“Fermati, viaggiatore, per un momento, e guarda Uno che ha viaggiato più di te; In tutto il mondo, per ogni grado, Anson e io abbiamo solcato il mare. Sono passate zone torride e gelide E, alla fine, arrivammo a terra al sicuro- In pace, solenni eccociIn pace, solenni Lui alla Camera dei Lord – io qui”
Stay, traveller, a while, and view One who has travelled more than you; Quite round the globe, thro’ each degree, Anson and I have ploughed the sea. Torrid and frigid zones have pass’d And-safe ashore arrived at last- In ease with dignity appear, He in the House of Lords – I here.
Se ti capitasse di camminare fra le sale del National Maritime Museum di Greenwich, il più importante Museo Marittimo del Regno Unito, vai a cercare il Centurion: il falegname Benjamin Slade, che lavorava nei cantieri navali di Plymouth, realizzò il modellino di legno che vedi chiuso nella teca, completo di tutto, dai minuscoli tasselli in legno alla polena, che un tempo accompagnò questa nave in mare aperto.
Oggi, 7 marzo 1941, il capitano Anson doppia capo Horn e attraverso lo stretto di Le Maire passa dall’Oceano Atlantico al Pacifico. L’equipaggio è sfinito, ma intanto li coglie di sorpresa una tempesta da ovest: le vele sono a brandelli, la nave rolla così tanto che chi non sa mantenersi in equilibro aggrappato al legno della prua finisce inghiottito dal mare. L’uragano.
Si acquieta per poi cominciare di nuovo. Passa il giorno e sopraggiungono le stelle. Arriva l’alba, meravigliosa speranza fra le nubi nere. E passa un’altra giornata in balia delle onde. L’uragano squassa il Centurion per cinquantotto giorni di fila. Quelli che non uccide la tempesta, li uccide lo scorbuto: la mancanza di frutta, verdura, acqua, vitamine. Ogni giorno si lasciano all’acqua salata i cadaveri dei marinai, dai sei a otto.
Anson tiene la rotta seguendo il sessantesimo parallelo sud; ad occhio, dovrebbe trovarsi a duecento miglia a ovest della Terra del Fuoco, pensa. Dopo due mesi dalla completa oscurità appare la luna: Anson punta verso nord. La meta è l’isola di Juan Fernandez. La foschia si dirada e all’orizzonte appare la terra. Terra! Ma, contro ogni aspettativa, è Capo Noir, al margine occidentale della Terra del Fuoco. Com’è possibile? In realtà, la nave nell’azione disperata di combattere contro la tempesta, era rimasta quasi ferma. Adesso si tratta di recuperare la rotta e in fretta, perché se fossero morti altri uomini, non ne sarebbero rimasti abbastanza per manovrare le vele.
Il giornale di bordo, giorno 24 maggio 1741, segna che Anson conduce il Centurion alla latitudine dell’isola di Juan Fernandez, trentacinque gradi a sud dell’Equatore. Est o ovest, qual è la direzione giusta? Anson decide di puntare a ovest, il Centurion naviga per quattro giorni. Poi, qualcosa gli fa cambiare idea. Inverte la rotta. Anson non sa di trovarsi a poche ore dalla costa agognata. Nel frattempo, dopo quarantotto ore ecco che si avvista terra, di nuovo. Ma si tratta della costa del Cile, dominio spagnolo.
Anson e l’equipaggio del Centurion caleranno l’ancora a Juan Fernandez il 9 giugno 1941, due mesi dopo. Degli uomini imbarcati, oltre cinquecento, rimarranno meno della metà. Questa pagina strappata dal libro dei giorni è dal libro “Longitudine” di Dava Sobel, che narra la storia della difficile, difficilissima conquista della longitudine, la scoperta che riuscì a cambiare la navigazione.
Fra l’altro, proprio nell’isola di Juan Fernandez al Centurion si spezzò il cavo dell’ancora: trascinato in mare fu di nuovo riportato, con grande difficoltà a terra. Costruito nel cantiere navale di Portsmouth e varato il 6 gennaio 1732, la nave HMS Centurion apparteneva alla Marina Britannica. A Canton lo scafo venne abbattuto e ricostruito dai falegnami cinesi; dopo aver catturato il galeone Manila fece ritorno in Inghilterra attraverso il Capo di Buona Speranza e una volta giunto a Londra l’equipaggio marciò per le strade della capitale carico di bottino. Un bottino che i marinai dilapidavano in poche notti, come narrano le voci dei porti, perché allora non esistevano certo fondi di investimento e le proprie tasche, insieme alla vita spesa in mare e per il mare, erano l’unica certezza.
Dal 1734, anno della sua prima sortita, a bordo ospitava John Harrison, orologiaio inglese testardo e autodidatta, che per oltre quarant’anni, sfidando le autorità scientifiche e le guerre di corte, avrebbe continuato a sperimentare il suo cronometro, fino a ottenere l’ambito premio offerto dal Parlamento. Nel 1741 il Longitude Act, infatti, aveva stanziato l’equivalente di milioni di sterline per chi avesse saputo risolvere il problema del calcolo della longitudine in mare aperto.
Per trentasette lunghi anni il Centurion navigò per ogni mare. Con il capitano George Anson attraversò l’Oceano Atlantico, dall’Africa alla Giamaica. Aveva una missione speciale: dare fastidio alla flotta spagnola intercettando il Galeone Manila, un nome in codice che era stato dato alle navi della corona spagnola che dal porto di Manila attraversavano il Pacifico sbarcando ad Acapulco, cariche di merci, che veniva scaricate per poi viaggiare via terra fino a Veracruz, in Messico, e poi di nuovo caricate dai galeoni indiani per arrivare fino in Spagna. Dal 1565 al 1815 questo commercio continuò, ininterrottamente, fra Spagna e Messico e non senza difficoltà, a causa dei venti e delle correnti.
Cose che si fanno d’inverno
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Le piccole cose capaci di renderci felici durante il tempo invernale. Giorni lunghi, lunghissimi che poi ci si volta indietro e ancora una volta sembrano passati in fretta. I giorni dell’inverno sono quelli in cui avremmo voglia di casa e di rotolarci fra le coperte e invece magari bisogna svegliarsi presto e uscire quando è ancora buio – che succede anche questo – e poi scopri comunque che può essere bellissimo, passato il primo momento più difficile, l’aria in faccia e il mondo che si sveglia, ognuno a modo suo, le giornate di nebbia infinita, guardare fuori dai vetri di uffici e scuole, sognare, immaginare, preparare biscotti e nuove idee…
Cose che si fanno d’inverno
Ascoltare musica e se si può i dischi, con il vecchio mangiadischi arancione o un nuovo giradischi per tornare a sentire il fruscio dei 45 e 33 giri, imparare a posizionare la puntina… piano piano, nel punto giusto
macinare i chicchi di caffè e immergere il naso nel profumo forte, scaldare le fette di pane nel tostapane e preparare colazioni sontuose con marmellata, burro salato o formaggio. E poi i pancakes: il cesto dei pancakes della domenica, quando svegliarsi è più dolce e papà con la frusta impasta tutto poi cuoce per tutti
i caffè lunghissimi e i piedi nudi sul divano, mangiare biscotti dalla scatola e non importa per le briciole
passare da una stanza all’altra, giocare e fare caos e poi riordinare tutto e trasformare anche il riordino in un nuovo gioco, in cui trovare cose e riscoprire oggetti perduti
disegnare, dipingere con gli acquarelli, leggere libri belli, guardare film e inventare storie
spiare il Tempo dalla finestra, che come diceva lo scrittore Joseph Conrad «Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?»
indossare sciarpa e cappello di lana e poi uscire fuori, con l’aria fredda che soffia sulle dita e sulle guance
osservare i rami degli alberi disegnati dal ghiaccio, le case e le aiuole: pensare a quando ci sarà così sole che diremo – si muore di caldo- e indosseremo pantaloni corti e infradito e magliette e sembrerà così strano ripensare a queste giornate qui, immerse nella nebbia e strizzate nel gelo, sembrerà strano tanto oggi sembra strano e innaturale immaginare che fra qualche mese saremo in questa stessa strada, svestiti e con le braccia abbronzate, circondati di fiori e alberi pieni di verde
fare picnic in salotto, con tanto di tovaglia da stendere sul tappeto e tramezzini e frutta
ascoltare la pioggia che cade di notte e se nevica rimanere minuti interi incantati a osservare il pulviscolo della tormenta di fiocchi attraverso la luce gialla dei lampioni sotto casa
accendere fili di luci per tutta casa e mica solo a Natale, arrotolati lungo le scale e sul soffitto della cucina, per scaldare le stanze di casa e il cuore
rispolverare i giornali vecchi e i libri che non si ha ancora avuto tempo di leggere perché non è vero che accumulare è peccato: ci sono momenti in cui troviamo cose, oggetti, libri e sogni e li mettiamo da parte, in angolo della testa e dell’anima, poi arriva il giorno giusto e allora li apriamo ed esploriamo, succede così di tenere fra le mani sorprese che avevamo preparato per noi stessi, senza saperlo, infiniti momenti fa
preparare il tè delle cinque e se non è a quell’ora poco importa, l’importante è fermarsi e sorseggiare piano. Piano piano, che il tempo: il Tempo, questo nessuno ce lo regala, ce lo dobbiamo prendere e a volte anche rubare, disegnare per noi e per ciò che amiamo, per trovare spazio per glia abbracci e cuscini sul divano, parole da scrivere e raccontare, piante da annaffiare
e non importa se è inverno, forse fioriranno anche i gerani se li lasciamo dentro alle finestre. Per fare finta che l’estate sia già tornata, o forse mai passata: la bella stagione del cuore, che non importa quanto freddo faccia, è un battito di farfalla dentro, un arcobaleno nella pioggia
svegliarsi e riaddormentarsi. Perché almeno una volta durante l’inverno dobbiamo concederlo a noi stessi, di non sentire la sveglia e continuare a sognare e rotolarci fra le coperte quando ormai è troppo tardi per fare tutto.
Fiori di primavera
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Germogli di bucaneve, come ogni anno di fianco alla porta di casa
Fiori di primavera o di fine inverno? Mentre la neve si scioglie sui prati fra i sentieri fa sobbalzare il colore intenso dei nuovi fiori, ci lasciamo sorprendere da profumi che credevamo dimenticati e nuove sfumature dell’anima. Qui dove abitiamo noi, nell’Appennino Tosco-Emiliano, provincia di Modena, i primi fiori di primavera a spuntare sono le primule, che fanno rinascere di giallo il mondo.
Alla fine dell’inverno appaiono le violette, in mucchietti che mi ricordano i gruppi di vecchie amiche, strette strette negli sciallini minuscoli spalla contro spalla a chiacchierare e commentare ciò che è stato dell’inverno. Poi il crocus, che colora la terra di bianco e sfumature viola, ricordo delle vacanze di Pasqua quando andavo con mia nonna a camminare in questi prati.
Crocus
L’ho avvistato per primo fra tutti quest’anno, una piccola esplosione viola fra il color terra delle foglie secche. Il crocus è temerario e di frequente è il primo a sbocciare, fra la fine dell’inverno e l’inizio di primavera. Appartiene alla famiglia delle Iridacee (Iridaceae) e il suo nome viene dalla lingua greca, Kròkos. Questo piccolo fiore, viola o bianco, è citato fra le pagine dell’Iliade: significa filo di tessuto. All’interno sono ben visibili i lunghi stigmi che nel suo cugino più celebre, il Crocus sativus (comunemente noto come zafferano!) vengono sfruttati in cucina.
Il piccolo crocus durante la stagione primaverile sa trasformare i prati in un dipinto. Nell’Appennino tosco-emiliano il crocus spunta ovunque, fra le zolle di terra brulla e l’erba ingiallita scampata alla fine dell’inverno insieme ai piccoli cespugli di violette e le primule. Cresce in Europa, ma si trova anche in in Africa nord-occidentale e in Asia occidentale, fra le vallate dei Monti Altaj, un posto magico, dove anticamente nacque lo sciamanesimo. I popoli che vivevano in Altaj, o Altai, consideravano sacre le montagne. Siamo in Asia, sui monti che svettano dal deserto dei Gobi alla Siberia occidentale all’incrocio fra Russia, Mongolia, Cina e Kazakistan.
Primula
I petali di primula si possono aggiungere anche all’insalata. Ma la vera sorpresa è avvistarle alla fine dell’inverno, quando i prati sono ancora secchi e il loro colore è il primo a manifestare signora Primavera che torna a camminare sulla Terra. Infatti il nome primula, dal latino, viene dalla parola primus, primo: è il primo fiore a sbocciare dopo l’inverno e per questo la primula è il simbolo della rinascita di primavera.
Violetta
Il genere Viola appartiene alla famiglia Violaceae, diffuso in ogni continente: comprende circa quattrocento specie. La violetta è il fiore della città di Toulouse, nel sud della Francia, dove si produce un aperitivo a base di questo fiore. Come si riproduce la violetta? In due modi. I fiori più in alto vengono impollinati dalle api e dagli insetti, così viaggiano nell’aria, mentre negli altri, più in basso, si verifica l’autoimpollinazione. Questo significa che questi semi cadono vicino alla pianta madre e presentano un corredo genetico simile a lei. Non è meraviglioso pensare a questo processo immaginando che alcuni figli vadano lontano, a esplorare il mondo, e altri si fermino qui, vicino a noi. Figli o… azioni. Possiamo pensare ai semi dei fiori come ai nostri gesti: i nostri pensieri e le azioni che compiamo ogni giorno volano e riproducono ciò che siamo.
Alla fine dell’inverno ogni anno attendo, con trepidazione e curiosità, i bucaneve. Perché la natura ritorna, con magica puntualità, da anni, così tanto che noi non abitavamo in questa casa e non eravamo nemmeno nati. C’è un unico piccolo gruppo di bucaneve, qui in giardino; non sono che tre o quattro eppure da più di cinquant’anni, tornano, alla fine dell’inverno, sempre di fianco alla porta di casa. E io ogni anno spio il loro arrivo.
Bucaneve
Il bucaneve, Galanthus nivalis, è della famiglia delle Amaryllidaceae: galanthus, così viene chiamato anche in lingua inglese, da due parole greche: gala, latte, e anthos, fiore. Fra i parchi del Regno Unito in questa stagione è ovunque: se ti trovi a camminare fra i parchi di Londra nel mese di febbraio vedrai un tappeto di minuscoli bucaneve, ai piedi delle querce. In Irlanda il bucaneve era il simbolo della festa di Imbolc, una festa antichissima che poi in epoca cristiana divenne la Candelora. Sai che il bucaneve inglese ha un legame con l’Italia? Fu la regina Elisabetta a introdurre i primi bucaneve in Gran Bretagna, dalle montagne italiane.
Tarassaco o dente di leone
All’improvviso il giallo delle prime primule sembra diventare scialbo. D’un colpo, in una notte e un giorno, è nato il tarassaco: il suo giallo rende tutto ciò che era prima sbiadito.
C’è una cosa che ci insegna il tarassaco ed è il senso della trasformazione: nulla accade se non accade prima dentro. Rifletto su questo ogni volta che osservo il tarassaco. Com’è diverso a seconda del momento della sua esistenza, vero?
La raccolta delle erbe selvatiche di primavera, un tempo così comune, è diventata una pratica dimenticata. Tuttavia, dagli studi emerge che il livello di zuccheri presenti nel nostro sangue presenta un aumento preoccupante e altrettanto preoccupante nella nostra alimentazione è la carenza delle erbe amare e del loro potere detossinante.
Rosmarino
Anche il rosmarino, Salvia rosmarinus, all’inizio di primavera si trasforma. Non sono meravigliosi i suoi fiori azzurri e viola?
Viola canina o viola selvatica
Lamium purpureum o falsa ortica
Spinacio selvatico
Noto con altri nomi, come buon enrico o farinello, lo spinacio selvatico o spinacio di montagna è ottimo nella frittata, nel risotto e nelle zuppe. Si tratta di un’erba spontanea preziosa per il sistema immunitario, ricca di vitamine e sali minerali, un tempo particolarmente importante in un momentodell’anno, la fine dell’inverno, in cui c’era meno disoponibilità di verdura fresca e fonti di vitamina. Al contrario, attualmente ciò di cui più il corpo risente è la carenza di un elemento che già nell’Ayurveda o in medicina cinese viene abbinato al potere disintossicante delle erbe di primavera. Sono le erbe come il tarassaco, o dente di leone, l’ortica e l’aglio orsino che da secoli venivano raccolte nei campi e per tempo immemorabile sono state protagoniste nella cucina di primavera, svolgendo un ruolo importante perché oltre che nutrimento e fonte di vitamine, aiutavano la depurazione dell’organismo e la pulizia dell’intestino. Oggi viviamo sempre più lontani dalla natura, per questo la raccolta delle erbe selvatiche di primavera, un tempo così comune, è diventata una pratica dimenticata. Tuttavia, dagli studi emerge che il livello di zuccheri presenti nel nostro sangue presenta un aumento preoccupante e altrettanto preoccupante nella nostra alimentazione è la carenza delle erbe amare e del loro potere detossinante.
Alliaria
Se avvisti questa pianta spontanea prova stropicciare leggermente una delle sue foglie fra le dita. Sa di aglio, vero? Si chiama alliaria ed è un’altra delle erbe di primavera buona da mangiare. Puoi pestare le foglie o sminuzzarle e usarle per l’insalata o la bruschetta.
Trifoglio
La fioritura del prunus
In Giappone la fioritura dei ciliegi, chiamata sakura, è uno spettacolo che diventa rito collettivo. La parola hanami letteralmente rimanda all’azione del “guardare i fiori”, un gesto di attenzione: un atto di comtemplazione trasformato in rito collettivo. Sulle montagne dell’Appennino fiorisce il genere prunus, che comprende oltre trecento specie di piante. Fiorisce il ciliegio e insieme a lui l’amareno, da cui nasceranno, all’inizio dell’estate, piccoli frutti rossi dal sapore aspro. Da bambini, in vacanza sui monti, raccoglievamo con le nonne le rosse amarene, che venivano coperte con alcol e zucchero per farne barattoli da lasciare sui davanzali al sole, che sarebbero diventati doni per le mamme e i papà, in attesa del loro arrivo in agosto, all’inizio delle ferie.
Orchidea selvatica
Il periodo migliore per vederla è maggio, anche se in luoghi come la Sardegna è facile avvistarla anche in marzo: l’orchidea selvatica.
Muscari neglectum
Cerastium peverina
Farfaraccio
Osservare un fiore nel tempo è una riflessione sul cambiamento. Alcuni fiori non sembrano gli stessi, a distanza di qualche giorno o settimana. Ma in fondo non succede anche a noi? Ci trasformiamo, giorno dopo giorno. Siamo sempre gli stessi, ma anche nuovi, ogni istante, anche se non ci facciamo caso o non ce ne rendiamo conto.
Anemone dei boschi
Attenzione all’anemone…
Bellissimo, ma velenoso.
Anemone giallo
Myosotis, non ti scordar di me
Erba di san Lorenzo o bugola
Ha tanti nomi lei: erba Lorenza o erba di san Lorenzo, bugola, morandola, ma il suo nome scientifico è Ajuga reptans. Assolutamente non per uso interno a meno che non si tratti di integratori preparati da professionisti perché possiede un’azione epatotossica, un tempo le sue foglie venivano raccolte e strofinate sulle ferite infatti ha proprietà cicatrizzanti.
In attesa dell’estate…
Fragaria, fragola
Che meraviglia le piccole piante di fragoline di bosco: è la fine di aprile e quest’anno stanno spuntando ovunque. Non sempre accade perché dipende anche dall’umidità.
Nel mese di giugno le fragoline selvatiche sono facili da trovare nel folto del bosco, ma anche fra i prati e ai bordi dei sentieri tra ombra e sole. Si possono raccogliere e congelare o… mangiare fragola dopo fragola, magari con un cucchiaio di gelato. C’è un vecchio film del 1957 che parla di ricordi d’infanzia, tempo e cambiamento: “Il posto delle fragole“, scritto e diretto da Ingmar Bergman girato in Svezia vicino alla città di Lund.
“La verità è che io vivo sempre nella mia infanzia, giro negli appartamenti in penombra della mia infanzia, passeggio per le silenziose vie di Uppsala, mi fermo davanti alla Sommarhuset ad ascoltare l’enorme betulla a due tronchi. Mi sposto con la velocità di secondi. In verità, abito sempre nel mio sogno e di tanto in tanto faccio una visita alla realtà” Ingmar Bergman
Margheritina o pratolina
L’arte del vedere
Vedere è un’arte, sai? Sì, perché non basta vedere o poter vedere: saper vedere è un allenamento e un’ispirazione, va coltivata ogni giorno e quanto spesso ce ne dimentichiamo. A vedere si impara, ecco perché si tratta di un esercizio quotidiano. Nella storia della medicina i casi di chi ha potuto vedere grazie a un intervento chirurgico ci hanno fatto scoprire che fenomeni come la prospettiva non sono un fatto scontato bensì una costruzione: noi vediamo con il cervello e la nostra vista si allena nel tempo. La visione che abbiamo, del mondo e anche di noi stessi, delle forme, dei colori e di come percepiamo le cose è il risultato di tanti fattori: del nostro carattere e delle nostre unicità, della cultura che respiriamo e della storia in cui siamo collocati. È il nostro universo di senso. Se ci fermiamo su questo pensiero – il modo in cui ognuno di vede è unico – allora può accadere un’incredibile rivoluzione e a partire da questo possiamo persino iniziare a costruire la nostra visione, che non ha solo a che fare con la vista perché diventa il modo che abbiamo per chiederci quali sono i nostri sogni, le direzioni in cui ci interessa andare, la strada che stiamo percorrendo giorno dopo giorno.
Incontrare la morte
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Si muore, accade ogni attimo. Eppure non ci pensiamo, non ci pensiamo mai altrimenti forse impazziremmo. Come si spiega la morte ai più piccoli?
~ una volpe. Dorme? sì, una volpe. Non sta dormendo, è morta.
~ posso toccare? no, meglio di no
~ posso vedere? Posso vederla da vicino?
~ perché non va via?
perché è morta. Non può andare via.
Allora si volta e mi guarda ~ cosa succede quando muore?
Quando si muore succede che si lascia il corpo. Il cuore smette di battere. Il corpo si ferma dove si ferma il cuore, è rimasto qui.
~ perché ha gli occhi aperti?
Perché mentre moriva aveva gli occhi aperti.
~ è una volpe piccola. La sua mamma dove sarà, viene a cercarla. Guarda, ha la bocca aperta e si vedono i denti. Perché ha la bocca aperta?
~ perché quando si muore si respira, così. Ssss. Si espira. L’ultimo respiro ritorna nell’aria. Il cuore si ferma, il corpo si ferma e il respiro esce, vola via.
~ e dove va?
nessuno lo sa. Forse verso l’alto insieme al cielo e alle nuvole, forse diventa aria che respiriamo noi e gli alberi, terra e bosco. Aria e vento, leggeri e liberi
Senti. Adesso fermiamoci un attimo. Prendiamoci per mano e salutiamo la volpe. Respiriamo un attimo così. Inspiriamo e poi soffiamo via il nostro respiro. Anche i nostri respiri sono aria e ritornano all’aria.
Guardiamo la piccola volpe.
buon viaggio, volpe. Il tuo corpo è qui, ti auguriamo che il respiro del tuo spirito sia in cammino, libero e leggero
~ con la sua mamma. E di’: che non arrivano i cacciatori, ma persone buone tornano a accompagnarle
E che persone buone tornino ad accompagnarvi
~ e che arrivate in un bosco grandissimo, senza neve. Senza neve, con il sole. Aggiungi.
Buon viaggio, piccola volpe. Ti auguriamo che la tua mamma torni a prenderti e che non incontriate i cacciatori, ma persone buone che vi trovino e possano accompagnare verso un grandissimo bosco, dove l’inverno sia già passato, una radura piena di fiori, alberi e del tepore del sole, dove giocare libere.
Mentre lo diciamo, un raggio di sole arriva e illumina la piccola volpe e la neve intorno che filtra dall’ombra dei pini. Le minuscole, infinite minuzie, piccole cose incredibili che mi stupiscono dell’esistenza. Allora sorridiamo, davvero un po’ sorpresi.
Ecco, hai visto? Un raggio di sole, proprio come avevi tu. Dentro c’è nonno T, anche lui accompagnerà la piccola volpe come le persone buone che gli hai augurato di incontrare. Perché le cose belle, le sorprese improvvise, gli arcobaleni e le farfalle portano l’anima delle persone a cui vogliamo bene. Quando le persone muoiono continuano a mandarci una carezza, ovunque siano, trovano il modo di farci sentire vicini, ancora.
~ perché la volpe è morta? perché si muore?
Questo non lo sappiamo.
Stamattina siamo usciti per fare una passeggiata. Camminavamo senza meta, osservando i fiori di primavera che spuntano dal ghiaccio; il giallo delle prime quattro primule fra le radici contorte dell’albero di amarena. Poi, prima della pineta l’abbiamo vista: una volpe, bellissima. Stava distesa sulla neve, come fosse addormentata. Addormentata in un momento di neve. Non c’erano tracce di sangue, forse se fosse stato un lupo l’avrebbe divorata. O del fucile di un cacciatore sarebbe rimasta una traccia. Invece no, nulla. Solo una volpe immobile nella neve. Allora ci siamo avvicinati. Il primo impulso è quello di aggirare e andare lontani. È sempre un colpo al cuore quando si vede la morte, non importa come e quando accade. Viviamo sempre più lontani dalla morte; non cacciamo gli animali che mangiamo, la maggior parte di noi. Le malattie e la morte sono diventate un fatto d’ospedale, igienico e non visto: raramente ora guardiamo nelle bare o diamo l’ultimo saluto, anche quando il tempo per farlo ci sarebbe. Eppure, la morte esiste. Anche per i bambini, anche fra i bambini. Ai bambini a cui è permesso vivere a contatto con la natura capita ancora così, di incontrare la morte su un sentiero. Il primo contatto con la morte avviene nell’universo misterioso del piccolo, in cui Natura crea la legge del suo filo di vita nel fluire incessante e imperscrutabile. Nel microscopico di sottoboschi e fondali marini come accade nell’infinitamente grande, fra galassie, scoppi di stelle e buchi nero. Nel piccolo come nel grande e nel grande come nel piccolo. La vita si impara anche così, attraverso la morte. Osservando la fine.
Giorni di febbraio
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Momenti strappati dal calendario del libro dei giorni, il diario del tempo è fatto di neve che si scioglie e sole che torna…
Giorni di febbraio
Svegliarsi per bere un sorso di latte o mezzo bicchiere d’acqua, prima che faccia giorni, con i piedi nudi sugli scalini freddi e la stufa che borbotta sommessa
I raggi del sole sulle palpebre e tenere gli occhi ancora chiusi e sorridere, rotolarsi fra le coperte come gatti che sonnecchiano nella luce del mattino che entra dalle finestrelle della soffitta
Caffè lungo, lunghissimo; capelli arruffati; programma C veloce, a 40°, della lavatrice con i vestiti di ritorno dal viaggio che fanno mucchi colorati e aspettano pigri il loro turno
Svuotare lo zaino e lasciare qualcosa nelle tasche, come sempre, prima di appenderlo al suo gancio, dietro la porta, in attesa di nuove partenze
Sentirsi finalmente pronti per salutare il Natale e smontare l’albero per costruire al suo posto un castello di cartone
Lasciar andare il ragù, che lentamente si raddensa, in una pentola di coccio sulla fiamma della stufa
Cinciallegre e passeri che ancora cercano i semi che mettiamo loro ogni mattina, un corvo solitario oltre una siepe e, ieri sera, il verso di un allocco, solitario nella notte silenziosa e per niente fredda, con un cielo di velluto immenso di stelle
Tu che ridi mentre io ti faccio notare un aereo che attraversa il cielo nel buio, mi guardi e dici “sembra un po’ una stella, così rotondo”, e sì, è vero, sembra un po’ una stella
Il cacciavite, non quello di plastica no, quello vero, per lavorare sul serio
I sonnellini, i libri belli da lasciare sul davanzale e prendere andando su e giù per le scale; le bacche rosse della cotonastra
all’orizzonte le montagne tornano del loro solito rosso paglierino che contrasta con l’azzurro sterminato del cielo, una sfumatura unica che forse nemmeno esiste fra i colori conosciuti. Eppure è proprio così, se guardi bene riesci a distinguere ogni singolo albero, il tronco bianco e i rami verso l’alto, tutti stretti stretti, uno all’altro, e in mezzo radure di prato ancora coperte di neve.
In giardino il bianco si scioglie. Appare la prima pratolina da sotto la neve, stropicciata, con le punte dei petali rosa, e all’improppivo la primavera sembra già sulla porta di casa, insieme ai nuovi germogli delle rose e le radici di un ramo spezzato di miseria, trovata su un vialetto e messa in un bicchiere, che forse fiorirà.
La vita è un viaggio
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Caro amore,
questa lettera è per te. Ci vogliono anni al futuro per trasformarsi in presente eppure è già tutto qui, nel miracoloso attimo di adesso.
Viaggiamo nel Tempo. Sì, anche tu. Perché viaggiamo nello spazio eppure per tutta la vita, ogni singolo giorno di questa esistenza, non facciamo altro che viaggiare nel tempo.
Sei qui da un giorno che non ricordi e un giorno te ne andrai, questa è l’unica regola del gioco. C’è un inizio e una fine, qui. Il viaggio ha un inizio e una fine: non sai quando, non sai come… nessuno lo sa. Ecco, adesso vorresti dimenticarlo, o ignorarlo; mille volte farai finta di niente, tenterai di giocartela come se tutto fosse possibile. Lo è, ma non per sempre.
Sembra che gli studiosi abbiano visto che il cervello umano alla nascita contiene un potenziale infinito. Dentro, abbiamo tutte le lingue del mondo, tutti i numeri e tutti gli inizi. Ogni cosa è, all’inizio. Solo per un attimo. Poi, il viaggio inizia e allora le strade si concretizzano, come una mappa del possibile che piano piano diventa il percorso che stai percorrendo.
Stai percorrendo la tua strada. Non prenderla come una sfortuna. Lo abbiamo già fatto in mille modi di spaccarci la testa e il cuore per prendere il tempo e strapparlo, stirarlo, annullarlo, ripiegarlo. Il fatto è questo: non avrai tutto il tempo del mondo. Puoi scegliere di diventare ciò che vuoi, ma avrai bisogno di tempo e non avrai il tempo per diventare tutti i te che vuoi essere. Ti toccherà scegliere.
Ma c’è un segreto. Quando corri a più non posso, anche il tempo corre. A volte, invece, c’è bisogno di fermarsi e guardarlo negli occhi: questo Tempo è il tuo tempo, ti batte dentro, è ritmo nel sangue e nelle vene, è il tuo sogno. Non dimenticare di chiederti quali sono i tuoi sogni perché dentro c’è la mappa verso cui stai andando da ogni giorno della tua esistenza.
Tu immagina una strada fra mille altre: è la tua. Ci sono sentieri scavati nel fango e strappati alla tempesta, strade asfaltate che corrono nel blu e vie disegnate nel segreto di foreste altissime o deserti millenari. Mentre cammini fai il tuo andare, è il tuo passo a decidere la meta.
Un giorno ti renderai conto che l’adolescenza è come vedere il mondo dall’alto. Sì, è vero ti dà un brivido incredibile tutta questa straordinaria visione, ebbrezza infinita. Non farti ingannare. Il fatto è che non puoi rimanere lì in eterno, perché intanto il sole si fa alto e la luna compare cantando all’orizzonte: è il momento di camminare. La vita è tempo in movimento, è cammino.
Passo dopo passo a volte ti sembrerà di infossarti in un labirinto, perderti dietro a un vicolo cieco e dentro a strade in cui non ti riconosci più. Succede. Questo, però, è l’unico modo che abbiamo per sperimentare. Noi umani non abbiamo le ali, ci hanno fatto di gambe e braccia e un cuore e un cervello. Scendere dentro la tua strada è il solo modo per viverla. Potrai cambiare tante vite, ma una alla volta sai. Se a volte ti sembrerà di andare con troppa lentezza tu guardati indietro, solo per un attimo: è già moltissimo quello che hai fatto. Persino da fermi accade qualcosa, continuamente.
Avere la vita in mano guardando l’orizzonte dall’alto è un’illusione. Tu scendi dentro il paesaggio e vai, cammina, esplora. Allora sperimenterai davvero. Questa è la libertà: continuare a andare, sapendo che il movimento è vita. La vita è un viaggio. La vita è in viaggio e il viaggio non finisce fino all’ultimo respiro che il Tempo ci darà
Qui, su questo pianeta azzurro in equilibrio nel vuoto, c’è un fattore chiamato “gravità”. Ti rallenta, sì. Ti insegna, anche, a prendere in considerazione il valore della fatica. Ti farà cadere, sì. E al tempo stesso ti insegnerà che con le ginocchia sbucciate ci si alza, se fa male poi passa. La gravità ti atterra e deprime, ti schiaccia e aliena. C’è la gravità dei pesi nell’aria e quella dei pesi sull’anima.
Volare, questo sì che è un miracolo. Volare anche solo quando chiudi gli occhi all’immaginazione. Se poi sei capace di aprirli e far volare quello in cui credi anche alla luce del sole allora sentirai il cuore mettere le ali per davvero, senza limiti
In questa vita in cui ti trovi a camminare la leggerezza è una propensione naturale che ci vorrà tutta la vita per riconquistare. Lo sapevano i popoli antichi dell’Egitto che immaginavano una dea capace di soppesare i giorni vissuti con la prova di una piuma. Con quanta leggerezza stai vivendo i tuoi giorni? Qualsiasi cosa tu stia facendo non dimenticare di farti ogni giorno questa domanda, prima di addormentarti.
La vita è un viaggio. Questo viaggio ha avuto inizio in un giorno che si può solo ricordare per altre persone, non per se stessi. Il viaggio ha una fine: un destino, una parola bellissima e strana, che nel gergo delle stazioni indica semplicemente la fermata ultima. Qual è la tua?
Che cosa ti sta chiamando? In Giappone ikigai è quello che ti mantiene ancora vivo: passione, vocazione. L’abbiamo definito in mille modi questo fuoco che ti fa sentire ancora il cuore che ti batte, indomito. Non smettere di cercarlo, questa è la cosa importante. Che cosa mi ha fatto sentire ancora tremendamente e meravigliosamente viv* oggi?
Non avrai tutto il tempo del mondo e adesso non iniziare a dire che è tutta una sfortuna. È solo un’avventura. Vivila così: un battito d’ali, pura avventura. Tuffarsi nel vuoto. Lo stupore della meraviglia lo conoscevi benissimo quando camminavi da pochissimo qui sul pianeta Terra: lo abbiamo conosciuto tutti, poi lo abbiamo dimenticato in nome del senso del dovere e abbiamo creduto che questo fosse diventare adulti.
Stupisciti, ancora. Stuzzica la tua curiosità, ogni giorno. Meravigliati, senza fine. Chiediti i tuoi sogni e non solo quelli importanti: i pensieri da niente, le piccole cose che rendono felice una giornata, sono il sale della vita.
Adesso vai, la vita è un viaggio. Buon viaggio, amore mio. Ora ci sono le stelle e domani ti sveglierà il sole. Vivi ogni attimo. Qualsiasi cosa accada, sappi che puoi farcela. Sei sulla strada, cammina. Respira. Contempla. Non lasciarti sfuggire la bellezza del paesaggio e non soffermarti troppo sugli ostacoli, impara a guardare oltre. Lasciati guidare dall’istinto. Resta sempre vicino al tuo cuore.
A presto,
due viaggiatori quando si incontrano non smettono mai di rivedersi
Invecchiare
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Invecchiare non ci rende persone migliori, non necessiamente. C’è chi passa tutto il tempo a pensare a quello che è stato e questo è un modo per diventare vecchi.
Il passato è passato. Se pensi sempre a ciò che è già successo hai bisogno di costruire nuovi ricordi, nel presente. Il presente è il posto dove siamo adesso, il posto dove trovare e cercare cose belle, sorprese, risate, attimi felici di pazzia.
Invecchiare non ci rende persone migliori, siamo solo sopravvissuti al tempo. Poi c’è il saper osservare l’adesso: chi ha inventato questa storia di vivere l’attimo non ha fatto altro che vedere i bambini, per i piccoli tutto è “adesso”.
Essere stupore, farsi risata, diventare meraviglia, cogliere il tempo in ogni sfumatura, sorridere al mondo, sperimentare caldo e freddo, salutare il sole e la pioggia: la ricetta per danzare con il Tempo.