Il tempo che ci vuole

Quelle telefonate appena sveglia, il caffè che aspetta e tu che ti scopri ad alzare la voce, con passione, per poi renderti conto che ognuno ha i suoi tempi: anche tu i tuoi, io i miei.

Ognuno ha i suoi tempi e possono volerci anni, forse interi secoli, per arrivare a pensare e capire quella cosa magari ovvia che hai già ascoltato in passato e non avevi capito. Il fatto è che il tempo che ci passa in mezzo è quello che serve a un seme per maturare, il sole e la pioggia, l’attesa delle parole che diventano pelle ed entrano in circolo nel sangue, non più idee ma carne.

L’acqua prima di bollire.
Il sole coperto dalle nuvole e poi il cielo spazzato dal vento.
La ore di luce già finite.
Il senso di attesa e la sensazione che
se saremo fortunati
ci attende
un altro domani
su cui
cammminare

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Anniversario

Quando te lo ricordi all’improvviso e pensi “come ho fatto a dimenticare”.

E poi la giornata che ti sorprende perché non ha nulla di speciale. Il tran tran.

Un caffé nel sole di un inverosimile inverno. La macchina da aggiustare. L’odore di alcol e sapone del pavimento lavato in cucina. Il maglione in disordine. Le facce di quelli a cui vuoi bene.

Un partita a carte e gli urlacci sulle briscole da giocare per ignorare i postumi della cura pesante che circola nel sangue di uno che oggi si è vissuto l’ospedale.

Il vento freddo della sera, il profumo del sugo, le stelle silenziose e presenti.

Nella banalità della normale routine risplende il senso della vera festa, l’esistenza che ci sorprende di stupore: ancora qui, insieme.

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Malinconia da domenica sera

Quella cosa che la domenica sera fa un po’ paura, da piccoli. E poi anche da grandi. Iniziare di nuovo la settimana. Stomaco che si intreccia i compiti in classe, gli impegni che pressano ancora di più di quanto premevano i compiti in classe.

E poi la domenica sera, quello che ci lascia la giornata con il sole sulla pelle, la sveglia senza sveglia, il profumo di torte e chiacchiere davanti a un caffè o il tempo di un bicchiere di vino. Il segnalibro fra le pagine. Tramonti da dietro il vetro, le luci che si accendono intorno alla porta e non importa se non è più Natale.

Domenica sera e la cucina illuminata. Le voci, il fuoco della presenza. I piatti da preparare insieme, il profumo di quello che sta cuocendo nel forno. L’odore della pelle dopo la doccia nella maglietta di cotone fresco di bucato.

Un dente che cade.
Sorpresa fra i più piccoli.
Spavento per l’adulto.
Rassegnazione nel vecchio.
Il dramma della perdita nella banalità del quotidiano

13 gennaio ’20

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Il dolore dell’assenza a volte è un profumo che resiste

Ieri,
mi sono messo la sua giacca, volevo
metterla poi non l’ho messa più.
Aveva il suo profumo.
Mi ha detto.

Non l’ho messa più.
Tre mesi, sono passati.
Ora è l’inizio di un nuovo anno, l’inverno ghiaccia ancora il fiato e i corpi scheletrici degli alberi, ma già le giornate si fanno più lunghe. Impercettibilmente, dal punto più buio che abbiamo toccato settimane fa, si aprono nuovi spiragli di luce, che lascia stupiti come ogni anno, quando apri la porta e un bel giorno ti rendi conto che ancora una volta l’inverno è passato. Ma non ancora.

Lui pela le patate, attenzione concentrata e sguardo pensoso. Cade il sipario su questo sabato sfolgorante di azzurro di metà gennaio, il giardino si allaga di buio.
Lui pela le patate, concentrato e pensoso, la radio canta, io guardo da una finestra la sera illuminata, quella ricciolina aspetta un biscotto, composta.
Che cosa fanno tutti, esattamente ora? Immagino lei, a manciate di km da qui, che prende ogni giornata di corsa e mette la musica alta mentre guida e sorride sempre, o almeno tutte le volte che può; a quest’ora sarà a casa, la pentola che va a fuoco basso e sedersi almeno un attimo sul divano, sfogliare una di quelle riviste lasciate in attesa.
E poi loro, a finire l’ultima briscola dietro la vetrina appannata del bar, le voci che si alzano ma per gioco.
E poi lei, che ha ottant’anni suonati; oggi è passata a trovarla della gente e le hanno portato una torta; ora, da sola nel salotto buio si fuma la sigaretta di nascosto dal figlio e si addormenta col sorriso sulle labbra sprofondando ancora un po’ nella poltrona mentre la tv lampeggia.

Le sette di sera e ognuno nella sua storia,
a pochi passi o dall’altra parte del mondo. Quelli che conosciamo, oppure il centro di una città di cui sappiamo solo il nome: che cosa stiamo facendo tutti, proprio adesso?
Immaginare ognuno di noi, esseri umani alle prese con il tempo, ognuno con il suo tempo.

Fari sulla strada di casa.
Le patate ora sono pronte per il purè
Ti giri ed è già passata la vita, mi dice.

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