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Dicembre 1888

Chissà che tempo faceva quel giorno,
io vedo una pipa
su una sedia impagliata.
L’aria è azzurra, fa pensare a quelle giornate di dicembre con il cielo blu
così terso,
trasparente.

La pipa è di un ragazzo,
ha la barba rossa
viaggia
con in tasca pochi soldi e molti sogni.
Anzi, forse uno solo. Esprimere il cuore,
lanciarlo via, libero.
E l’amore, incontrare l’amore.
Ecco, vedi: sono già due.
O forse sì, solo uno

Amore, passione, espressione
colore
sogno. La capacità di tenere in mano e inseguire
i propri sogni, quello che ci fa battere il cuore

Quel ragazzo si chiama Vincent,
è arrivato da lontano, dal nord
in una piccola città del sud affacciata sull’acqua,
sarà per questo che l’aria sembra sempre azzurra qui,
anche quando inverno e pizzica un po’ il naso

a Arles,
nel sud della Francia
c’è una casa
dentro questa casa
c’è una stanza
è qui che ha vissuto quel ragazzo
di nome Vincent
con tutti i sogni,
che portava fuori ogni giorno per liberarli
fra il vento e l’acqua del canale, dove
le lavandaie sciacquavano i panni per ore
con le dita arrossate e
d’estate il giallo negli occhi
campi di grano e girasoli

corvi neri come presagi di brutti pensieri
nel blu del cielo della mente.
Fra le dita teneva tutti i colori,
li cullava nella testa e poi dentro al cuore,
di notte,quando nessuno sentiva.

Credeva si essere solo quel ragazzo
arrivato da lontano
un signor nessuno,
invece
i suoi sogni sono arrivati fino a qui




Piano piano… Osservare la natura per vivere senza fretta

Tu immagina una giornata di nuvole e la pioggia forte in giardino, il lento viaggiare delle chiocciole e il volo della libellula che nasce e vive sull’acqua. Senti sulla pelle il sole che ti asciuga le ali, la terra che ti avvolge quando strisci nel buio. Allenati alla metamorfosi del tarassaco e della farfalla, che vibrano nel cambiamento ascoltando le stagioni.

Ogni stagione della nostra esistenza ce l’abbiamo scritta dentro

C’è un cielo immenso là sopra e noi crediamo di essere grandi invece siamo piccolissimi, minuscole creature di terra, acqua e aria che a volte con la terra, l’acqua e l’aria si mescolano e allora diventano immense. Diventiamo senza confini quando ci arrendiamo al piccolissimo, disintegriamo le mappe e i Paesi, ne facciamo brandelli.

Diventare esploratori del momento è l’avventura senza fine

Ecco, non si è esploratori: esploratori si diventa. Non si è coraggiosi, coraggiosi si diventa. Noi non ci arrendiamo al già fatto bensì al non detto strappiamo una promessa: la parola, il seme, il sogno. Il futuro di questo attimo da afferrare adesso è il presente che si fa nelle nostre mani. Lo impastiamo. Lo guardiamo. A piedi nudi lo dipingiamo, questo adesso di cui vogliamo trovare scoperta e meraviglia.

Qui stiamo sfogliando questo libro: “Piano piano… Osservare la natura per vivere senza fretta. 50 storie” di Rachel Williams con illustrazioni di Freya Hartas (Giunti editore) cinquanta storie, una per ogni pagina, una per ogni frammento raccolto nel mondo là fuori: una fotografia da dipingere e impressionare, disegnare e raccontare, rimodellare per inventare la vita ascoltando il cuore.




365 giorni in viaggio nel Tempo

365 giorni in viaggio nel Tempo, 365 giorni in giro per il mondo: piccole storie dalla storia dei giorni per crescere umani e scoprirsi sognatori

365 giorni in viaggio nel Tempo

Se c’è una cosa di cui sappiamo proprio poco, siamo d’accordo tutti, è dell’amore. E di come accade la magia che ci porta a esplorare mondi, varcare soglie, esplorare orizzonti, trovare nuovi mondi, scongiurare universi, mescolare forme, non arrenderci all’evidenza, raccontarci ancora. Dietro c’è la passione. La passione dell’amore, l’entusiasmo: lo chiamano ikigai in Giappone, quello che ci mantiene ancora in vita, anche per oggi. Possiamo chiamarlo in mille modi diversi: non cambierebbe la sua essenza; è il sangue nelle arterie, ossigeno vitale, linfa sacra.

Attraverso le storie gettiamo semi e cresciamo umani, un po’ più umani, e attenzione, non in quanto bipedi, c’è un grosso malinteso sull’umanità. L’umano a volte si nasconde bene sotto peli e mantelli e ruvide zampe, ma in fondo ha a che fare con lo stare, il ritmo nel nostro mondo fra le onde della vita, il modo in cui ci guardiamo e guardiamo gli altri.

C’è sempre qualcuno convinto che il periodo più felice dell’ esistenza sia stato quelo in cui eravamo piccoli, molto piccoli. Ma non lo ricordiamo. Ci mettiamo tutta la vita a ritornare lì e ripartire col senno di poi. Non ci siamo mai più mossi da lì, in fondo. Ci mettiamo una vita intera a tornare a essere ciò che siamo sempre stati. È che non lo ricordiamo.

Siamo tutti viaggiatori intergalattici, arrivati qui da chissà dove, su questo pianeta, una biglia azzurra che viaggia nel vuoto e non sta mai ferma, come il nostro cuore, appeso al miracolo di un segreto elettrico che lancia impulsi e si rigenera, a ogni sospiro. E noi con lui.

Ce ne andremo, non sappiamo quando ma sappiamo già che il viaggio qui ha una fine. Non ricordiamo come e quando siamo arrivati, ce lo hanno raccontato altri. Di questo viaggiare, invece, e del suo destino finale ci ricordiamo ogni giorno, se non vogliamo fingere di dimenticare.

Viaggiamo attraverso lo spazio, eppure non siamo altro che viaggiatori del tempo. Andiamo alla scoperta della geografia di ciò che siamo stati e cercando, scavando fra le strade perdute, gli errori e la bellezza, con lo sguardo verso l’orizzonte di domani, è così che ci scopriamo sognatori.

sognatori, una parola bellissima. Abbiamo bisogno di scoprirci sognatori perché il mondo ha bisogno di poesia, bellezza, giustizia, misericordia. La vita ne ha bisogno. Per crescere abbiamo bisogno di immaginazione. E di immaginarci.




Il viaggio del colombaccio

Fra le montagne dell’Appennino intorno a Frassinoro, provincia di Modena, un tempo i cacciatori aspettavano un certo giorno di ottobre, per la precisione il giorno otto, per restare con il naso all’insù e attendere il passaggio del colombaccio. Proprio in questa data, una moltitudine di stormi fendeva l’aria fredda di montagna prima di continuare il suo viaggio. Oggi le date diventano più sfalsate e sfocate, complice anche il clima. Ma ottobre continua a segnare il momento in cui appaiono i colombacci, pronti a inseguire l’orizzonte.

Secondo l’European Journal of Wildlife Research i colombacci che abitano il Nord Europa volano lungo la rotta dell’Atlantico, mentre dalla Russia sud-orientale e Ucraina solcherebbero il Mar Nero. I cieli italiani vedono il passaggio di colombacci che dall’Ungheria e zone dell’Est Europa si dirigono verso l’Africa. Alcuni non partono affatto e sono ormai diventati residenti ufficiali di metropoli come Parigi, Londra o Brussels, dove vivono nei grandi parchi cittadini.

Tu immagina di respirare forte e poi prepararti al grande volo. L’aria si fa sempre più fredda lassù, in cima. Bisogna stare compatti, spendere meno energie possibili e come se non bastassero le correnti d’aria, i rovesci improvvisi o la stanchezza, è necessario fare attenzione ai cacciatori. Batticuore. Batti, cuore.

Stare all’erta, sempre. Il viaggio è lungo e pericoloso

Il colombaccio appartiene alla famiglia dei Columbidi, come la colomba e il piccione, simile ma più piccolo: è grigio, con un collare bianco e il petto cangiante dai riflessi viola e verdi. Sembra che gli uccelli sappiano portare felicemente a termine, ogni anno, la migrazione grazie a un orientamento micidiale, capace di combinare mappa del territorio, correnti e sensi. Uno fra tutti l’olfatto.

Ha una vista acuta – è in grado di avere una visuale a 270° – e un udito particolarmente sensibile ai suoni acuti. La stagione degli amori è in primavera: il colombaccio è monogamo; le uova le covano mamma e papà, alternandosi. Mangia soprattutto semi ed è ghiotto di mais, bacche e qualche volta piccoli vermi. Ama la vita in gruppo e nello stormo ci sono ruoli ben precisi. Viaggia in piccoli gruppi, che a volte si mescolano fra loro.

Dai cieli dell’Europa il colombaccio sorvola le città dall’alto. Attraversa boschi, laghi e case sul Mar Nero e si lascia alle spalle l’Est volando fino in Medio Oriente, in Tunisia, Algeria e Marocco

Nell’antico poema del Gilgamesh, così come nella Bibbia, è la colomba a cercare la fine del diluvio e trovare il segno della speranza per un nuovo futuro. Dopo la battaglia di Verdun, nel 1917, la femmina di piccione Cher Ami divenne un’eroina della Grande Guerra, insignita della Croix de guerre per aver salvato la vita di moltissimi uomini. Si calcola che nei suoi dodici viaggi compiuti da Verdun a Rampont volasse per 30 km in 24 minuti.

I piccioni nell’antica Roma erano il simbolo di Venere, dea dell’amore. Sembra che il piccione abbia un istinto finissimo a ritrovare la sua dimora anche quando molto lontano: oggi sappiamo che possiede un olfatto estremamente percettivo.

Sarà nell’olfatto il segreto della migrazione? Anna Gagliardo, presso l’Università di Pisa, nelle sue ricerche studia questa ipotesi. Un’altra, formulata da Mark Wild, dell’Università di Auckland, riguarda la relazione fra colombi e magnetismo. Durante un esperimento con colombi non ammaestrati gli animali sono stati privati dell’olfatto: solo un sesto di loro è riuscito a tornare e solo dopo ventiquattro ore.

Se il “naso” è così importante, puoi solo immaginare quale incredibile shock debba essere stato ritrovarsi così, catapultati in cielo, con la sensazione di “un pezzo in meno”. Sentirsi persi. Il senso di panico di quando la tua mappa improvvisamente si rompe, spezzata come un foglio di carta strappato e ormai inservibile. Non tutti i dolori sono acuti, alcuni si muovono in silenzio.

Da uno studio condotto nell’Università di Keio, in Giappone, sarebbe emerso che i piccioni, in grado di riconoscere e mantenere in memoria per anni un numero spropositato di immagini (circa 1200), saprebbero distinguere un dipinto di Chagall o Van Gogh per poi individuarne l’appartenenza di altri dello stesso autore guardando lavori mai visti prima.

Tu immagina di volare. Dall’Europa del nord, dai boschi di acero e faggio, alla terra rossa e infinita dell’Africa. C’è il mare in mezzo, oscuro e blu. Le navi. Colline, porti, città, montagne. Tu immagina cosa deve essere la vita, e il mondo, visti da lassù. Quante cose da ricordare, quanti dettagli a cui prestare attenzione, quanti dati da cui lasciarsi sorprendere. Quante immagini che rimarranno nel cuore, sempre. E magari, mentre ti addormenti la sera, chiudi gli occhi e di colpo ritornano tutte queste fotografie stampate nella mente. Viaggiare anche mentre dormi, rivivere. Immaginare.

I piccioni volano sui tetti de Il Cairo, nello Yemen e persino sui campi profughi siriani: vengono allevati e curati per le corse. Nel mondo arabo le gare dei piccioni hanno una tradizione antichissima. Questi uccelli compaiono dipinti sulla roccia delle antiche piramidi: la civiltà egizia li conosceva e li allevava già allora, millenni fa.




Il latte dei sogni: Biennale d’Arte, Venezia 2022

Torna la Biennale d’Arte a Venezia con l’edizione 2022 e il tema “Il latte dei sogni”, dall’opera di Leonora Carrington. La precedente era stata l’edizione della Biennale d’Arte 2019, curata da Ralph Rugoff e intitolata “May you live in interesting time”. In mezzo la pandemia: in precedenza solo le due guerre mondiali avevano spostato l’appuntamento con la biennale.

La Biennale d’Arte di Venezia 2022 è curata da Cecilia Alemani che, dopo la laurea in Lettere e Filosofia all’Università degli Studi di Milano, si trasferisce a New York City, dove si specializza nel master in Studi curatoriali presso il Bard College di Annandale-on-Hudson. A New York, città in cui vive insieme al marito, si occupa della High Line Art in qualità di Jr. Director e Chief Curator. La High Line Art è un progetto di arte pubblica nel parco sulla sezione in disuso della ferrovia sopraelevata West Side Line, parte della New York Central Railroad.

A causa della pandemia l’incontro con gli artisti e le opere d’arte è avvenuto a distanza. Questa è stata una delle difficoltà e delle sfide che abbiamo imparato con il Covid: utilizzare la tecnologia per connetterci e trovare una connessione con gli altri, con ciò che ci interessa, con la scuola e con il lavoro, con le persone e le situazioni. Se usata bene questa trasformazione anche per il futuro sarà l’occasione per sperimentare nuove modalità di incontro, ma anche un’opportunità a livello ambientale perché trovandoci online in alcuni contesti può essere un modo per risparmiare tempo, carburante e al tempo stesso raggiungere luoghi lontanissimi nel mondo.

Il tema “Il latte dei sogni” della Biennale d’Arte di Venezia edizione 2022 è tratto dal libro di Leonora Carrington, una favola grottesca scritta negli anni Cinquanta e pubblicata postuma nel 2013

Il Padiglione della Russia è chiuso. Il curatore Raimundas Malasauskas ha dato le dimissioni il 27 febbraio 2022. L’Ucraina è presente con l’opera The Fountain of Exhaustion, settantotto imbuti da cui gocciola un esile filo d’acqua, realizzata nel 1995 e trasportata da Kiev a Venezia il 24 febbraio, giorno dell’invasione in cui la Russia ha attaccato il Paese, alle cinque del mattino.

La Biennale resta il luogo di incontro fra i popoli attraverso le arti e la cultura e condanna chi impedisce con la violenza il dialogo nel segno della pace”

Raimundas Malasauskas

Il latte dei sogni è un taccuino illustrato da Leonora Carrington che in seguito verrà affidato all’amico Alejandro Jodorowsky: lei, inglese, nel 1942 si trasferisce con da New York a Città del Messico insieme al marito, il diplomatico Renato Leduc, da cui divorzia l’anno successivo. Si sposerà con il fotografo ungherese  Emerico Imri Weisz ed è per i loro due bambini, Gabriel e Pablo, inventerà queste favole grottesche scritte in lingua spagnola. C’è la morale? No, non c’è morale. Non c’è intento nel direzionare se non calamita per l’attenzione, parafulmine di immaginazione e paura: è l’elemento fantastico a essere protagonista, insieme al sogno, che corre su un labile confine tra realtà e al-di-là dell’apparenza.

C’è il mondo che appare e quello nascosto al-di-là. C’è la pazzia, su cui camminare in bilico come funamboli sul vuoto, passo dopo passo, fra il sogno che ci guida e l’incertezza di cadere, a ogni momento

Il primo manifesto surrealista è stato scritto nell’autunno 1924 da André Breton, che da ragazzo vive nel nord della Francia a Pantin, dove si era trasferito con i genitori, un comune nella regione della Francia settentrionale che è chiamata Île-de-France. Da ragazzo ama scrivere in versi. Il mondo dei poeti lo chiama: iscritto alla facoltà di medicina continuerà a farne parte. Insieme a altri due poeti, Aragon e Soupault, fonderà la rivista “Littérature”. Intanto continua a studiare e diventa medico. Negli anni Venti si trova a Parigi: è il momento del sogno Dada, del teatro e dei sgnatori, dei poeti. Il Dadaismo era nato in Svizzera, a Zurigo, tra la fine della prima guerra mondiale e il 1920: è il rifiuto della metrica e degli standard, è il no alla logica e alle convenzioni. Dopo la guerra soffoca tutto ciò che stringe e dà un limite: abbiamo visto il peggio, o almeno quello che credevamo fosse il peggio, e ora c’è voglia di allargare le braccia e danzare, ritrovare il ritmo nel pulsare del sangue, respirare e correre. Trovare nuove forme.

Nel 1924 André Breton scrive il Manifeste du surréalisme, che segna la nascita del surrealismo.

Cara immaginazione, quello che più amo in te è che non perdoni. La sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta. La credo atta ad alimentare, indefinitamente, l’antico fanatismo umano. Risponde senza dubbio alla mia sola aspirazione legittima. Tra le tante disgrazie di cui siamo eredi, bisogna riconoscere che ci è lasciata la MASSIMA LIBERTÀ dello spirito. Sta a noi non farne cattivo uso. Ridurre l’immaginazione in schiavitù, fosse anche a costo di ciò che viene chiamato sommariamente felicità, è sottrarsi a quel tanto di giustzia suprema che possiamo trovare in fondo a noi stessi. La sola immaginazione mi rende conto di ciò che PUÒ ESSERE, e questo basta a togliere un poco il terribile interdetto; basta, anche, perchè io mi abbandoni ad essa senza paura di essere tratto in inganno (come se fosse possibile un inganno maggiore). Dove comincia a diventare nociva e dove si ferma la sicurezza dello spirito? Per lo spirito, la possibiltà di errare non è piuttosto la contingenza del bene?

Viviamo ancora sotto il regno della logica: questo, naturalmente, è il punto cui volevo arrivare. ma ai giorni nostri, i procedimenti logici non si applicano più se non alla soluzione di problemi di interesse secondario. Il razionalismo assoluto che rimane di moda ci permette di considerare soltanto fatti strettamente connessi alla nostra esperienza. I fini logici, invece, ci sfuggono. Inutile aggiungere che l’esperienza stessa si è vista assegnare dei limiti. Gira dentro una gabbia dalla quale è sempre più difficile farla uscire. Anch’essa poggia sull’utile immediato, ed è sorvegliata dal buon senso. In nome della civiltà, sotto pretesto di progresso, si è arrivati a bandire dallo spirito tutto ciò che, a torto o a ragione, può essere tacciato di superstizione, di chimera; a proscrivere qualsiasi modo di ricerca della verità che non sia conforme all’uso. Si direbbe che si debba a un caso fortuito se di recente è stata riportata alla luce una parte del mondo intellettuale, a mio parere di gran lunga la più importante, di cui si ostentava di non tenere più conto. Bisogna rendere grazie alle scoperte di Freud. In forza di queste scoperte, si delinea finalmente una corrente d’opinione grazie alla quale l’esploratore umano potrà spingere più avanti le proprie investigazioni, sentendosi ormai autorizzato a non considerare soltanto le realtà sommarie. L’immaginazione è forse sul punto di riconquistare i propri diritti……….

L’uomo propone e dispone. Sta soltanto in lui appartenersi interamente, cioè mantenere allo stato anarchico la banda di giorno in giorno più temibile dei suoi desideri. La poesia glielo insegna. Essa porta in se il compenso perfetto delle miserie che sopportiamo. Può essere anche un’ordinatrice se soltanto, sotto il colpo di una delusione meno intima, ci lasciamo andare a prenderla sul tragico. Venga un tempo in cui essa decreti la fine del denaro e spezzi da sola il pane del cielo per la terra! Ci saranno ancora delle assemblee sulle pubbliche piazze, e dei MOVIMENTI cui non avete sperato di prendere parte. Addio selezioni assurde, sogni d’abisso, rivalità, lunghe pazienze, fuga delle stagioni, ordine artificiale delle idee, rampa del pericolo, tempo per tutto! Che ci si dia soltanto la pena di PRATICARE la poesia. Non sta a noi, che già ne viviamo, cercare di far prevalere quel che ci sembra di essere riusciti a scoprire fin qui!……….. Soupault ed io designammo col nome di SURREALISMO il nuovo modo di espressione pura che avevamo a nostra disposizione, e che eravamo impazienti di trasmettere ai nostri amici. Credo che oggi non sia più necessario tornare su questa parola……….. Bisognerebbe essere in mala fede per contestare il diritto che abbiamo di usare la parola SURREALISMO nel senso particolararissimo in cui l’intendiamo perchè è chiaro che prima di noi questa parola non aveva avuto fortuna. La definisco dunque una volta per tutte. SURREALISMO, n. m. Automatismo tipico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmete, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale. ENCICL. Filos. Il surrealismo si fonda sull’idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme d’associazione finora trascurate, sull’onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita. Hanno fatto atto di SURREALISMO ASSOLUTO Aragon, Baron, Boiffard, Breton, Carrive, Crevel, Delteil, Desnos, Eluard, Gérard, Limbour, Malkine, Morise, Naville, Noll, Péret, Picon, Soupault e Vicrat.

Il sogno, l’inconscio, il fantastico: l’immaginazione.




Quello che ci mantiene ancora vivi

Non c’è niente altro di così importante se non quello che ci mantiene ancora vivi. Non lo dimenticare cos’è che per te vale la pena

Caro viaggiatore intergalattico

Anche tu sei stato un viaggiatore intergalattico, ma non te lo ricordi. Arrivati senza sapere perché, scaraventati qui un giorno come tanti altri che però diventerà speciale per sempre, solo per te. Siamo su una palla azzurra che gira su se stessa e danzando nello spazio, si muove. Si sposta verso l’infinito e chissà, ancora oltre, che cosa troveremo, là fuori e dentro di noi.

Ti ci è voluto tempo per imparare. Imparare tutto quello che serve per cavarsela su questa terra dove la gravità la fa da padrone. C’è il respirare, prima di tutto, che pare cosa ovvia ma come tutto ciò che ovvio scopri che se manca, o fatica, tutto si incrina perché spesso anche le costruzioni più complesse sono tenute insieme da un dettaglio, una tessera infinitamente piccola e leggera capace, tuttavia, di fare la differenza, come capita a fatti e persone – li riconoscerai perché sono quelli di cui si nota subito la sagoma, il contorno netto e deciso, sullo sfondo indefinibile di tutto il resto – e a proposito, qualcuno ti dirà che sono una rarità, invece accade continuamente. Perché ovunque ci sono piccole spalle abituate a portare il peso di giganti più grandi di loro.

Sappi che ti diranno che ci sono delle regole, in questo mondo. Ti chiameranno per il pranzo e per la cena, dovrai sederti e farlo per bene, scegliere cosa mangiare anche se non avrai fame e tante volte farlo e basta, anche senza scegliere. Dovrai ricordarti quando è ora di dormire e quando fare qualcosa, o almeno fingere di farlo – che pure questo è già qualcosa.

Ecco, amore, tu ricordati che per un certo momento in questo viaggio chiamato vita tu non sei stato altro che istinto. Istinto, nervi e fantasia. Hai dimenticato la fame e sorriso alla tempesta, hai fatto spallucce e saltato cene, appuntamenti, incroci. Hai saltato le regole e distrutto le convinzioni ma non le tue, perché tu non sapevi di averle e questo è uno dei motivi per cui certe volte non dovremmo fare altro che darci tempo per ridere, sbriciolarci addosso e sui divani, restare abbracciati tutti insieme la sera sotto a un’unica coperta, guardarci negli occhi e non fare fare che questo: ricordarci del Tempo e chiamarci “amore”. Siamo stati tutti amore, eppure ce lo siamo dimenticati.

Ritrova quel tempo, il tempo sacro e magico del tuo amore, di quando provi quello che ti fa volare il cuore. Poi ovunque tu sia metti a sedere di fianco a te tutti quelli che ami e se sei in compagnia di te stesso allora accomodati con te, in te stesso. Prima di addormentarti senti quanto potere può esistere in una carezza e poi lasciati andare, non c’è niente che possa essere trattenuto. Non c’è niente che possiamo fare. La vita è più forte di noi, la vita vince. Sempre.

C’è un tempo. Prima di addormentarti guardalo questo tuo tempo, trasformalo in amore. Sappi che avevi ragione, oggi, ieri, domani, quando volevi seguire il cuore e dimenticare tutto tranne il semplice e ovvio fatto di essere lì, insieme, e condividere l’attimo. Non c’è niente altro di così importante se non quello che ci mantiene ancora vivi. Afferralo e non lo dimenticare, cos’è che per te vale la pena

adesso.

La vita è piena di tante cazzate, ti diranno che sono tutte importanti. Ma non è vero affatto. Ci metterai una vita intera a capire quali lo sono per te, eppure proprio questo è il viaggio. Ritornare a tutto ciò che sei già

con amore




Ogni viaggio inizia con un atto di immaginazione

Con il potere dell’immaginazione andiamo per il mondo, in cerca di nuovi cieli, alla scoperta dell’orizzonte e viviamo il viaggio della nostra vita. Accade dall’inizio della storia, accade ogni istante

Maddalena De Bernardi

Ogni viaggio inizia con un atto di immaginazione