Boccata d’aria sul Monte Everest…. in virtuale

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Questa fotografia è stata scattata per Project Possible durante la spedizione verso l’Everest dell’apinista Nirmal Nims Purja, che ha scalato quattordici vette a 8000 metri in sette mesi

Sono due i campi base dell’Everest. Uno è a 5364 metri di altezza, sul versante sud, nepalese, e si trova ai piedi del Ghiacciaio Khumbu. L’altro campo base dell’Everest è sul versante nord, il lato tibetano, dove inizia il ghiacciaio di Rongbuk, 5154 metri d’altezza.

Le vette più alte del mondo

Con i suoi 8848 metri sul livello del mare, il monte Everest è una delle sette vette più alte del mondo. All’origine del nome “Seven Summits”, Sette Vette l’impresa dell’alpinista statunitense Richard Bass, che nel 1985 scala, in ordine, il Denali, in Alaska, Aconcagua, situato nella Cordigliera delle Ande; Elbrus, in Caucaso, uno delle sette meraviglie della Russia; il Monte Kosciuszko in Austrialia, Vinson, Antartide, Kilimangiaro, Africa, e infine l’Everest. Sulle Seven Summits in verità non mancano controversie, legate alla considerazione delle mappe in senso geografico, geografico puro o addirittura politico. Per esempio, il primato per la montagna più alta dell’Oceania spetta al Puncak Jaya, 4.884 m, di frequente noto con il nome Monte Carsztens, tuttavia, si trova su un’isola e per di più in Nuova Guinea, politicamente appartenente all’Indonesia. La questione sarebbe ininfluente dal punto di vista geografico, ma per chi fra gli alpinisti è legato a un criterio geografico puro, è necessario prendere in considerazione solo le vette poste sulla terraferma continentale. In questo caso, sarebbe quindi il Monte Kosciuszko, 2.228 metri, in Australia, la cima più alta dell’Oceania. A proposito, calcolando l’altezze delle vette a partire dal fondale marino circostante, anziché dal livello del mare come avviene secondo la convenzione internazionale, il monte più alto dell’Oceania è il vulcano hawaiano Mauna Kea, 4.205 m, che nasce dalle profondità della Terra con una base a 5.761 m sotto il livello del mare, e si slancia per un totale di 9.966 m. Questo lo renderebbe anche la vetta più alta di tutto il pianeta.

L’Everest è stata considerata la montagna più alta del mondo… fino al 2016. Effettuando le misurazioni dal centro della terra a superare i 8848 metri dell’Everest è il Monte Chimborazo, 6248 metri s.l.m. Questo dipende dalla Terra, che non è completamente sferica. È stata una spedizione voluta dal francese Institut de Recherche pour le Développement a raggiungere la vetta Chimborazo nel febbraio 2016 ed effettuare i nuovi calcoli con gli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia odierna. Eppure l’inaccessibile Everest, sempre più ricoperto da piante e fiori, rimane un luogo geografico e simbolico.

Al confine fra Cina e Nepal sulla catena dell’Himalaya, il suo nome, che nel 1852 è “Cima XV”, nel 1865 diventa “Mount Everest” in onore di Sir George Everest, responsabile dei geografi britannici in India. In tibetano è femmina, la montagna sacra “Chomolungma”, madre dell’universo: “Zhumulangma”, Zhūmùlǎngmǎ Fēng, in lingua cinese. Il popolo nepalese chiama le sue vette “Sagaramāthā”, in Sanscrito “dio del cielo”, nome che verrà adottato ufficialmente dal governo del Nepal negli anni Sessanta, suggerito dallo storico nepalese Baburam Acharya.

Via per la Cresta Sud-Est dell’Everest

L’accesso all’Everest attraverso la Via per il Colle Sud e la Cresta Sud-Est avviene dal Nepal. Questo rappresenta il punto d’accesso più noto nonché il primo, percorso dall’esploratore e alpinista neozelandese Edmund Hillary insieme alla guida Tenzing Norgay, alpinista nepalese-indiano di etnia sherpa. Passati alla storia come i primi scalatori dell’Everest, raggiungono la vetta il 29 maggio 1953.

Qui, ai piedi della cascata di ghiaccio di Khumbu, si estende l’ombra scura del Kala Patthar, “pietra nera” il significato del suo nome in lingua nepalese e hindi. La visione dell’Everest nelle giornate più limpide è una scenografia che rompe il cuore in mille aghi ghiacciati di puro ossigeno.

Un tempo le spedizioni iniziavano proprio in questo luogo. Nell’antico lago ghiacciato di Gorak Shep, 5.164 metri o 16,942 piedi, dove ora si trova un eliporto, si trovava il campo base originale del Monte Everest. Le bandiere di preghiere, colorate e sfilacciate dal vento, danzano nell’aria, in alto sul mondo.
A Kala Patthar i viaggiatori si fermano qualche giorno, per abituare il corpo al mal di montagna. Uno dei percorsi più frequenti è l’arrivo nell’aeroporto di Lukla per poi dirigersi attraverso la valle del fiume Dudh Kosi in direzione della capitale Sherpa e Namche Bazaar, ai piedi dell’Himalaya, sede del Parco nazionale di Sagarmatha, uno dei pochi posti dove è possibile usufruire della rete internet prima di perdere ogni contatto con il mondo lasciato alle spalle e ritrovare la conenssione con lo spirito di un mondo senza tempo.
Alcuni sentieri che portano al campo base sud sono stati resi inagibili dal terremoto che ha colpito il Nepal il 25 aprile 2015.

L’accesso al campo base nord dell’Everest attraverso il versante tibetano è raggiungibile in fuoristrada: cento chilometri sulla Friendship Highway, a Shelkar, che si trasformano in una pista nel cuore della Riserva naturale del Qomolangma, passando per il monastero di Rongbuk e il villaggio di Tingri. Per affrontare questo percorso è necessario richiedere al governo cinese un permesso per visitare il Tibet: solo una parte del campo base è accessibile ai viaggiatori stranieri, che non troveranno mai cartelli con il nome “Everest” ma solo il nome della vetta in tibetano e in lingua cinese, Chomolungma, Zhūmùlǎngmǎ Fēng. Qui c’è l’ufficio postale più alto al mondo.

La montagna sacra

Sulla cima dell’Everest vive Miyo Lang Sangma, una delle Cinque Sorelle di lunga vita, citata da Edwin Bernbaum nel suo libro “Sacred Mountains of the World”. L’immagine dell’antica dea Miyo Lang Sangma, protettrice dell’Everest da millenni è custodita nei monasteri di Rongbuk e Tengboche, dove gli sherpa, le abili guide alpine che da millenni vivono in queste vette, partivano dopo aver ricevuto la benedizione per affrontare il viaggio.

Ancora oggi durante il mese di novembre si celebra la festa Mani Rimdu, quando le pareti di questi templi sacri risuona l’eco delle preghiere dei monaci e fuori, nelle vallate, viene liberato uno yak destinato a vagare fra le montagne. Nel 2018 se n’è andato, dissolto nel vento dell’Himalaya, Lama Geshe Odiyaana Vajra Rinpoche: nessuno sherpa partiva per l’Everest senza aver ricevuto la sua benedizione. Durante l’occupazione cinese degli anni Cinquanta Lama Geshe, nato in questa comunità, lascia il Tibet per fare ritorno al suo villaggio, dove si sposa e ha due figli. Dal suo rifugio nel cuore del mondo, fino alla fine della sua vita, benedirà ogni viaggiatore con il mantra a Miyolangsangma, che i tibetani conoscono con il nome Chomolungma, Goddess Mother of Mountains, dea madre delle montagne, la dea che cavalca una tigre e fra le mani regge una ciotola con una scimmia che sputa gioielli. Era stata una dea potente e da temere, dall’aspetto demoniaco, facile all’ira quando le si mancava di rispetto. Ogni anno Chomolungma chiede delle vite, sarà per questo che lo yak evoca il capro espiatorio liberato nel deserto oltre le mura di Gerusalemme, pegno per la vita, fragile tentativo per ammansire una montagna che sappiamo di bellezza implacabile.

Scalare l’Everest in 3D: trekking virtuale

Ispirandosi all’indomito amore degli alpisti per le vette Google nel 2011 decide di organizzare un viaggio sull’Everest e rendere accessibili le immagini a tutti tramite Google Maps.

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Street View Campo Base Everest

Su Twitter è attivo il progetto #360 per una visione a 360° del monte Everest attraverso lo sguardo di chi ha raggiunto il tetto del mondo

Giorno per giorno, quattro sherpa, le tradizionali guide nepalesi, hanno documentato la scalata dell’Everest e contribuito al progetto #Project360, campagna lanciata nel 2014 da Mammut, brand per equipaggiamenti da alpinismo, per l’uso della GoPro come strumentazione per la documentazione e condivisione di viaggio.

L’alpinista nepalese Nirmal Nims Purja in 6 mesi e 6 giorni ha scalato 14 delle vette più alte al mondo, a oltre 8mila metri, realizzando un nuovo record mondiale nell’ottobre 2019.

L’immagine della spedizione di Nirmal sull’Everest insieme ai suoi compagni di avventura ha fatto il giro del mondo. Il record precedente era detenuto da Jerzy Kukuczka, polacco, che aveva scalato le stesse vette in 11 mesi, nel 2013.

Reinhold Messner ha scalato queste cime fra il 1970 e il 1986, in sedici anni. Quanto dura un viaggio? Forse tutta la vita. Perché una scalata non è solo una scalata per chi vive la montagna come uno stato dell’anima. Nel frattempo si è moltiplica la spazzatura, ogni anno in costante aumento (nel 2013 sono state 4 le tonnellate di immondizia recuperate e portate a valle da una spedizione indiana). Eterni non sono più i ghiacciai, molti dei quali si stanno sciogliendo: diventano più ampie le zone verdi visibili dal satellite, terre ricoperte da muschi, licheni e piante che fioriscono all’improvviso trasformando l’Himalaya con una sorprendente primavera.

Iniziato con la scalata dell’Annapurna, 8091 metri raggiunti il 23 aprile, il viaggio di Nirmal Purja è continuato verso l’Everest, scalato il 22 maggio, e altri giganti dell’Himalaya per concludersi sulla vetta del Shishapangma, 8.027 metri, alle 08.58 locali del 29 ottobre 2019.

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