasce e vive sull’acqua. Senti sulla pelle il sole che ti asciuga le ali, la terra che ti avvolge quando strisci nel buio. Allenati alla metamorfosi del tarassaco e della farfalla, che vibrano nel cambiamento ascoltando le stagioni.
Ogni stagione della nostra esistenza ce l’abbiamo scritta dentro
C’è un cielo immenso là sopra e noi crediamo di essere grandi invece siamo piccolissimi, minuscole creature di terra, acqua e aria che a volte con la terra, l’acqua e l’aria si mescolano e allora diventano immense. Diventiamo senza confini quando ci arrendiamo al piccolissimo, disintegriamo le mappe e i Paesi, ne facciamo brandelli.
Diventare esploratori del momento è l’avventura senza fine
Ecco, non si è esploratori: esploratori si diventa. Non si è coraggiosi, coraggiosi si diventa. Noi non ci arrendiamo al già fatto bensì al non detto strappiamo una promessa: la parola, il seme, il sogno. Il futuro di questo attimo da afferrare adesso è il presente che si fa nelle nostre mani. Lo impastiamo. Lo guardiamo. A piedi nudi lo dipingiamo, questo adesso di cui vogliamo trovare scoperta e meraviglia.
Qui stiamo sfogliando questo libro: “Piano piano… Osservare la natura per vivere senza fretta. 50 storie” di Rachel Williams con illustrazioni di Freya Hartas (Giunti editore) cinquanta storie, una per ogni pagina, una per ogni frammento raccolto nel mondo là fuori: una fotografia da dipingere e impressionare, disegnare e raccontare, rimodellare per inventare la vita ascoltando il cuore.
Tenetevi stretti i sogni, una poesia di Langston Hughes
Tenetevi stretti ai sogni
perchè se i sogni muoiono
la vita è un uccello con le ali spezzate
che non può volare.
Tenetevi stretti ai sogni
perchè quando i sogni se ne vanno
la vita è un campo arido
gelato dalla neve
Hai letto “L’albero delle parole” di Donatella Bisutti?
L’albero delle parole, libro di Donatella Bisutti
Tante poesie (138) e altrettanti poeti (per l’esattezza, 73) da tutto il mondo: è “L’albero delle parole”, unlibro di Donatella Bisutti. Alcune sono poesie di grandi poeti che tutti conosciamo, ma scelte fra i componimenti meno noti, quelli che a scuola non si studiano. Le scopri con un filo di stupore, perché ci metti un attimo a farle quadrare con il personaggio e ricomporre una nuova immagine del poeta. A questo ci pensa la biografia, una paginetta che introduce le poesie tratteggiando in poche righe il ritratto di una vita, di un carattere. Con leggerezza, quello stile giocoso che noi scambiamo per patrimonio dell’infanzia e invece è per tutti.
Insomma, una raccolta per bambini e non solo. Un libro per leggere poesie in famiglia.
Di ogni poesia, in fondo nella pagina, è segnato autore e raccolta da cui è tratta.
Così, questo libretto che ci sta seguendo in giro per casa e finiamo per aprire a caso e declamare,
in queste sere di inizio autunno,
finirà per appogiarsi sul tavolino del salotto e diventare
piccolo manuale da cui partire per andare a (ri)leggere poet e poesie.
Alcune le ho lette con sorpresa, come la pagina strappata da un diario di Montale in cui il poeta, studiato per altri versi, parla di un uccellino trovato. Altre non mi hanno risuonato, finora, e allora le leggo e lascio lì, risuoneranno ad altri o forse in altre momenti. Altre ancora mi hanno fatto scoprire poeti che non conoscevo e venir voglia di andarli a cercare e trovare nella loro lingua (che si sa, ogni traduzione è in realtà un’avventura impossibile e riesce solo quello che è sufficiente a dare il sapore).
Come questa, di Langston Hughes, che non conoscevo, che è stato poeta, ma anche giornalista e attivista, in quel Missouri fra gli anni Quaranta e Sessanta quando essere nero era una sfida che partiva dalla pelle. Hughes, che era arrivato nella grande New York con un treno in giovane età, inventerà un genere chiamato jazz poetry, e in America è conosciuto come il padre dell’Harlem Renaissance.
Era nato il primo febbraio 1901, quando il secolo era solo all’inizio, e se ne andrà nel 1967, dopo aver visto il mondo rivoluzionarsi. A proposito, sai com’è riuscito a diventare poeta? Lo racconta l’autrice D. Bisutti a pagina 216. Poverissimo e svantaggiato negli studi a causa del colore della pelle, faceva il cameriere (e il mozzo, per anni). Un giorno al ristorante in cui lavorava capitò un poeta importante, Langston Hughes (oltre a riconoscerlo) tra un piatto e l’altro scrisse velocemente una sua poesia e con nonchalance fece scivolare il foglietto con i suoi versi sotto al piatto di portata. Chi avrebbe avuto lo stesso coraggio? Da quel momento la sua vita cambierà per sempre. Sarà uno scrittore in grado di vivere delle sue parole e viaggerà per tutto il mondo.
“Quante volte, crescendo, solo per il fatto di essere negro, aveva dovuto, per non farsi vedere piangere “aprire la bocca e ridere”? Ma la poesia per fortuna non conosce colore di pelle e così Hughes diventò lo stesso un grande poeta anche se per riuscirci dovette superare enormi difficoltà”
Donatella Bisutti
Blues di nostalgia di Langston Hughes
Il ponte della ferrovia
è un canto triste nell’aria.
Il ponte della ferrovia
è un canto triste nell’aria.
Quando passa un treno
vorrei andare chissà dove.Sono sceso alla stazione.
Avevo il cuore in bocca.
Sono sceso alla stazione.
Avevo il cuore in bocca.
In cerca di un vagone
che mi portasse al Sud.La nostalgia, Signore,
è una cosa orribile.
La nostalgia,
è una cosa orribile.
Per frenare il pianto,
apro la bocca e rido.
Il valore di un errore
Sbagliando s’impara è un vecchio proverbio. Il nuovo potrebbe dire: sbagliando s’inventa
Gianni Rodari
Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare
Il valore di un errore è eredità dell’esperienza.
Sbagliare, comprendere, abbracciare.
Esercitare curiosità.
Meravigliarsi.
Evolvere
Il tempo dell’imparare
Alle elementari mi sono ben presto resa conto di imparare in modo differente rispetto agli altri compagni di classe. Il mio obiettivo primario è sempre stato uscire a giocare il prima possibile. Sapevo, pertanto, di dover sbrigare tutti i compiti nel modo più rapido – e comunque anche imparare qualcosa – se volevo evitare noie. Fin dall’inizio ci sono riuscita abbastanza bene. In terza, poi, ho smesso di fare i compiti relativi a argomenti che già conoscevo – mi sembrava un’inutile perdita di tempo. In effetti sono riuscita a cavarmela in questo modo fino alla maturità. Oggi, a posteriori, non riesco a spiegarmi come sia riuscita a farla sempre franca. Al liceo, nei primi due anni, ho frequentato una scuola a tempo pieno. Per me è stato ovviamente un problema dato che lì mi veniva imposto un metodo di studio ben preciso – per esempio, dovevo avere un quaderno apposito per i compiti a casa. Il tutto mi infastidiva parecchio, mi sentivo limitata e anche bloccata. Quando ho avuto di nuovo la possibilità di studiare nel modo a me più congeniale, tutto è tornato a posto. Ripensando ai tempi della scuola posso dire che, ovviamente, avrei potuto ottenere risultati migliori, ma a me non è mai interessato dedicare più tempo allo studio per prendere voti più alti. Per uscire dalla maturità con un voto superiore a 70/100 che ho portato a casa essendomi preparata per circa otto ore, avrei dovuto studiare un’enorme quantità di tempo in più, ma per me non ne valeva davvero la pena. Ovvio, di tanto in tanto provavo rimrsi di coscienza e pensavo di dovere effettivamente sforzarmi maggiormente. Tuttavia, è stato proprio l’accettare di essere una persona che impara in modo minimale a essermi di grande aiuto.
Felicitas Komarek
Dopo tutto Felicitas Komarek è riuscita a sopravvivere bene agli anni di scuola. Ha frequentato la Facoltà di Scienze sociali e comportamentali all’Università di Leiden, Germania, e ha scritto un libro proprio su questo. Essere una persona che impara in modo minimale significa che non c’è un unico metodo di studio da seguire: non solo se ne possono seguire di alternativi, ma soprattutto, spiega lei, dobbiamo smettere di sentirci in colpa e diventare consapevoli del semplice fatto che… Ognuno è fatto a modo suo, ognuno studia a modo suo.
Al di là del contenuto (se sei interessato ai metodi di studio salta qualche riga più giù e qui sotto troverai il titolo) ho trovato interessante che le autrici del libro sono Felicitas e Iris. Felicitas è la figlia di Iris Komarek, esperta in processi di apprendimento, studiosa di pedagogia e sociologia della formazione.
A proposito, chi cerca ispirazioni su metodi di studio classici e alternativi può consultare il libro di Iris e Felicitas Komarek “Guida allo studio per pigri” (Feltrinelli, 2019).
… Perché ogni studente è una persona unica e particolare
La morte
Quando compii diciotto anni lei si ammalò gravemente.
Pochi mesi prima era morto il suo cane, Birillo.
Lei gli era molto legata, era il suo compagno di viaggio.
Quel cane era vecchio e malconcio, mi pesava portarlo fuori perché era goffo e lento.
Poi quando morì mi sono reso conto che la vita non ci porta via nulla, siamo noi a gettare via le grandi occasioni.
Quello che conta lo vedono in pochi, e solo dopo che è scomparso.Pochi giorni prima di morire mia nonna disse:
«Le persone passano il tempo a cercare di afferrare la vita, ma poi
quando accade qualcosa di spiacevole si rendono conto di
quanto tempo hanno buttato via.
Vivi, non usare il tempo che la vita ti ha dato a disposizione per proteggerti dalla
sofferenza.
Chi ha ricordi meravigliosi conoscerà il dono della vita».Le ultime parole di mia nonna furono:
«Sono molto stanca, ora vorrei riposarmi»
Davide Munaro