Preferirei essere cenere che polvere! Preferirei che la mia fiamma bruciasse in una vampa brillante piuttosto che venire ricoperto dalla muffa. Preferirei essere un magnifico meteorite, con atomi che bruciano e si infiammano, piuttosto che un pianeta immobile e assopito. La natura dell’uomo è vivere, non esistere. Non ho intenzione di sprecare i miei giorni nel tentativo di prolungarli, voglio viverli
Citazione (non documentata nella sua opera) attribuita a Jack London
Jack London viene trovato morto la mattina del 22 novembre 1916, è la sorella Eliza ad aprire la porta della sua camera e chiamare la moglie, Charmian. Si erano salutati per la buona notte la sera prima, quando lui era uscito dalla cucina del loro ranch californiano con dei libri sottobraccio per passare la notte a leggere, come sempre, mentre lei usciva a fare un giro notturno della proprietà. Da lontano, rientrando, Charmian aveva visto la sua luce ancora accesa.
La luce di una stanza solitaria abitata dalle voci dei libri e delle idee.
Scriveva circa mille parole al giorno Jack London, ogni giorno.
La sua morte viene dichiarata nel pomeriggio. Il giorno dopo, il 23 novembre, è allestita la camera ardente. Lo vestiranno con un completo grigio. Il lutto compare sulla prima pagina del New York Times e la notizia viene pubblicata da tutti i giornali del mondo. Lo scrittore Jack London, autore di libri come “Il richiamo delle foresta”, il celebre “Zanna bianca” e “Il vagabondo delle stelle”, muore all’età di quarant’anni per una disfunzione epatica.
Avvelenamento del sangue, forse associato alle iniezioni di morfina che ogni tanto si praticava. A tratti si ventilerà l’ipotesi di suicidio, mai provata. Le ultime parole, dette alla moglie la sera prima di andare a dormire con i libri già sottobraccio, sembra siano state: “Grazie a Dio, non abbiamo paura di niente“.
Attendeva di partire per New York a breve e giusto la sera prima, parlando con Charmian, immaginava un emporio da creare nel ranch, per espandere le attività e ricavarne utili. Quella mattina, il giorno prima di morire, aveva scritto una lettera alla figlia Joan, avuta dal primo matrimonio con la moglie Bessie Madern, per invitarla a pranzo la domenica successiva.
È sepolto lì, nel Beauty Ranch in California che aveva creato spendendo una fortuna e dove abitava insieme alla seconda moglie. Charmian London non sarà presente al funerale. Le ceneri di Jack London verranno deposte il 26 novembre 1916 dagli amici Ernest Matthews e George Sterling. Riposa sulla cima della Valle della Luna a Glen Ellen, di fronte a quello che era stato il suo rifugio dell’anima, il panorama preferito.
Jack London aveva iniziato a vendere giornali all’età di tredici anni, a diciassette si era imbarcato per i Mari del Sud e a diciotto spalava carbone come fuochista su una locomotiva della Western Union. Aveva pescato di frodo aragoste ascoltando i racconti dei pescatori davanti al fuoco nelle notti buie sul mare. Conosceva i segreti dei treni merci, che da ragazzino, quando era conosciuto con il soprannome Frisco-Kid, derubava a capo di una banda di amici, correndo invisibile fra i vagoni. Leggeva leggeva Marx e Spencer, Proudhon e Saint-Simon. Per tutta la vita combatterà contro lo spettro della povertà, per tutta la vita sarà guidato da una forza indomita e senza nome.
Dopo essere stato licenziato come ferroviere a causa di una restrizione dei fondi governativi destinati ai trasporti, scrive una serie di rivendicazioni e diritti a nome dei lavoratori rimasti disoccupati. Il tenore dei reclami con il tempo diventò occasione per una riscrittura dei diritti dell’intera umanità e i compagni, partecipi e divertiti dall’impresa, lo incoraggiarono contribuendo economicamente al suo viaggio per la marcia verso Washington del 1894.
Tre grandi passioni: la letteratura, le donne, il viaggiare che è vagabondaggio dell’anima.
Non a caso, una delle sue opere più celebri è “Il vagabondo delle stelle”. Il titolo in lingua originale è “The Star Rover”. Rover, il Cambridge Dictionary ci racconta che è detto di persona che “spende il suo tempo viaggiando da un posto all’altro“, “a person who spends their time travelling from place to place“.
Il tempo ha un prezzo, sì.
Ognuno di noi sceglie come spendere il suo tempo, è solo che non ci riflettiamo mai. Eppure ciò che vendiamo ogni giorno, al di là delle nostre laureee o abilità, è proprio questo. In fondo è solo questo: il nostro tempo.
Se qualcuno, someone, roves, il verbo ci avverte che questa persona sta compiendo un’azione di esplorazione. Passo il mio tempo qua e là; mi trovo in uno attenzione attiva, vago e guardandomi intorno cerco qualcosa di interessante.
Il verbo rove è considerato sinonimo di wander,”vagare”. Ma il suono di wander (oltre a wonder, meraviglia?!) porta la mente all’universo semantico del verbo walk, camminare. Il vagare che è wander infatti contiene in sé la l’antica radice del germatico wandern, aggirarsi qua e là, muoversi senza scopo.
Di altra natura, invece, suona il vagabondare scelto da Jack London: rover, detto di predatori e bucanieri, termine attestato dal tardo Trecento in lingua olandese. Gergo di mare e di pirati, di vagabondi fra le tempeste della vita, capaci di affrontare la burrasca e, se necessario, far rapina, pensare a come campare e guadagnarsi il bottino. Gente impavida che cerca un tesoro, il grande tesoro, mai sazia.
Nello stomaco la fame nera e negli occhi un destino sempre un passo più in là.
Destino, parola doppia. Meta nel senso destinazione o destino, quello di una vita. Quello di molte vite nel caso di Jack London e di persone come lui.
Alla fine dell’Ottocento la notizia della corsa all’oro del Klondike divampa accendendo l’attenzione su queste remote terre al confine fra Canada e Alaska. Jack London ha 21 anni e insieme al capitano Shepard, marito della sorella, il 12 luglio 1897 si imbarca alla volta di Dawson City. Rapine, risse e, come tanti, lo scorbuto dovuto alla malnutrizione. Jack London parte per il grande Nord il 12 luglio 1897 come cercatore d’oro, tornerà a San Francisco un anno dopo, nel 1898.
Per circa sei mesi vive all’ombra dei boschi sterminati, inseguendo il corso del fiume, un’esistenza solitaria e selvaggia. Il suo tempo ai confini del mondo gli varrà un compenso di quattro dollari e mezzo per il sacchetto di polvere dorata trovata dopo interminabili ore in ginocchio e un manoscritto che diventerà “Il richiamo della foresta”, scritto insieme ai primi racconti nella luce fioca delle candele di sego. Una bottiglia di whiskey di bassa qualità e un taccuino sempre a fianco, nelle notti di luna offuscata dalla tormenta e durante le lunghe camminate, passo dopo passo nelle lande deserte ricoperte di neve. La presenza della foresta soverchiante e totale, dove l’essere umano sparisce. Forse il grande tesoro non l’oro, ma qualcosa di molto più grande, persino oltre l’opera letteraria: l’esperienza.
Jack London cede i diritti del libro per mille dollari, nel giro di un anno “Il richiamo della foresta” vende sei milioni di copie. Strillone, pescatore di frodo e cacciatore di foche, lavorante in una lavanderia, ferroviere, pugile, cercatore d’oro, Jack London era nato a San Francisco il 12 gennaio 1876. Registrato all’anagrafe con il nome John Griffith Chaney London, la madre fu Flora Wellman, figlia di un prolifico e benestante inventore dell’Ohio, il padre (forse) uno sconosciuto ambulante irlandese che di mestiere si ingegnava come astrologo, William Henry Chaney. Ma il suo cognome verrà da John London, agricoltore vedovo con due figli, che la madre sposa quando Jack ha otto mesi e che lo adotterà.
Dopo la scuola elementare, che termina nel 1889, Jack London campa di lavoretti e piccoli espedienti; di tanto in tanto vive per dei periodi in diversi centri di rieducazione. A Oakland, dove torna per frequentare la Oakland High School, partecipa come redattore al giornale scolastico The Aegis. Come desiderava, si iscrive alla Berkeley University, ma dopo tre anni lascia l’università a causa di difficoltà finanziarie.
Anni dopo, la marcia a Washington per rivendicare i problemi dei disoccupati e il suo lungo vagabondaggio attraverso gli Stati Uniti rendono pungente la sua acuta sensibilità sociale; l’osservazione dell’essere umano nel viaggio esistenziale è una ricerca che non avrà mai fine. Il suo diario di viaggio diventa un romanzo itinerante, The Road. La strada è maestra di vita, insieme allo spirito di osservazione e di avventura.
Nel 1904 Jack London è in Corea come corrispondente della guerra russo-giapponese. Arrestato più volte, infine gli viene rilasciato un permesso che gli consente di viaggiare insieme all’esercito imperiale giapponese, diretto verso il luogo della battaglia di Yalu. Tuttavia, il presidente Theodore Roosevelt dovrà impegnarsi personalmente in suo favore per facilitarne il rilascio, dopo che lo scrittore aggredisce i compagni di viaggio giapponesi con l’accusa di aver rubato la biada del suo cavallo. A giugno lascia il fronte e nel 1905 compra mille acri di terreno a Glen Ellen, California: è l’inizio del Beauty Ranch. In realtà, il primo edificio che si tentò di costruire sulla proprietà, Wolf House, venne distrutto da un incendio e oggi i resti di questi muri di pietra fanno parte del Jack London State Historic Park, attualmente monumento storico nazionale protetto, dove la moglie iniziò a raccogliere oggetti e testimonianze dello scrittore dopo la sua improvvisa morte.
Uno dei sogni di Jack London era viaggiare per mare. Con l’idea di fare il giro del mondo nel 1906 si fece costruire uno yacht: si chiamerà Snark, una parola intraducibile, animale immaginario citazione dall’opera di Lewis Carroll. È uno zio della moglie, a quanto si racconta poco competente, a occuparsi della costruzione della goletta, che misura 21,33 m di lunghezza, compreso il bompresso, e 4,57 m di larghezza. La nascita dello Snark è travagliata e viene ritardata di sei mesi a causa del terremoto che si abbatte sulla baia di San Francisco in quel periodo. Dai 15mila dollari previsti all’inizio i costi salgono a 30mila, nel frattempo Jack continua a scrivere perché ora le parole servono a mantenere a galla i suoi sogni. Nel 1907 la creatura fantastica dello Snark parte verso le Hawaii. Le difficoltà non mancheranno, compreso una ferma di cinque mesi in cantiere a causa di guasti subentrati durante questa prima partenza. Ma il viaggio riprende. Jack London insieme a Charmian e un piccolo equipaggio navigheranno alla volta delle isole Marchesi, Samoa, Polinesia, Isole Salomone e Fiji, solcando le onde dell’Oceano Pacifico meridionale, fra misteriosi incontri con gli abitanti della Papua Nuova Guinea e strambi viaggiatori, come Lili’uokalani, l’ultima regina delle Hawaii. The Cruise of the Snark, pubblicato nel 1911, diventerà il libro illustrato delle sue avventure porto dopo porto insieme alla moglie Charmian.
Nel 1915 torna al Beauty Ranch. È qui che morirà in una notte di fine autunno, a poca distanza dal luogo in cui era nato. Oltre allo scorbuto contratto durante i mesi nel Klondike, nei viaggi per mare era stato attaccato da diverse infezioni tropicali e soffriva di insufficienza renale. Era noto il suo problema di alcolismo in stato ormai avanzato. In tempi recenti, attraverso l’analisi di alcune fotografie del volto un team di medici appartenenti alla divisione di Nefrologia e Ipertensione della facoltà di Medicina della University of North Carolina hanno ipotizzato un avvelenamento da mercurio. Le cause della morte di Jack London a tutt’oggi rimangono un mistero.
Come avviene per qualsiasi essere vivente, anch’io sono il risultato di un processo di crescita. Non ho avuto inizio quando sono nato, o addirittura, nel momento in cui sono stato concepito. La mia crescita e il mio sviluppo sono l’esito di un numero incalcolabile di millenni. Tutte le esperienze fatte nel corso di queste e di infinite altre esistenze hanno per gradi dato forma a quell’insieme – possiamo chiamarlo anima o spirito – che è il mio io. Non capite? Io sono tutte queste vite. La materia non ricorda, lo spirito sì. Ed il mio spirito altro non è che la memoria delle mie infinite incarnazioni.
Jack London
Il vagabondo delle stelle, Adelphi Edizioni, Milano 2005, p. 298





Il richiamo del mare lo sentii all’età di dodici anni. A quindici, ero già capitano e proprietario di uno sloop pirata con il quale facevo incetta di ostriche. A sedici, viaggiavo a bordo di scafi; attrezzati come golette, pescavo i salmoni con i pescatori greci del fiume di Sacramento e mi guadagnai persino un posto da marinaio nelle vedette della guardia costiera. Ero un buon marinaio, sebbene non mi fossi mai spinto oltre la baia di San Francisco o i fiumi che vi confluiscono, e non avessi ancora mai navigato in mare aperto. Poi, al compimento del diciassettesimo anno di età, mi imbarcai come marinaio a bordo di un tre alberi che salpava per un viaggio di sette mesi, andata e ritorno, sul Pacifico. Come non mancarono di farmi notare i miei compagni di viaggio, avevo avuto una bella faccia tosta… Non mi ci vollero più di un paio di minuti per imparare i nomi e le funzioni di certe cime che non conoscevo. Era semplice. Non facevo le cose alla cieca.
… Preferisco una barca a vela a una a motore, e sono convinto che la manovra di un veliero sia un’arte più raffinata, più difficile, più energica di quella di una barca a motore… Non si può dire lo stesso per la barca a vela. Ci vuole senz’altro più abilità, più intelligenza e molta più esperienza.
E non c’è scuola migliore al mondo, per il giovane adolescente come per l’uomo maturo. Se il ragazzo è molto giovane, dategli un barchetta stabile. Il resto lo farà da solo. Inutile cercare di insegnargli qualcosa. Nel giro di poco sarà in grado di issare da solo una vela e di timonare. Poi inizierà a parlare di chiglie, di derive, e vorrà portarsi dietro una coperta per poter passare la notte a bordo.
Non temete per lui. Senz’altro andrà incontro a rischi e disavventure. Ma ricordatevi che gli incidenti domestici non sono meno numerosi di quelli che si verificano sull’acqua. Uccidono più ragazzini le case surriscaldate che le barche, piccole o grandi che siano. D’altro canto, la navigazione ha contribuito a trasformare molti giovani in adulti solidi e autonomi più di quanto abbiano fatto il cricket o le lezioni di danza. E poi, se sei marinaio per un giorno, resti marinaio tutta la vita. Il sapore del sale non si dimentica più. Un marinaio non è mai troppo vecchio per non cedere alla tentazione di lanciarsi in una nuova avventura tra il vento e le onde…
Dall’articolo The joy of small boat sailing, “Le gioie della navigazione con una piccola barca, scritto da Jack London e pubblicato nell’agosto del 1912 sulla rivista inglese Yachting Monthly


