A piedi sul Cammino di Santiago di Compostela
Da almeno duemila anni i pellegrini percorrono i sentieri che compongono il Cammino di Santiago di Compostela, una delle strade più antiche al mondo, che si snoda attraverso Francia, Spagna e Portogallo. Camminiamo sulle orme di chi è venuto prima di noi, inconsapevoli del bagaglio che ciascun viaggiatore nei secoli ha portato in questi luoghi dove il tempo sembra essersi fermato.
Ognuno porta il suo bagaglio di pensieri e sogni: uno zaino che a dire il vero oggi si può spedire fino alla fermata successiva, ma che di solito ogni backpacker ama portare sulle spalle perché diventa casa e chiocciola. Preparato con cura e parsimonia (ogni chilo sarà sulle spalle!) lo zaino è compagno di viaggio, insieme alle scarpe, anche queste fondamentali. Quando si tratta di percorrere venti o trenta chilometri al giorno all’improvviso il corpo, che di solito siamo abituati ad avvolgere nelle comodità, torna a essere protagonista: fatica, fame, dolore e piacere.
La dimensione fisica acquista presenza, perché il viaggio a piedi è misura dell’umano: passaggio lento, ognuno portato dal ritmo del proprio piede. Camminando immersi nella natura riscopriamo la meraviglia, il silenzio immenso, l’incontro che è sguardo nello sguardo. Viaggio slow per assaporare il mondo in lentezza.
Nell’andare traggo forza
da ciò che porto,
ciò che lascio e
ciò che decido di tenere con me.
Il peso diventa
zaino che carico sulle spalle
dove riporre
l’intenzione per il mio futuro
il desiderio dell’orizzonte
che muove
un passo dopo l’altro
il mio cuore
La storia di San Giacomo
Questo percorso millenario è legato alla figura di San Giacomo: decapitato in Palestina, la Legenda Aurea racconta che il suo corpo percorse il mare fino ad approdare in Galizia, trasportato su una barca guidata da un angelo. I testi medievali narrano che Giacomo di Zebedeo venne sepolto in un bosco di fronte alla distesa marina, nei pressi del porto romano di Iria Flavia. Poi il tempo si chiude su se stesso e del luogo nessuno riesce più a ritrovare traccia, offuscata dalla vegetazione e celata dal segreto degli anni che passano inesorabili. Il ritrovamento di una tomba nel IX secolo accende di nuova luce la memoria di San Giacomo, figlio di pescatori, che oggi troneggia all’interno della cattedrale di Santiago de Compostela dedicata al santo, la cui costruzione inizierà nel 1075.
La tradizione riporta, infatti, di avvistamenti mai cessati. Segni, come la visione luminosa intravista dal mistico anacoreta Pelagio nell’830 nelle aree che forse nascondono resti antichi villaggi celtici. Questo luogo verrà chiamato campus stellae: campo della stella, l’attuale Santiago de Compostela. Il re delle Asturie Alfonso II il Casto ordina la costruzione di un luogo sacro, che dall’893 verrà abitato dai monaci benedettini. Ma la presenza di Giacomo non smette di aleggiare sulla storia dei vivi, tanto da apparire sui campi di battaglia alla guida dell’esercito cristiano durante la reconquista nell’840. Sarà detto Matamoros, colui che uccide i mori, simbolo terribile dell’epoca crociata. Distrutta e ricostruita, la cattedrale nei secoli continuerà a vivere e accogliere i pellegrini di passaggio.
Viaggio a piedi a Santiago de Compostela
Dichiarato Patrimonio dell’Umanità nel 1987, Santiago di Compostela è attraversato dal fiume Tambre e si trova di fronte alla vasta immensità dell’oceano Atlantico. La memoria del mare è una traccia che questo luogo porta nella sua storia e forse non a caso la storia lo fissa nel nome del mistico Pelagio, colui che scopre questa terra, la cui radice etimologica riporta al significato legato all’acqua: “pelago”, mare profondo, mare aperto. Compostela, conchiglia, è anche il simbolo del cammino.
Nota come pettine di mare o pettine di San Giacomo, è il segno di riconoscimento del viaggiatore: segno di rinascita, purificazione e protezione, tradizionalmente si riconsegnava a Cabo Fisterra, Finisterre, il promontorio sull’Oceano Atlantico nella Costa da Morte dove sembra fosse situata, qui davanti all’infinito oceano mare, l’Ara Solis per la celebrazione dei riti dedicati al sole. Nella mitologia celtica gli eroi intraprendevano l’ultimo viaggio nell’insondabile spazio eterno al di là di queste rocce, mentre le donne si inginocchiavano a pregare per la fertilità. Vita e morte, pericolo e salvezza, acqua e terra, finito e infinito: nel mistero azzurro si rinnova l’andare umano. Dietro una storia troviamo una molteplicità di altre storie, come rivoli di un fiume che tutto trascina nella sua corrente senza fine: sotto ai nostri passi risuonano altri passi, più antichi e cancellati dalla polvere eppure ancora parlanti, ancora capaci di narrare storie che bisbigliano nel silenzio.
Chi ha percorso questi sentieri sa quanto la meta sia un luogo disegnato da una semplicità quasi ascetica, rigore dell’anima. Le strade scavate in un paesaggio che si distende al sole, fra boschi e piccoli villaggi, portano nei vasti prati dove una piccola cappella di pietra accoglie i viandanti. È l’andare che fa il viaggio, non la meta. Alla fine, ci si ritroverà, seduti a godere un raggio di sole, più forti di quando si è partiti. Incredibilmente, più riposati e ricaricati dalla fatica e da quell’indomita forza che scopriamo solo quando ci mettiamo alla prova.
Preghiera del pellegrino
Quand’anche avessi percorso tutti i sentieri,
superato montagne e valli da est a ovest,
se non ho scoperto la libertà di essere me stesso,
allora non sono ancora arrivato.Quand’anche avessi condiviso tutti i miei beni
con persone di altre lingue e culture;
quand’anche avessi per amici dei pellegrini dell’altra parte del mondo
e dormito negli stessi alloggi dei santi e dei principi,
se, domani, non sono capace di perdonare al mio vicino,
allora non sono ancora arrivato.Quand’anche avessi portato il mio sacco dal primo all’ultimo giorno e sostenuto i pellegrini a corto di forze,
o ceduto il mio letto a qualcuno arrivato dopo di me,
donato la mia borraccia senza alcuna contropartita,
se, di ritorno a casa e al lavoro non sono capace di seminare attorno a me la fratellanza, la felicità, l’unità e la pace,
allora non sono ancora arrivato.Quand’anche avessi ogni giorno mangiato e bevuto a sazietà,
a disposizione tutte le sere un tetto e una doccia,
ricevuto delle cure per le mie ferite,
se non ho visto in tutto questo l’amore di Dio,
allora non sono ancora arrivato.Quand’anche avessi visitato tutti i monumenti
e ammirato i più bei tramonti,
imparato a dire buongiorno in tutte le lingue,
gustato l’acqua di tutte le fontane,
se non ho indovinato chi è Colui che, senza nulla attendere in cambio, mi offre tanta bellezza e tanta pace,
allora non sono ancora arrivato.Se adesso smetto di camminare sulla tua strada,
di proseguire la mia ricerca e di vivere in coerenza con ciò che ho imparato; se, d’ora in avanti, non vedo in ogni persona, amico o nemico, un compagno di strada;
se, ancora oggi, il Dio di Gesù di Nazareth
non è per me il solo Dio della mia vita,
allora non sono ancora arrivato.
[preghiera di Fratello Dino]
Sembra che questa preghiera sia stata trovata in una delle tappe lungo il Cammino di Santiago di Compostela, nella chiesetta romanica di S. Maria La Real a O Cebreiro. Non l’ho vista con i miei occhi, l’ho trovata fra le maglie di questa grande rete che è internet, dove ognuno di noi lascia frammenti di sé e del suo viaggio nella vita. Fedelmente riporto i nomi di chi l’ha trovata: Peter e Florence van der Heijde, e del traduttore Giacomo Tessaro.
Le immagini sono fotografie scattate da Lina Brambina, viandante e guida, che insieme a Luisella ha accompagnato il gruppo di ragazzi dell’ITC Tosi di Busto Arsizio, coraggiosi viaggiatori partiti dalla Lombardia alla scoperta di un angolo di mondo e di se stessi.
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