Toccare il sole con i piedi, iniziare così ogni mattina e ricordarsi di avere tempo. Pelle, l’organo più grande del nostro corpo. Pelle, dentro e fuori. Dentro l’invisibile me, fuori tutto il mondo. Pelle: delicata, nuova come quella di un bambino, ruvida, dura, disegnata dagli anni come un tronco d’albero. Scoprire il mondo con la pelle
“In quanto esploratore penso spesso che nessuno possa avere delle certezze. Non so quali cime mi troverò di fronte all’improvviso e dovrò superare, scalare o semplicemente ignorare. Io credo che i sogni e la curiosità per il mondo che mi circonda siano ciò che dà un senso alla mia vita, ovunque mi trovi e qualunque sentiero io scelga di percorrere. Mi sforzo di attenermi il più possibile alla mia filosofia, anche se alcune volte compio qualche passo falso ed è probabile che farò qualche sbaglio anche in futuro. Tra tutte le regole che mi sono dato nel corso degli anni trascorsi a esplorare il mondo, ce ne sono due che cerco di tenere sempre presenti.[…]”
Erling Kagge
Un giorno il maestro si presentò con una candela e spense la luce.
Non capivo.
Ci vedevo a malapena.
“Suona” mi disse. Maestro non vedo, gli risposi.
“Non devi vedere, devi sentire. Ci sono dei bravi pianisti che sono ciechi e suonano benissimo.
Devi poter suonare anche senza vedere”
Erano in una baita fra i boschi della val di Rabbi, gli anni Sessanta, quando il maestro Arturo Benedetti Michelangeli pronuncia questa parole. Un ricordo dell’allievo Carlo Maria Dominici, che il maestro metteva alla prova chiedendo di suonare lo stesso pezzo sui differenti pianoforti presenti nella stanza.
Ascoltare la vibrazione della diversità, saggiare con le dita, adeguare il passo.
Un esercizio di musica e di vita, di sensazioni.
TRISTEZZA E ALLEGRIA di Alexsandra Serjant, 5E – Un lavoro rappresentativo delle emozioni contrastanti di questo periodo. Insieme a questo, sul sito dell’Istituto Comprensivo Ceretolo sono presenti o in via di caricamento gli elaborati creati da bambini e ragazzi della scuola infanzia, primaria e secondaria
L’Istituto Comprensivo Ceretolo di Casalecchio di Reno, Bologna, accoglie bambini e ragazzi da 3 a 11 anni: comprende scuola dell’infanzia, primaria e scuola secondaria di primo grado, quella che tutti conosciamo come scuola media. Qui la didattica online è partita immediatamente e rappresenta un esempio felice su come la volontà di fare scuola possa combinare l’esigenza di apprendimento e il bisogno di contatto umano, empatia e relazione, obiettivi che la direzione scolastica fra i principali.
Questa è solo una delle molte storie che è possibile trovare sul territorio italiano, l’auspicio è che ci siano tanti altri casi e racconti di esperienze da raccogliere e su cui meditare. È la storia di un successo condiviso, perché dietro a questo impegno c’è una parola chiave: rete. Rete internet come supporto alla didattica. E non solo. Capacità di fare rete è quello che ha unito i genitori, a cui viene richiesto un impegno di cui tutti sono consapevoli, corpo docenti, preside e, ovviamente, ragazzi. Capacità di fare rete anche a livello personale, andando oltre ruoli e vincoli, come il caso di un papà e l’azienda in cui lavora, che hanno reso disponibili alla scuola tempo e competenze per il miglioramento del supporto tecnologico. Questo è il significato più profondo del saper fare gioco di squadra: sapere che cosa posso offrire agli altri delle mie risorse, farmi avanti, prevedere i bisogni dell’altro. Non è questo che prima di tutto, al di là di ogni programma ministeriale, dovremmo insegnare?
Contro l’elettrificazione delle città, 1889
Rispondere alle necessità ampliando l’orizzonte mentale è la sfida del cambiamento e ogni trasformazione parte da questo, dalla possibilità di affrontare la realtà grazie al potere dell’immaginazione. Nella storia è stata l’immaginazione a portarci verso nuovi continenti e nuove scoperte geografiche. Territori di uno spazio che è quello geografico, sociale, culturale e, prima di tutto, spazio e tempo della mente, del corpo. Spazio e tempo interni a noi stessi. Uno spazio in cui scrivere di proprio pugno nuove storie. Una nuova storia
Didattica a distanza: si o no?
In questi giorni tantissime sono le polemiche sulla didattica a distanza. C’è chi di didattica a distanza non ha minimamente voluto sentir parlare: non siamo obbligati a farlo, mi raccontava una mamma di fronte all’avviso dei docenti ai genitori. A quanto pare è esatto, i docenti non sono tenuti a farlo e in tante scuole è successo questo. Per oltre un mese gli insegnanti si sono limitati, soprattutto nel caso dei bambini alle primarie, prima a consigliare il ripasso di argomenti già fatti, in seguito dare compiti a casa tramite avvisi mail e WhatsApp. Stancamente, solo qualche giorno fa, alcuni si sono arresi a provare una diretta video: un’ora alla settimana, dopo giorni passati a organizzare gli accessi e accordarsi con i genitori su orari e modalità del collegamento.
Per i più piccoli (e i loro genitori!) ecco la giornata: studiare da pagina tale a talaltra, qui gli argomenti affrontare (ovviamente a dover spiegare l’adulto presente) e gli esercizi, che ancora non si capisce quale colore usare per i numeri, a meno di non avere una sapiente legenda a fianco (o il proprio figlio). Su questo punto bisogna aggiungere che qualche adulto smarrito si sta ancora interrogando sul senso e la necessità di variazioni cromatiche, almeno tre, nella scrittura dei decimali e sulle operazioni in colonna in rosso-blu-verde, abitudine che per un bambino di otto anni richiede più tempo nella stesura del colore che nella risoluzione del calcolo.
E io? Tu? Lui? Genitore, non dico straniero e nemmeno senza istruzione, ma ormai distante dagli anni di scuola, con uno o magari più figli, posso e devo saper spiegare le operazioni in colonna? Personalmente già alle elementari avevo problemi di calcolo su quanto ci mettesse l’acqua a riempire vasche e lavandini in problemi rimasti celebri come assurdi rompicapo.
Ma il problema non sono io. La questione è di tutti. Suvvia, si dice, non si tratta di complicate equazioni, ma semplici operazioni matematiche di terza elementare. In gioco c’è altro.
Trasmettere è accompagnare
Saper fare una cosa non è saperla spiegare. Si tratta di due processi distinti e molto diversi.
Le video-lezioni hanno diversi limiti. Lo sappiamo.
Una linea internet che magari si connette e disconnette, i salti di voce, dover convincere quelli piccoli a darsi una mossa e mettersi seduti alla scrivania, magari dopo essersi lavati i denti e indossando una t-shirt invece del pigiama.
Il collegamento video della didattica a distanza impegna bambini e adulti, sì. Li costringe a una fatica che equivale, almeno all’inizio, a qualche ora di studio, un cambiamento mentale e una dose generosa di pazienza, senza contare dover svuotare una stanza, se non altro dai rumori della cucina e creare le condizioni, di silenzio e tranquillità per poter attuare il collegamento.
Quelli di noi che hanno scelto la vita freelance lo sanno da sempre: lavorare da casa ha bisogno di impegno, disciplina, responsabilità, tre parole fondamentali nell’auto-organizzazione. Adesso sembra che ce ne siamo finalmente accorti, primi fra tutti quelli che fino a qualche settimana fa sognavano il lavoro da casa. Ora, in ciabatte mentre l’acqua della pasta già bolle, rimpiangono tutte le cattiverie dette o pensate sugli insegnanti dei figli e non vedono l’ora di tornare al solito ufficio, va bene perfino rivedere il collega antipatico. Il caffè delle macchinette non sarà mai sembrato così buono come al ritorno da questa quarantena (almeno per i primi… tre?… giorni). Il fatto è che lavorare e studiare da casa in modo continuativo ha bisogno di organizzazione. Questa è un’emergenza, ne siamo tutti consapevoli. Ecco perché questa è una via provvisoria, al contrario di chi fa vita freelance o homeschooling ed è strutturato su modalità del tutto diverse.
Il senso originario del fare scuola
La didattica a distanza non pensa di sostituire la scuola, no. La didattica a distanza è semplicemente un modo che si aggiunge al fine di fare scuola. Se andassimo indietro all’origine di questa parola abusata, offesa e strapazzata, troveremmo che skholé nell’antica Grecia è il tempo dedicato all’otium, ozio che nulla a che fare con il far nulla, bensì, al contrario, briosa attività del tempo libero, cura delle proprie passioni, inseguimento di ciò che interessa. Solo in un secondo momento “scuola” inizia a indicare il luogo, lo spazio fisico dove si fa scuola.
Fare scuola è un concetto, un ideale, un obiettivo e ancora di più: fare scuola è uno stile di vita. Significa svegliarsi con l’intento di usare ogni giorno per imparare. Oggi più di ieri. E non importa quanti anni hai, perché si impara ogni attimo, fino all’ultimo respiro. Non importa come e con quali mezzi: utilizziamo tutti gli strumenti possibili.
C’è una storia nella mia mente, l’ho letta anni fa non so più in quale libro. È la storia di un padre ebreo durante la seconda guerra mondiale. Insieme alla famiglia si nasconde in uno scantinato, dove rimangono tre anni e più. La figlia è una bambina di sette o otto anni. Per tutta la guerra, durante tutto quel tempo in un seminterraneo, con pochi libri e condizioni minime, continuarono a studiare, insieme, mettendo insieme nozioni in parte estratte dalla memoria e in parte, immagino, da una risorsa di creatività non da poco. Non perserono mai un solo giorno di scuola. Non avevano granché materiali, né quaderni nuovi da iniziare: nel suo lavoro di trasmissione dovette ricorrere alla memoria e all’immaginazione.
E c’è un’immagine, indelebile, che più di tutto mi è rimasta in testa di questa storia: ogni giorno, il padre e sua figlia si prendevano per mano e facevano la strada per andare a scuola.
Nei pochi metri offerti da quel seminterrato a scuola si ci andava, passo dopo passo. Facevano il giro del letto, e poi lungo la stanza, fino ad arrivare al tavolo, dove si sedevano pronti per iniziare la lezione di quel giorno. Era il solito tavolo della cucina, l’unico presente nella stanza, ma in quel momento era un altro tavolo.
Perché in quello spazio quotidiano si creava un territorio immaginario: un nuovo spazio ritagliato dalla guerra dove per qualche ora ogni giorno si faceva scuola. Per pensare, immaginare, imparare. Alla fine del conflitto la bambina, con molto stupore, si rese conto che era quasi in pari con il programma. Insieme, in quella vita solitaria e isolata, erano riusciti a raggiungere tutto ciò che gli altri avevano continuato a fare all’esterno.
“Ci siamo trovati catapultati in una realtà diversa nel giro di pochissimi giorni. Questa è un’esperienza che lascerà il segno a livello umano e didattico. Di difficoltà ce ne sono molte, a livello disciplinare e anche per l’impegno che la didattica a distanza comporta nella necessità di dover instaurare nuovi rapporti con le famiglie e gli studenti.
La modalità che abbiamo organizzato è una video-lezione ogni giorno. Il computer è chiaramente un mezzo diverso per il rapporto emotivo rispetto al contatto fisico a cui siamo abituati. Questo cambia le dinamiche relazionali e ci ha portato a fare nuove scoperte.
Che cosa possiamo osservare? Siamo tutti insieme, ma l’effetto va anche in direzione del rapporto uno a uno. In alcuni casi gli studenti, soprattutto qualcuno facile a distrarsi o con qualche difficoltà nel mantenere la concentrazione, ha raccontato di percepire l’insegnante in una modalità più confidenziale, come unico per lui.
Una relazione di vicinanza.
Mi sarei aspettata una distanza. Davanti ho solo il freddo schermo del computer, invece no. Attraverso la webcam ognuno entra nella casa dell’altro e questo non è un fattore da poco. Io sono entrata a casa dei miei studenti e loro nella mia: abbiamo visto le nostre cucine, gli studi e gli angoli di una camera aggiustata per l’occasione, giorno dopo giorno. Abbiamo visto la nostra umanità. I luoghi del nostro vivere quotidiano.
Questo cambia i rapporti. Al di là della difficoltà dovuta al mezzo e all’impegno richiesto da un’attività come questa, al di là dalla situazione critica che ci siamo trovati all’improvviso a vivere, quello che stiamo sperimentando è un nuovo modo di entrare in relazione.
Lo studio è importante e i programmi rendono impegnativa l’attività. D’altra parte la fascia con cui quotidianamente mi confronto vive un’età particolare: in questo momento i ragazzi respirano l’anomalia del periodo e in generale hanno fame di relazioni. Fra i ruoli che riveste, la scuola ha la funzione di un luogo che permette loro di stare insieme. Il lato negativo delle relazioni può svilupparsi anche nel rapporto umano classico, fra studenti e studenti, o fra insegnante e studenti.
Oggi, lentamente, stiamo sempre più facendo riferimento a una didattica che si serve di video e immagini. Usciremo un po’ tutti cambiati da questa esperienza.
Uno dei vantaggi da non perdere? Alcune metodologie, per anni ignorate, potrebbero essere molto più sfruttate.
Quello che in queste settimane mi ha stupito è vedere che in alcuni casi chi a scuola si trovava più in difficoltà online ha dimostrato una grande apertura, coivolgimento e concentrazione. Viceversa, alcuni più disinvolti hanno scoperto di sentirsi imbarazzati.
Una cosa è certa. Il metodo della didattica a distanza si basa molto sulla responsabilità dello studente. Chi riesce ad autoregolarsi ti segue; per chi è difficile ritagliarsi uno spazio, fisico o mentale, risulta tutto più faticoso. In questo la famiglia fa naturalmente la differenza, sia nei termini di una disponibilità a livello mentale, sia per quanto riguarda l’organizzazione pratica degli spazi.
In questo senso per agevolare tutti abbiamo cercato di proporre orari più elastici, consapevoli che anche le attività devono tener conto del fatto che siamo tutti a casa e che, quindi, si tratta di una situazione eccezionale ritagliata dal contesto quotidiano. Naturalmente spiegare in presenza, essere immersi nella propria classe, possiede un’efficacia maggiore che non una telecamera, ma in certi casi il fatto di non sentirsi osservati dai compagni e quindi, anche meno giudicati, insieme alla sensazione di un’attenzione personalizzata ha contribuito a risultati nuovi”
Pia Fucà, docente di matematica e scienze
Album di famiglia in quarantena
Creare ponti nella distanza
Dare compiti e pensare che un genitore sappia o debba saper spiegare la lezione non è la stessa cosa che trasmettere e spiegare, per questo personalmente cogliamo l’occasione per fermarci e vedere l’impegno degli insegnanti di tutta Italia che, pur con le difficoltà del caso, hanno provato ad accendere quel collegamento, tecnologico e dell’anima, usare un computer e Google in modo nuovo, studiare come fare, trovare un modo per passare il sapere, ritrovare lo sguardo di tutti, cercare di tenere viva l’attenzione e creare una routine giornaliera o almeno provarci.
Guardiamo verso le scuole abitate da presidi e docenti entusiasti. Facciamo caso, magari prendendo un pizzico di ispirazione, ai genitori che non si sono tirati indietro e hanno trovato un modo per svuotare un angolo, della casa e della mente, preparare lo spazio, esserci laddove serviva una guida, dare una mano e poi, quando serve, lasciare la privacy ai figli e agli insegnanti, far presto a chiudere la porta per sparire nell’anonimato di un’altra stanza. Osserviamo, con un grazie dal cuore, i piccoli, i bambini e i ragazzi, perché fra noi, sono sempre quelli che per primi non temono le novità e si lanciano nell’ignoto, soprattutto non temono il nuovo quando anche noi adulti sappiamo essere di supporto.
Certo mancano le occhiate furtive tra i banchi, la cartaccia da appallottolare e gli amici del cuore che senza di loro la scuola non è la stessa; manca sbirciare fuori dalla finestra guardando il mondo fuori con nostalgia, le feste di compleanno insieme e l’intervallo, forse da sempre una delle parti migliori della giornata. Lo sappiamo, vedersi e toccarsi non ha prezzo. Eppure siamo qui, a vivere questo periodo strano e diverso che qualcosa ci lascerà, qualcosa ci sta già insegnando.
Torneremo ad abbracciarci, ha scritto Enrico Battisti, il preside (ops, adesso si dice dirigente scolastico) dell’Istituto Comprensivo Ceretolo di Casalecchio di Reno, Bologna. Torneremo a fare lezioni sui banchi di scuola e magari persino all’aria aperta, perché ora abbiamo capito quanto sia importante e quanto ci manca. Torneremo a sederci fianco a fianco, riempire di urla e disegni i corridoi ma, forse, da adesso sappiamo che il contatto può accadere anche (non solo, ma anche) attraverso uno schermo. Perché fare scuola può accadere, ovunque, come ci ricorda l’antica saggezza dei greci e dei latini. Alle radici della nostra cultura (ri)troviamo la virtualità, un concetto antico dell’apprendimento che siamo noi a dover riscoprire, noi che ci crediamo i moderni.
E allora non posso non pensare ai bambini in ospedale, alle impazzite chat dei genitori che si riempiono di messaggi confusi in due giorni di assenza per un’influenza, a tutti i casi in cui una persona, per condizioni esterne o di salute, per un periodo debba stare altrove: adesso sappiamo che ci sono modi in cui possiamo rimanere connessi, lasciarci messaggi con le cose da fare, commentare e commentarci, vederci, parlare, ascoltare una spiegazione. Usiamoli senza timore che il cambiamento ci sconvolga la vita. È accaduto in molte, tutte, le epoche. Il cambiamento ci sconvolge, sì: uccide i nostri schemi di pensiero e le abitudini, ci lascia confusi e inerti. Ci travolge e sommerge.
Poi, alla fine, ci trasforma. Dagli ostacoli della vita nascono nuove opportunità.
E insieme al nuovo noi rinasciamo, più forti di prima.
“Sono voluta partire solo nel momento in cui ci sono stati tutti i ragazzi. La prima settimana tramite il registro elettronico e Classroom abbiamo iniziato con l’invio di materiali per il ripasso e il consolidamento. Visto che la situazione si prolungava, non poteva bastare e anche per questo abbiamo deciso per avviare un contatto diretto con i ragazzi. Per quanto riguarda le risorse, oggi tutti i ragazzi possiedono dispositivi mobili in grado di funzionare come supporto per le video-chiamate, attuate con Meet: smartphone, o tablet o computer.
Il problema più grande riguarda i ragazzi che già erano difficilmente presenti a scuola: a distanza il rischio è ancora più presente, perché, inutile dirlo, molto fa la famiglia. Quando una persona è a rischio dispersione scolastica, ci sono casi in cui i servizi sociali tentano di contattare le famiglie, ma sono i genitori stessi a essere assenti, non rispondere al telefono o evitare il confronto. Per chi ha questo tipo di difficoltà e vive in una casa che non facilita, né supporta lo studio, la distanza può diventare ancora più grande.
La risposta nella mia classe è stata positiva. Sono tutti presenti e, devo dirlo… molto puntuali!
A dire il vero non mi aspettavo di ottenere facilmente l’attenzione dei ragazzi. Anche in classe non sempre è semplice riuscire a essere ascoltati e coinvolgere, soprattutto con i caratteri più forti e autonomi. Inoltre, mi sarei aspettata che online il caos fosse dietro l’angolo, anche per l’età: rispondere rimanendo in attesa del proprio turno non è facile per nessuno. Invece adesso noto che i tempi di risposta si allungano. Ci aspettiamo di più. Ognuno lascia una pausa che consente agli altri, e alla linea, di entrare nella discussione senza sovrapporsi E SE QUESTO AVVIENE LASCIA LA PAROLA ALL’ALTRO. Stiamo imparando a usare meglio il mezzo tecnologico e stiamo anche imparando a relazionarci in modo nuovo. Incredibilmente, è migliorata la disciplina.
L’esperienza di queste settimane di didattica a distanza sta rendendo i ragazzi più responsabili.
Questa mattina, per esempio, abbiamo fatto un tema. La consegna è stata tramite Classroom e poi abbiamo attivato la modalità Meet per permettere la visione di tutta la classe. Mi sono fermata a dare qualche indicazioni e spiegare le tracce. Qualcuno è intervenuto per ulteriori richieste chiarimento, a cui ho risposto.
Poi uno studente, una persona che a dire il vero non mi sarei mai aspettata, ha domandato il silenzio.
Altrimenti non riesco a concentrarmi.
Disciplina, responsabilità e maturità, questo è quello che stanno dimostrano. Perché ci vuole autodisciplina e maturità per seguire una routine, organizzarsi anche da casa, tenere alta la concentrazione. Ecco, i miei studenti si collegano in orario, chiedono informazioni, sono solleciti, risultano preparati anche nelle interrogazioni.
Diventare adulti significa anche questo: diventare responsabili di se stessi.
Inoltre, con la didattica a distanza è possibile stabilire appuntamenti diversi con gruppi di alunni e non solo far lezione a tutta la classe come ci obbliga la didattica in presenza. Gli alunni con lacune, oppure quelli con bisogni educativi speciali (BES), o anche quelli con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) possono usufruire non solo di misure dispensative e compensative, ma anche di momenti a loro dedicati attraverso un approccio più specifico. Cerco, in questo particolare periodo, di prestare ancora più attenzione ad una didattica inclusiva a distanza”
Rita Rossi, docente
Alcuni dei disegni creati dai bambini della stanza gialla, scuola Infanzia Arcobaleno, durante l’esperimento di didattica a distanza in questo periodo di quarantena
Il cambiamento è immaginare nuove risposte
Un caso interessante dell’Istituto Comprensivo Ceretolo di Casalecchio di Reno, Bologna, è rappresentato dalla storia di didattica a distanza dei piccolissimi della materna, perché grazie all’entusiasmo di alcune insegnanti anche lì è stato sperimentato un modo per sentirsi più vicini grazie ai dispositivi tecnologici già noti nelle altre classi.
È stata la prima volta ed ha segnato un inizio che sarà argomento di riflessione per il futuro. Nessuno desidera sostituire la presenza con la didattica in remoto. Qualcuno di noi pensa di poter fare a meno del contatto umano? No, tuttavia esistono contesti storici, sociali e di vita che ci impongono di pensare in maniera nuova.
“La scuola dell’infanzia è la scuola della socializzazione. In questa fase l’apprendimento avviene attraverso il gioco e la relazione, quindi quando è venuta meno la sua realtà abbiamo fatto una riflessione su quello che potevamo fare. Per questo abbiamo deciso di creare dei momenti di vicinanza: far sentire che noi insegnanti non eravamo sparite.
A una famiglia che conosco è capitato questo. I bambini non vedendo più le loro maestre hanno pensato che… fossero morte! La cosa può far sorridere, ma in realtà riguarda le emozioni profonde di un bambino che ha una routine basata sulla vicinanza ai suoi compagni, alle maestre e alla scuola, vissuta come spazio di gioco, apprendimento e relazione. E poi bisogna ammetterlo… non erano solo loro a sentirsi soli. Mancava anche a noi non vedere con quelle piccole pesti! Per questo abbiamo escogitato nuove soluzioni.
All’inizio abbiamo pensato di creare un audio di saluto, che mandavamo ai rappresentanti di classe, i quali a loro volta lo diffondevano ai genitori. Devo dire che i rappresentanti di classe hanno dato un apporto fondamentali e hanno agito da forti collanti. In questo caso la chat dei genitori ha assolto una funzione utile e si è rivelata importante per la comunicazione. Ma non ci bastava. Continuavamo a percepire una distanza destinata a diventare più grande ogni giorno. Ci siamo chieste: che cosa possiamo fare per recuperare almeno in parte la sensazione di vicinanza e intimità che di solito descrive le nostre giornate?
Avevamo già un blog di sezione: è una piattaforma che utilizziamo in modalità privata per documentare alcune attività o consegnare ai genitori le fotografie, per esempio in occasione di gite e visite d’istruzione. Abbiamo in parte convertito il blog a un nuovo utilizzo trasformandolo in un recipiente, sia di proposte nostre ai bambini, sia come contenitore delle esperienze dei piccoli. È chiaro che in una fascia d’età come questa i genitori rimangono i tramiti senza i quali nulla è possibile: la loro risposta è stata meravigliosa, piena di entusiasmo.
Abbiamo iniziato con i disegni, che i bambini facevano e i genitori ci inviano per immagini via mail e che poi noi caricavamo. Il blog è diventato un contenitore di memoria.
Eppure, avevamo ancora la sensazione che mancasse qualcosa. Abbiamo deciso di attuare un’indagine fra le famiglie per sapere se potevano essere interessate a rimanere in contatto con noi tramite altri strumenti. Naturalmente abbiamo pensato a un’indagine in forma riservata, perché non volevamo si sentissero in qualche modo obbligati a partecipare. Per questo si è evitato chat come WhatsApp per adottare la soluzione di un questionario in forma anonima tramite un modulo Google. In realtà tutte le risposte che abbiamo ricevuto sono state entusiasmanti; i bambini avevano voglia di un contatto più diretto con la classe e i genitori erano pronti a sostenerci e seguire i figli in questa avventura.
Come scuola eravamo già in possesso della piattaforma Google Suite. Abbiamo richiesto gli accessi anche noi della materna, nonostante di norma questi strumenti vengano utilizzati a partite dalla primaria. Naturalmente si è trattato di una modalità di accesso semplificata: è stato aperto un corso su Classroom utilizzando solo la funzione stream. Questo ci ha permesso di utilizzare un altro contenitore in cui raccogliere le esperienze dei bambini e, cosa non secondaria, relazionarci con un coinvolgimento maggiore.
All’inizio i bambini, con il supporto dei genitori, caricavano disegni e noi commentavamo. Gradualmente, i bambini, insieme agli adulti, hanno iniziato a osservare i loro lavori reciprocamente. Hanno iniziato a lasciare commenti, piccoli pensieri per i compagni, esclamazioni. Ora ci accorgiamo che sempre più hanno preso, e prendono ogni giorno, dimestichezza. E conquistano autonomia, indipendenza.
Sono i bimbi, attraverso la mano scrivente del genitore, a commentare i video e i lavori dei compagni. Quella che si sta creando è una sorta di galleria d’arte e creatività virtuale.
Dopo un po’ non bastava neanche Classroom: avevamo tutti voglia di vederci. Mancava il ridere insieme, gli sguardi, le voci. Per questo, siamo passati a Meet. È un bisogno anche nostro quello di vederli e sono entusiasta di vedere il loro comportamento cambiare.
Al primo incontro abbiamo invitato tutti e venti i bambini. C’era un po’ di ansia, come sempre quando ci si deve connettere per una video-chiamata… tanto più se davanti a una classe di venti. Con i genitori ci eravamo scambiati alcuni messaggi nel caso qualcosa fosse andato storto. Si sa, in questi casi può esserci la linea che cade, uno smartphone che finisce i giga o le batterie: succede! Ma un bambino piccolo può rimanerci davvero male e non volevamo che questo accadesse.
È stato un successo. Divertente e coinvolgente, una magia.
Adesso quando entriamo in Meet tutti insieme loro sanno che i microfoni devono essere spenti. Iniziamo noi insegnanti leggendo una storia, una legge e l’altra guarda lo schermo dove – è meraviglioso – riusciamo a vedere tutta la classe al completo. Un po’ come se fossimo davvero tutti insieme.
Poi chiamiamo ognuno di loro per nome e la vera emozione è vedere questi bambini di pochi anni che hanno anche imparato a accendersi da soli il microfono, adesso lo sanno fare senza l’aiuto dei genitori.
Dopo il successo del primo Meet abbiamo iniziato a pensare in piccoli gruppi: cinque bambini per volta, due volte alla settimana. I genitori sono vicini, ma in disparte, senza suggerire in modo che ogni bambino sia libero di intervenire, domandare, rispondere. L’adulto semplicemente accompagna l’esperienza in silenzio.
Abbiamo riadattato la programmazione pianificata a settembre all’inizio dell’anno.
Soprattutto, abbiamo cercato di ristabilire delle routine.
Il venerdì era il giorno del libro della scuola, che veniva letto insieme ai genitori durante il week end e riportato a scuola il lunedì. Adesso il venerdì è il giorno in cui si legge una storia e la cosa emozionante è che sta diventando un’attività che coinvolge tutti perché spesso all’ascolto si uniscono fratelli e sorelle più grandi, i genitori.
A scuola la mattina facevamo il calendario, che era visivo, appeso al muro con i giorni della settimana in colori diversi. Adesso facciamo l’appello e abbiamo cercato un modo per fare lo stesso il calendario: un bambino a turno fa l’assistente. Domani che giorno sarà, che giorno era ieri? Che tempo fa oggi?
Nei Meet siamo sempre in due, una condivide schermo con bambini, l’altra mostra l’attività da fare gioco e quindi l’interfaccia. Grazie a Meet abbiamo la possibilità di vederci tutti: è stata un’emozione ed è un modo per fare gruppo.
Naturalmente molto dipende dai genitori, soprattutto quando i figli sono piccoli. Alcune colleghe si sono inventate altre modi per creare un contatto con i bambini e i genitori, soprattutto quando una famiglia si mostra più in difficoltà o se ci sono barriere linguistiche. In questi casi può funzionare una didattica a distanza più personalizzata, oppure dedicare ogni giorno a un bambino. Ma non dobbiamo credere che siano solo i bambini di famiglie disagiate quelli più difficili da raggiungere. Alcuni genitori non desiderano essere coinvolti, ritengono che sia superfluo o inutili: per tanti motivi semplicemente non sono disponibili.
Sul Meet la nostra regola è che il microfono di gruppo è rigorosamente spento, viceversa nella modalità di collegamento in piccoli gruppi il microfono è acceso. Nella parte finale del Meet di gruppo ogni bambino prende la parola e risponde al suo nome: all’inizio era il genitore a intervenire e accendere il microfono. Ora sono loro a farlo. Sembra banale, eppure è un esercizio di coordinazione occhio-mano fondamentale. Hanno imparato a usare il mouse, le cuffie e il microfono. È meraviglioso vedere i loro progressi.
Dopo tutto non è che questo che deve insegnare la scuola dell’infanzia? Imparo a vestirmi da solo, allacciarmi le scarpe, imparo i piccoli gesti che fanno la mia indipendenza: la scuola dell’infanzia è la scuola dell’autonomia.
Le nuove tecnologie anche alla scuola dell’infanzia sono uno stimolo per farsi domande. Che cosa può essere d’ispirazione per i piccoli? Sarebbe bello che da questa esperienza nascesse una continuità, perché questo può rivelarsi una crisi: un acceleratore del cambiamento. L’auspicio è che questi strumenti possano trovare un’integrazione con la didattica in presenza e, una volta tornati alle nostre vecchie aule, rendere l’apprendimento ancora più ricco”
Miriam Migliori e Rosa Anna Avitabile, docenti di scuola dell’infanzia
La parola a…
Enrico Battisti, dirigente scolastico
“Noi siamo stati fra le prime scuole ad attivarci con la didattica online. Avevamo già la piattaforma Google Suite attiva per tutti gli alunni e per i docenti, ma prima dell’emergenza non veniva utilizzata con tutte le sue potenzialità. Nel giro di dieci giorni la piattaforma è stata estesa a tutti gli ordini di scuola del primo ciclo di istruzione presenti nel nostro istituto.
Devo dire che la nostra tempestività nell’attivazione della didattica online è stata resa possibile anche grazie all’intervento di un papà, Gabriele Santomaggio, Senior Software Developer in SUSE, che si è immediatamente offerto per dare una mano e ha messo a disposizione gratuitamente le sue competenze collaborando con la nostra animatrice digitale, Rossella Pagano.
La piattaforma Classroom è stata resa disponibile a tutte le classi. L’obiettivo? Veicolare contenuti didattici e non solo. Il tentativo è stato fatto per sfruttare le tecnologie in modo da andare a colmare un vuoto che oggi si evidenzia soprattutto a livello emotivo e, soprattutto per quanto riguarda i bambini più piccoli, sostenere un punto di vista empatico e relazionale.
So di aver chiesto molto alle docenti e ai docenti, ma la risposta non si è fatta attendere ed è stata ricca di entusiasmo e coinvolgente, anche da parte degli insegnanti che in tempi rapidi hanno deciso di imparare una piattaforma che non avevano mai utilizzato prima. Abbiamo ritenuto fondamentale, in un momento di emergenza come questo, lavorare anche solo per far sentire la nostra voce: stabilire un contatto umano, che per gli studenti costituisce un ponte di collegamento con quella che fino a qualche settimana fa rappresentava la normale routine quotidiana. La risposta dei docenti è stata straordinaria: hanno fatto fronte comune, sono stati capaci di recepire e affrontare i bisogni del momento. Devo dire che è stato straordinario aver riempito un vuoto giornaliero grazie a videoconferenze capaci di puntare anche al piano emotivo.
Per quanto riguarda la prima e la seconda elementare abbiamo calendarizzato appuntamenti grazie all’aiuto genitori. Crescendo, i ragazzi hanno più autonomia. In terza e quarta all’aspetto relazionale si aggiunge la necessità di un’attenzione mirata verso la didattica: lo strumento delle videoconferenze e classroom sta cercando di colmare anche il vuoto informativo. Le classi della secondaria di I grado al momento hanno una sorta di diario settimanale. Le giornate sono costruite con spiegazioni, compiti, interrogazioni, nel tentativo, che sappiamo non facile, di creare un’ordinarietà anche nella didattica a distanza e dare ai ragazzi la possibilità di una routine, pur in un periodo di emergenza come quello che stiamo vivendo.
Certamente l’impegno richiesto alle famiglie è notevole e di questo dobbiamo ringraziare i genitori, che nella nostra scuola hanno dimostrato una grande apertura nell’affrontare la necessità dell’oggi, imparare strumenti nuovi a livello tecnologico e costruire un ponte di dialogo fra scuola e figli. Un ringraziamento particolare va all’impegno dell’associazione genitori Ceretolo che, supportando la scuola con co-finanziamenti ingenti, sta permettendo alle famiglie più in difficoltà di superare il gap di “digital divide”, ma anche al DSGA, al personale ATA e tutti i collaboratori scolastici che, in prima linea, tengono aperta la scuola per consegnare i nostri computer in comodato d’uso agli alunni che ne hanno bisogno. Insomma un vero esempio di comunità educante.
Da un punto di vista emotivo mi sta piacendo molto il fatto che le famiglie sentono vicinanza con la scuola, perché la scuola deve coprire il vuoto quotidiano, è chiamata a farlo. E poi ci sono le sorprese inaspettate, come ragazzi che in dinamiche scolastiche di “normalità” erano poco partecipi e attivi e che invece con la didattica a distanza si sono dimostrati esattamente il contrario”.
In questo periodo all’Istituto Comprensivo Ceretolo di Casalecchio di Reno, Bologna, sta per partire un altro progetto: Adotta un nonno… al telefono, sostenuto (oserei dire, ispirato) dall’entusiasmo di alcuni genitori e coordinato da Rita Rossi, docente.
“Credo che il ruolo che possono svolgere le tecnologie sia di coprire le distanze, raggiungere le persone più sole, come gli anziani, e aiutarle a sentirsi meno sole. Due generazioni, i giovanissimi che vivono la noia della quotidianità e gli anziani che vivono la noia dell’abbandono e della solitudine, attraverso un contatto possono diventare più vicini e affrontare il vuoto di queste giornate. Dietro al progetto “Adotta un nonno” c’è l’idea che i ragazzi possano usare la tecnologia per sentirsi utili e non soltanto in modo passivo. Passata l’euforia iniziale, infatti, anche la didattica onine diventa in breve ordinaria, di routine. In poco tempo, insieme alla stanchezza per una novità che è già abitudine, subentra il rischio di subire passivamente tecnologia. Al contrario, il messaggio che come scuola desideriamo dare ai ragazzi è: siete anche voi partecipi di questo momento storico. Potete essere fautori di un cambiamento e intervenire nel cambiamento di una persona, voi stessi e gli gli altri”.
Il 25 marzo 2020 il dirigente scolastico ha diffuso sul sito dell’Istituto Comprensivo Ceretolo una circolare che è diventata tam tam fra scuola e famiglia. Torneremo ad abbracciarci.
Ho pensato, allora, di raccogliere nella pagina collegata a questo link quanto di bello stiamo ancora riuscendo a produrre in questo pur difficile momento.
Una sorta di “diario” work in progress in cui inserire disegni, pensieri, messaggi vocali e, perchè no?, messaggi video per chi vorrà… semplicemente come ricordo di questo periodo che ci obbliga a vederci solo in video e a non poter vivere le nostre giornate con i nostri amici, i nostri alunni, i nostri affetti.
Credo di esprimere il pensiero di molti se dico che spero che questo periodo passi quanto prima, ma mi sento anche di dire che tutto passa e anche questo momento sarà solo un ricordo da dimenticare e noi torneremo ad abbracciarci… e sarà bellissimo.
IL DIRIGENTE SCOLASTICO
Prof. Enrico Battisti
Tecnologia e didattica a distanza
Questa primavera in quarantena è stata anche questo, a quanto pare: (ri)scoperta della tecnologia e di un suo utilizzo differente, forse persino più consapevole anche sui social. Nascono nuovi modi per ritrovarsi, dalle lezioni di yoga e meditazione agli aperitivi online per condividere l’happy hour con gli amici anche a distanza. Una delle piattaforme più utilizzate è Zoom, anche se proprio in questi giorni anche Facebook lancia la possibilità di creare stanze virtuali dove incontrarsi, vedersi, chiacchierare. Uniti attraverso la distanza.
E poi ovviamente c’è la scuola. Per fortuna o sbuffando, sono stati loro, docenti, studenti e genitori alle prese con un anno scolastico drasticamente interrotto a dover cavalcare l’onda del cambiamento, con coraggio e non senza qualche difficoltà. Una delle piattaforme più utilizzare nel settore scolastico è Gsuite, servizio offerto da Google che sostalzialmente si suddivide in due strumenti: Classrom, utile per assegnare e correggere compiti, e Meet, con cui lanciare alla classe o ai singoli elementi un collegamento in modo da agire in videoconferenza tramite una video-call. Con Classroom è possibile visualizzare i compiti da fare a casa, caricare gli esercizi fatti e completare con correzioni e commenti.
“Il Servizio Marconi è l’unità operativa regionale che per l’Ufficio Scolastico Regionale segue le azioni del Piano Nazionale Scuola Digitale e coordina le attività di formazione dei docenti in tema di innovazione digitale nella didattica. In questi anni ha dato supporto non solo a noi Animatori Digitali sulla Gsuite, ma anche alle scuole dandoci così la possibilità “oggi” di poter affrontare questo periodo di emergenza.
Con il Dm dicembre – 2014 – n. 912 il Servizio Marconi è elemento costituente l’Ufficio III dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna, e si occupa di tecnologie per la didattica. “Il Servizio si occupa del supporto all’Ufficio ed alle Istituzione Scolastiche della regione sulle problematiche connesse alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con particolare riguardo al tema dell’indispensabile innovazione della didattica e delle modalità d’azione quando le tecnologie entrano in classe o più in generale nel lavoro quotidiano”.
In primo luogo, la didattica a distanza rappresenta, in questo contesto di emergenza sanitaria in ci troviamo, l’unica possibilità di dare continuità all’apprendimento e salvare il percorso formativo ed educativo fino ad ora intrapreso con gli alunni. In questo periodo di sperimentazione forzata, ho compreso che, la didattica a distanza, rappresenta un arricchimento professionale, ma al contempo un’esperienza complessa che, per certi versi, risulta più impegnativa delle lezioni in presenza.
La lezione on-line con gli studenti, infatti, richiedono un impegno maggiore anche in considerazione del fatto che, per mantenere alto l’interesse e l’attenzione all’attività didattica, occorre grande creatività e l’acquisizione di materiale, didattico, anche in rete, da reperire preventivamente.
I docenti, inoltre, in questa fase hanno anche hanno anche il compito di responsabilizzare i propri alunni e talvolta di calmare le loro angosce, che, dopo un così lungo periodo, inevitabilmente si fanno sentire.
Un’ulteriore problematica riguarda anche le modalità di organizzazione delle lezioni, dovendo, in primis, garantire a tutte le famiglie, la dotazione di un pc, non solo alle famiglie che ne erano sprovviste, ma altresì a quelle il cui dispositivo era già utilizzato da altri figli o per lo svolgimento dell’attività in smart-working da parte dei genitori. A tal proposito, l’Istituto è intervenuto prontamente, mettendo prontamente a disposizione dei richiedenti il dispositivo necessario a garantire la possibilità di seguire le lezioni.
In conclusione la didattica distanza adesso è l’unico valido strumento che per fortuna abbiamo a disposizione per mantenere il rapporto con gli alunni e mandare avanti il lavoro di istruzione e formazione. Ovviamente non si tratta di superare l’istituzione scuola, che è e rimane essenziale nell’organizzazione della vita sociale, ma questa esperienza insegna che si può contribuire allo sviluppo della cultura anche al di fuori di essa, basta farne buon uso, nella piena consapevolezza che nessun sistema può sostituire il rapporto umano e diretto con gli studenti”
Rossella Pagano, docente e Animatore digitale Ic Ceretolo
La parola a… un papà
Gabriele Santomaggio, Senior Software Developer in SUSE
“Sono un volontario da un paio di anni. Grazie all’azienda in cui lavoro, SUSE, compagnia che progetta sotware, ogni mese ho la possibilità di svolgere alcune ore di volontariato, pagato. Organizzo corsi di informatica e tecnologia diretti ai bambini e docenti; uno tenuto di recente ha avuto come argomento il dark web. Quello che penso è che certe cose non sia sufficiente proibirle: bisogna conoscerle. Mettere la testa sotto la sabbia e fingere che non esistano non ci proteggerà dai pericoli. Appena è iniziata la chiusura della scuola ho scritto al preside per rendermi disponibile e dare il mio aiuto. Quello che ho fatto è stato aiutare a configurare le piattaforme in modo da rendere accessibile a docenti e genitori la possibilità di lezioni in video e di utilizzo di classroom, servizio per il quale è necessario un accesso dedicato a ogni studente.
Innanzitutto abbiamo importato tutti gli studenti. Tramite l’importazione massiva in un giorno siamo riusciti a inserire tutto il database e far avere a tutti gli alunni mail dedicata e password. Al momento in rete sono disponibili diversi strumenti per la didattica a distanza: uno dei più utilizzati è la piattaforma Google Suite, servizio sviluppato da Google che fino a luglio sarà fornito gratuitamente a causa del particolare momento di emergenza. Il primo problema da affrontare con la didattica a distanza è il set up. Questo significa creare un account scolastico per ogni alunno: il primo passo è stato, quindi, inserire i dati di ognuno abbinando una mail dedicata.
Il secondo? Scrivere una documentazione ad uso di docenti e famiglie in modo da agevolare la comprensione degli strumenti, dalle operazioni più semplici, come accedere e cambiare password, ai consigli sulle cose da sapere per l’utilizzo delle piattaforme. Terzo passo, alcuni genitori e docenti hanno scritto un po’ di manuali sull’utilizzo della piattaforma. La scuola ha creato una serie di moduli google per rispondere ai problemi tecnici delle famiglie. Il quarto passo è stato organizzare dei corsi. Sono state organizzate delle mini sessioni serali per spiegare come funziona la piattaforma e per rispondere alle domande comuni. È necessario, infatti, sviluppare delle linee guida in modo da utilizzare la piattaforma tutti allo stesso modo.
Classroom e Meet fanno parte di Google Suite, una piattaforma generica a pagamento che può essere potenzialmente applicata a qualsiasi contesto, dalla scuola ma non solo. In realtà potrebbe essere applicata anche a un’associazione culturale o tutti coloro che, al presente o in futuro, siano potenzialmente interessati a un progetto di insegnamento online. Al momento le resistenze sono ancora molte. Ci sono docenti che ancora troppo spesso per le comunicazioni quotidiane utilizzano il formato mail o addirittura WhatsApp, senza comprendere che questi strumenti in realtà fanno perdere più tempo.
Tecnologicamente è da tempo che abbiamo questi mezzi, ma ora l’emergenza ci sta costringendo a pensare ciò che fino adesso abbiamo potuto rimandare. Come ha scritto qualcuno, dall’esperienza del Covid-19 l’Italia uscirà forse devastata economicamente, ma avanzata d’un balzo tecnologico di vent’anni perché nel giro del poco tempo che abbiamo avuto a disposizione abbiamo già iniziato a sovvertire molte delle nostre abitudini e logiche finora utilizzate nel web”.
Il libro di Maurice Maeterlinck, Premio Nobel per la Letteratura nel 1911, poeta e drammaturgo, noto come La vie des abeilles, La vita delle api, viene pubblicato nel 1901. A questo seguiranno La vita delle termiti, del 1926, basato (copiato? secondo alcuni) dallo scienziato sudafricano Eugène Marais e La vita delle formiche, 1930. È un successo immediato.
Api operaie e api guerriere, una regina, la città in miniatura dell’alveare: quello narrato è il complesso spettacolo di un mondo intero che va in scena con la sua complessa e mistica ritualità, immerso in una scenografia di colori e profumi, inebriante e dinamica, profondamente sconosciuto nella sua sottile perfezione. Fino al Settecento si credeva che ci fosse un re a capo delle api, invece questo è un esempio di società matriarcale.
La nascita dell’apicoltura
10mila anni fa, nel 9000 a.C, una mano sconosciuta ha inciso sulla roccia delle Cuevas de la Araña quella che sarà considerata la prima testimonianza nella storia della raccolta di miele. L’inizio dell’arte misteriosa che nei secoli diventerà l’apicoltura è un’attività di cui non conosciamo l’origine: nata insieme all’uomo, già nella cultura della Grecia arcarca e, prima ancora, fra gli Egizi se ne parla.
Nella Cuevas de la Araña, la grotta del ragno, un essere umano sembra infilare un braccio in un favo, mentre le api volano intorno. È il più antico frammento di storia delle api giunto fino a noi.
In Africa la tradizione insegnava al cacciatore di miele a mettersi sulle tracce dell’Indicator Indicator, un piccolo uccello scuro noto come indicatore golanera, diffuso nell’Africa subsahariana, ghiotto di larve. L’indicatore ci conduce ai nidi delle api selvatiche, spesso appesi fra i rami di un albero, nella fitta trama della vegetazione.
Non sappiamo quando iniziano ad essere utilizzate le arnie. Attraverso il lavoro di scavo l’archeologia ci racconta di tracce che risalgono ad almeno tre-quattromila anni fa. Questa è la datazione attribuita alle arnie trovate nell’antica città di Tel Rehov, in Palestina, dove sono state scoperte 30 arnie posizionate in fila per la produzione del miele, realizzate in argilla cruda e paglia.
Il fumo simula il pericolo di incendio e al tempo stesso maschera il feromone che le api rilasciano come avvertimento nel caso di intrusi: questo metodo veniva già utilizzato nell’antico Egitto, come riportato nelle iscrizioni del tempio solare di Nyuserra Ini, dove si illustra la raccolta del miele selvatico e l’impiego del fumo, utile per avere il margine di tempo necessario, venti minuti circa, per poter avvicinarsi alle api senza essere attaccati.
Per la lavorazione del miele nel Medioevo venivano utilizzati tronchi cavi e cesti di vimini. Verso la fine del Settecento si inizia a utilizzare l’arnia nella sua concezione moderna, ovvero strutturata a livelli, con uno strato di celle per ogni livello, così da rendere più pratica l’estrazione del miele e limitare i danni nella raccolta.
Cacciatori di miele
Ancora oggi in alcune parti del mondo sopravvive la pratica di raccolta del miele selvatico. Una di queste tradizioni nasce sulle montagne dello Yunnan, fra l’etnìa Yi, una delle 56 riconosciute in Cina. Qui vivono le api selvatiche della specie Apis cerana, diffuse in Cina, Nepal, Giappone, India, Malesia, Papua Nuova Guinea e Bangladesh. Queste api, evolutesi con l’acaro Varroa destructor, sono più resistenti ad esso rispetto alle api occidentali, tuttavia oggi il loro numero è fortemente ridotto a causa dell’intensa importazione di specie provenienti dall’Occidente.
Le api selvatiche dello Yunnan, in Cina, costruiscono piccoli alveari fra le rocce o nei tronchi degli alberi, immersi nella foresta e lontano dai luoghi abitati della città. Non vengono nutrite in alcun modo dall’essere umano, che a volte sfrutta finti tronchi in modo da ricreare un habitat simile a quello offerto dalla natura. Molto resistenti al freddo e alle malattie, producono il miele dello Yunnan, profumato e denso, noto per il sentore intenso di piante medicinali e fiori selvatici. ha profumi intensi di fiori selvatici di montagna e erbe medicinali. Il suo colore è giallo intenso.
Il miele dello Yunnan viene raccolto due volte all’anno, nel periodo primaverile, fra maggio e giugno, poi in autunno, alla fine del mese di ottobre e durante i primi giorni di novembre. Secondo il metodo tradizionale si estrae tutto l’alveare dalla cavità; il nido, quindi viene distrutto: si spreme il favo, per poi filtrare il miele con una garza e versare nei barattoli.
Api, immagini del 1885, Illustrated Dictionary of Gardening – A Practical and Scientific Encyclopedia of Horticulture, George Nicholson
Dalla Cina all’America, le tradizioni del miele
Dall’altra parte del globo un’altra delle antiche tradizioni di raccolta del miele è quella delle popolazioni indigene del Chaco. Ingrediente della chicha, delle feste e dei rituali sciamanici, il miele è altamente nutriente e per questo considerato un alimento prezioso della dieta. Con la coraggiosa vicinanza di chi vive in stretta intimità con la natura, ci si avvicina alle api a mani nude, spaccando il tronco dove si nasconde la dolce materia. Una cannetta ridotto a mo’ di penello viene utilizzata come spatola per assaggiare il miele. Le tradizioni del Chaco narrano che un tempo ci si arrampicava sugli alberi utilizzando corde e una borsa fabbricata con il capiente collo della cicogna jaburu. Con un cuneo o sfruttando le unghie di un formichiere si raschiavano i favi e il miele colava imbevendo una paletta costruita con fibre di hang, Bromelia hieronymi, fino a riempire la borsa. L’eco delle incisioni sulla roccia delle Cuevas de la Araña ritorna.
La pagina Facebook MioMontessori a Lucca nasce per condividere buone pratiche e riflessioni sulla pedagogia Montessori; è stata creata da Tania Campana, maestra Montessori che lavora con i bambini da 0 a 6 anni. In occasione dell’arrivo della primavera, ha proposto un bellissimo lavoro di educazione cosmica sull’apis mellifera. Vuoi condividere l’ispirazione? L’attività “confronta e colora” è di Cocai Design, progetto per la creazione di materiali didattici e di gioco ispirati al metodo Montessori. È possibile trovare online “Ciclo di Vita di un’ape” di Safari con i modellini in resina di larve e pupe (età consigliata 4-15 anni).
“E se i bambini perdono l’anno scolastico…”
E se invece di imparare la matematica e la geografia imparassero a cucinare?
A cucire? A pulire?
A prendersi cura di una pianta?
Se imparassero ad accarezzare più spesso i loro animali domestici e a fare il bagno da soli dall’inizio alla fine?
Se sviluppassero l’immaginazione e dipingessero un quadro?
Se noi genitori insegnassimo loro ad essere persone che si adattano, che i sacrifici esistono?
Se imparassero a stare insieme alla loro famiglia in un modo nuovo, diverso …
Se imparassero queste cose, se noi genitori gli insegnassimo ad apprezzare il poco, l’attesa, la pazienza, ecco forse non ci sarebbe un anno perso ma la conquista di un grande futuro
Eleonora Soligo
Quello che potremmo fare…
è imparare una cosa che non ho mai fatto e
insegnarla ai miei figli.
Colorare distesi sul pavimento.
Usare internet per trovare come cucire un vestito,
ascoltare una favola in streaming
iniziare a fare domande intelligenti a Google
impastare tutti insieme il pane fatto in casa
farci le coccole sul divano
spulciare le vecchie riviste e poi
tagliare le figure per farci un collage.
Guardare le vecchie foto delle vacanze,
scrivere un album con i ricordi di famiglia.
Dipingere un muro dopo averlo disegnato,
piantare semi in tanti vasetti sul davanzale
preparare una crostata per merenda.
Leggere a voce alta un libro,
cercare quotidiani di altre lingue e Paesi,
studiare la geografia andando a cercare vecchie fotografie.
Telefonare a quelli lontani,
fare un puzzle di famiglia,
scoprire che so ancora disegnare
o
posso imparare.
Trasformare il tempo in un’avventura nuova…
Cos’è quello che potremmo fare, in quarantena e nel tempo normale, quando torneremo alla solita routine?
Per non dimenticare ispirazione, consapevolezza, idee.
Per non dimenticare che più dei viaggi quello che ci serve è l’immaginazione per viaggiare e diventare espploratori di questa vita in perenne movimento.
Per non dimenticare che l’educazione non è una cosa che si fa tra i banchi di scuola. Educare è ovunque e in ogni attimo, un modo di vivere il tempo e la famiglia.
Perché si cresce anche quando non pensiamo di farlo, ci si evolve nelle condizioni migliori così come nelle peggiori, anzi spesso sono gli ostacoli ciò che trasformano il viaggio in un’esperienza unica. Dipende da noi l’uso che vogliamo fare del nostro tempo.
Per l’inesauribile creatività dimostrata durante la primavera in quarantena si ringrazia Daniela Falduto, igienista dentale a Busto Arsizio e mamma decisamente ricca di fantasia
Più il tempo davanti a me si accorcia, più quello che sento di dover fare aumenta. Per i miei 80 anni mi sono regalato un futuro: ho fatto un elenco di cose da fare, sto recuperando, leggendo libri su libri. Come se l’ultimo giorno della mia vita fosse il mio esame di maturità: devo arrivarci preparato, devo aver fatto ancora tanti film…
Io vengo da una cultura contadina, dove la morte ha un diritto di cittadinanza che oggi le viene negato, mia zia faceva la vestitrice di morti, il nonno si sceglieva il posto al cimitero davanti al sole…
Io ho paura! Paura che faccia anche male fisico. E poi non so pensarla. Ma frequento i morti: quello che leggo, che ascolto sono opere di chi non c’è più. Come se dovessi andare preparato alla maturità.
Pupi Avati
Dall’intervista di Marina Cappa a Pupi Avati per Vanity Fair, 27 febbraio 2019
Il post è in evoluzione.
Se hai idee su cose che potremmo fare, da soli o in compagnia, aggiungi il tuo pensiero…
Teatro selvatico nasce da un’idea di Isacco Caraccio e Marta Maltese. È un luogo, ma anche un tempo: la dimensione in cui natura e memoria si intrecciano insieme a ispirazione, crescita, emozione. Perché fare teatro è dare corpo all’invisibile e svelare il visibile attraverso uno sguardo rinnovato.
Attraverso training e performance agli adulti vengono proposti percorsi di crescita personale ed espressiva, mentre per bambini e ragazzi dai 4 ai 17 il filo sottile della rete e andare verso nuove ispirazioni, non per sostituire bensì per integrare e arricchire l’incontro umano.
Le Fiabe di Ostara
Le Fiabe di Ostara sono online martedì e sabato tutto il giorno dalle 8 alle 22.
Ostara è Dea celtica ed equinozio di primavera.
L’inverno, duro e lungo, sta ormai svanendo, la Terra si sta svegliando dal suo sonno congelato ed è tempo di gioire della vita. Teatro Selvatico si sgranchisce, tutto si anima.
I tempi per l’uomo sono incerti: la natura riemerge rigogliosa e le famiglie costrette in casa.
Desideriamo offrire una porta d’accesso all’immaginazione, ai sogni, ai miti antichi e lo facciamo a partire dai primi giorni di primavera, connessi ai ritmi che la Natura ci suggerisce.
Rendiamo il terreno fertile per quando potrà avvenire l’incontro.
Quando nasce Teatro selvatico
Teatro Selvatico nasce nel 2018 di ritorno dalla Toscana, dopo due anni di percorsi teatrali nelle scuole per conto del Teatro Stabile di Grosseto. Tornati in Piemonte, la creazione di Teatro Selvatico, è partita da un ascolto di noi come esseri umani e come artisti…
Chi sono io? Cosa mi è naturale? In che contesto desidero far sviluppare la mia arte?
Abbiamo messo a servizio le nostre competenze, i nostri linguaggi, le nostre esperienze e parallelamente abbiamo continuato a formarci artisticamente. Da questi semplici presupposti è partito Teatro Selvatico, ma le domande e le risposte giungono attraverso il tempo e l’esperienza quindi siamo in continuo mutamento.
Con il tempo al collettivo si sono aggiunti nuovi membri e ad oggi Teatro Selvatico si carica di energie dal mondo del circo, teatro, danza, musica, fotografia e meditazione.
Il nostri incontri sono avvenuti quasi tutti durante esperienze teatrali in Toscana, Veneto, Liguria e Piemonte, donandoci l’opportunità di annusarci e conoscerci.
La sede fisica del Teatro Selvatico è immersa nei boschi e si trova nel Cuneese, dove vivono Marta e Isacco. Ad oggi i membri continuano le loro formazioni a Torino, Bologna e Padova. Grazie alla creazione di residenze artistiche temporanee, della durata di una settimana, gli attori si incontrano dando vita alla realizzazione di spettacoli e discussioni sull’andamento dei progetti.
Chi sono?
Isacco Caraccio inizia la sua formazione presso il Social Community Theatre Centre di Torino e presso l’Università del Sociale di Torino. Il suo percorso lo ha quindi portato a scoprire il Teatro Stabile di Grosseto per il quale ha lavorato come operatore teatrale nelle scuole di ogni ordine e grado come operatore specializzato nell’utilizzo di tecniche teatrali nei contesti educativi. I maestri che hanno ispirato e formato la sua identità artistica sono Giovanni Berretta della Compagnia teatrale Ordinesparso di Sarzana, Alessandro Sanmartin del Teatro di Lemming, Alessandro Gatto del Teatro Stabile di Grosseto, Alessandro Bois presso la APM Scuola di alto Perfezionamento teatrale di Saluzzo, Francesca Cinalli e Paolo De Santis della compagniaTecnologia Filosofica di Torino, Sista Bramini e Camilla Dell’Agnola della compagnia O Thiasos Teatro Natura di Roma, Carlo Massari della compagnia C&C company ed Eugenio Barba fondatore dell’Odin Teatret. Ha partecipato ad alcune pellicole cinematografiche: Una questione privata dei fratelli Taviani con Luca Marinelli,Il mangiatore di Pietre di Nicola Bellucci con Luigi Lo Cascio, Alien Food di Giorgio Cugno. Ha lavorato alla realizzazione di alcuni progetti audiovisivi tra cui video-tutorial sul teatro a fini socio-educativi in collaborazione con l’Università di Siena e Unicef teatro. Ha interpretato il soggetto di un videoclip musicale del musicista Bórmanus nel progetto Genius Loci.
Marta Maltese ha una formazione artistica che spazia dal mondo del circo, della danza a quello del teatro.In ambito circense dal 2015 studia la disciplina dell’acrobatica aerea.Si forma nell’ambito del teatro-danza e della danza contemporanea con la danzatrice Francesca Cinalli e con il musicista Paolo De Santis della compagnia Tecnologia Filosofica di Torino. Continua la sua formazione con Giovanni Berretta della compagnia Ordinesparso di Sarzana ed Alessandro Sanmartin del Teatro del Lemming. Altri maestri che hanno segnato il suo percorso artistico sono Sista Bramini e Camilla Dell’Agnola di O Thiasos – Teatro Natura e Domenico Castaldo della compagnia Labperm di Torino. Entra in contatto e si trasferisce in Toscana per il Teatro Stabile di Grosseto portando avanti percorsi formativi nelle scuole primarie di I° e II° grado in qualità di operatrice teatrale specializzata. Collabora con la scuola di danza Opificiodellarte – prodotti espressivi di Biella per la realizzazione di campi estivi teatrali rivolti a bambini. Ha partecipato come attrice alla pellicola cinematografica “Alien Food” del regista Giorgio Cugno e come danzatrice e attrice nel videoclip musicale del musicista Bórmanus nel progetto Genius Loci. Ha inoltre lavorato alla realizzazione di video-tutorial sul teatro educativo in collaborazione con l’Università di Siena e Unicef Teatro.
Le immagini sono state scattate da Davide Comandù, artista e fotografo del gruppo
Il nostro lavoro esplora l’arte teatrale come mezzo attraverso il quale esprimere il profondo legame che esiste fra essere umano e natura.
I nostri progetti si sviluppano prevalentemente nelle aree di performance e di laboratori educativi-esperienziali.
Il fuoco di Teatro Selvatico è il contesto in cui si inserisce: sia le performance sia i laboratori vengono infatti sviluppati in natura, accompagnando lo spettatore/il bambino/la persona che a noi si affida in una dimensione intima e profondamente emotiva, capace di ridisegnare le prospettive con le quali esso si rapporta con l’ambiente e con la parte più profonda del suo stesso essere.
Ci muoviamo e creiamo i nostri progetti attorno al desiderio di un’alternativa concreta alle tendenze di vita diffuse.
Scegliamo la natura come scenario per stimolare un istinto selvatico attento e intuitivo, per affidarsi meno alla mente e più ai sensi.
Al bambino che sono stato racconto questo segreto…
Io al piccolo me del passato direi che la vita ha tanto da mostrare, se hai voglia di guardarla con il giusto paio di occhi. Mi direi che le pietre preziose diventano più pure a forza di incontrarsi e scontrarsi tra loro, e che restando chiuso nella mia cameretta per paura degli altri non potrei mai raggiungere le potenzialità che il mio essere conserva
Alessio Lazzaro, circense di Teatro Selvatico
Febbraio 2020: Matteo Calautti di Teatro Selvatico parte per l’Indonesia insieme a un gruppo di praticanti buddisti discepoli di Lama Gangchen Rinpoche, sotto la guida di Lama Michel Rinpoche. La meta è l’isola di Java a Borobudur.
Borobudur è il nome dello Stupa-mandala considerato tra i più grandi e importanti al mondo, meta di numerosi pellegrinaggi condotti ogni anno da Lama Gangchen in persona e fortemente connessi alla pratica di autoguarigione tantrica con il tempio di Borobudur. Trent’anni fa lama Gangchen in questo luogo ebbe le potenti visioni che diedero vita alla trasmissione dell’antica pratica per come oggi è nota, un complesso di sapere già esistente dall’epoca di Buddha shakyamuni.
Grazie all’associazione “Help In Borobudur” Matteo è entrato in profonda sintonia con la natura del luogo e le persone che ve ne fanno parte. Durante il viaggio ha incontrato artisti come Yoyo, pittore di sogni, e Sony Santhosa, proprietario di un centro culturale pietra autocostruito.
Continuamente ti osservo e affino i miei sensi.
In cerca di segnali, di tracce, fiuto i pericoli delle creature che ti abitano.
Mi fondo con i tuoi prolungamenti pulsanti di vita e mi chiedo in quale luogo risieda il tuo cuore
Goccia dopo goccia il mio sudore scende e si mescola all’acqua del torrente. Vedo la mia fatica entrare e disperdersi in qualcosa di più ampio e direzionato
Ho iniziato teatro alle superiori e per me ha sempre rappresentato lo spazio-tempo in cui partire dal mio essere per indagare, soprattutto attraverso il corpo, nuove dimensioni e stati di presenza.
Finito il liceo ho frequentato un anno di scienze motorie, ma in breve ho sviato tornando alla ricerca teatrale. È stato naturale sceglierla perchè significava scegliere il luogo che più di tutti mi permetteva di essere me stessa.
E oggi, dove per gli artisti il futuro è incerto, è la “naturalezza” ad accompagnarmi attraverso le domande del
“è possibile vivere di arte?”
Marta Maltese
Desideri di viaggio:
abbiamo due progetti di viaggio nella scatola dei desideri!
I sogni all’orizzonte
Uno sono le storie d’Irlanda: è possibile affidarsi ad un’organizzazione che ti assegna un cavallo e ti fornisce di cartina geografica con i vari casolari per la sera e la notte disposti a fornirti di cibo e letto. Due settimane per attraversare l’Irlanda a cavallo alla scoperta della sua natura selvaggia e alla ricerca delle figure mitologiche che animano la sua terra. L’organizzazione ti attende all’ultima tappa!
L’altro nostro progetto, in via di sviluppo, sarebbe quello di accompagnarsi a una guida naturalistica per ripercorrere il sentiero di un branco di lupi e dall’esperienza far nascere un diario di viaggio.
Uno dei prossimi progetti sarà realizzato assieme all’AHMC, Albagnano Healing Meditation Centre, in provincia di Verbania, un luogo paradisiaco che dalla montagna si affaccia sul Lago Maggiore. L’obiettivo del progetto “Rigioire nel Tempo” é quello di fare incontrare il teatro con un altro linguaggio spirituale che da millenni è fonte di grande saggezza: gli insegnamenti, le pratiche e le meditazioni del buddismo tibetano.
Dieci giorni di completa immersione a contatto con esperti del settore teatrale e maestri spirituali di alto livello attraverso laboratori, performances e attività di ricerca per scoprire forze fisiche ed interiori ad oggi a noi nascoste.