Cosa può fare un seme
Questa è la storia di un seme, questa è la storia di una dimenticanza e di tutto il tempo che c’è in mezzo.
Perché noi vogliamo tutto e lo vogliamo subito. È il problema mio, tuo, il problema di tutti.
Ma ci sono degli altri che loro no, sanno aspettare.
Sono esseri silenziosi loro, li vedi tutti i giorni. Alti-alti o bassetti, hanno forme diverse. Proprio come noi. Son piuttosto silenziosi, a dire il vero. Ma se ascolti bene la senti, è una voce che viene da lontano, sale dal profondo e si apre al vento, vola insieme alle rondini e ai passeri che si nascondono tra le foglie.
Loro che ci osservano, a un passo di distanza. Aprono le braccia e i loro rami sono nido, riparo, musica dell’aria. Piedi ben piantati a terra, radici di un carattere forte che sa opporsi alle tempeste senza darsi per vinto. Parlo degli alberi.
Anche il più grande e forte, nasce da un piccolo seme.
Ecco, questa è la storia di un piccolo seme che ha viaggiato attraverso il tempo.
Sì, perché c’è un viaggiare nello spazio e uno nel tempo.
Gli alberi sono viaggiatori del tempo.
Intorno a loro crollano i muri, diventano vecchi i bambini e l’amico albero è ancora lì, con la pelle ruvida dove appoggiare il palmo di una mano e ricordare sogni antichi.
Un giorno il piccolo seme dimenticato ebbe voglia di farsi trovare ed è così che fece capolino, tra le rovine del palazzo di Erode il Grande sulla fortezza di Masada, là dove rivoluzionari troppo amanti della libertà si suicidarono per non cadere schiavi, in una guerra lontana.
Tanti e tanti secoli fa, prima che arrivasse la guerra, il regno dove stava questo antico palazzo era un immenso giardino di palme da dattero. All’ombra delle palme ci si distendeva quando il sole forte bruciava la pelle e i pensieri. I datteri, grandi e dolcissimi, venivano essiccati per farne dolci e succhiare la polpa nutriente durante le notti fredde del deserto. Era tremila anni fa.
Le pagine di un libro antichissimo, la Bibbia, uno dei primi libri dell’umanità, raccontano di quelle distese di palme, alte e sinuose nel vento di queste terre abitate da pastori, artigiani e nomadi, esperti conoscitori delle montagne. Ma il primo settembre del 70 d.C., giorno otto del mese di Gorpieo, Gerusalemme bruciava e con lei tutti i boschi: date alle fiamme le case e le antiche piante di palma. Per giorni, settimane intere, il fumo nero trasforma il cielo, ogni cosa diventa carbone e polvere.
Passano i secoli. Nei primi anni del 1960 un gruppo di ricercatori scava tra le antiche fondamenta di quello che fu il palazzo di Erode il Grande. Quello dell’archeologo è il mestiere di chi sa togliere la polvere con l’arte della pazienza e costruire con il saper fare dell’immaginazione. Lentamente, giorno dopo gratta via il tempo che si è accumulato fra i gradini della vita, porta alla luce le sale dove un tempo si ballava e parlava, guardando il cielo dalle finestre ora sgretolate.
Ecco che un bel giorno la pazienza, come accade sempre, viene premiata.
Insieme a scheletri vecchi di secoli, monete e legno carbonizzato nella polvere appare un vaso di terra pieno di semi. Semi millenari di duemila anni fa, che verranno custoditi dalla Bar-Ilan University di Tel Aviv per altri quarant’anni.
Può un seme resistere per duemila anni e oltre, osare germogliare e dare frutto? Il sogno di Sarah Sallon, esperta di piante mediorientali presso il Centro Medico Hadassah, a Gerusalemme, è piantare semi antichi e studiare i benefici di queste piante, scomparse, per la cura delle malattie.
L’incredulità della botanica Elaine Solowey, esperta in agricoltura sostenibile, all’inizio era molta.
Perchè quando ti trovi davanti a un grande sogno all’inizio è sempre così: sembra troppo grande, troppo lontano e impossibile.
Eppure, in questo sta la magia dei grandi sogni. Trovano sempre un modo per accadere.
Insieme, queste due donne hanno deciso di affidare alla terra la risposta.
Con il benestare dell’Antiquities Authority d’Israele, alcuni semi riescono a fuggire dal buio del cassetto in cui erano conservati: saranno piantati nel giorno della festa degli alberi, Tu b’Shvat, in segno di buon auspicio.
Qualche settimana dopo un minuscolo germoglio, il primo.
Un segno della forza della vita attraverso il tempo.
tamar, come era chiamata in lingua ebraica questa palma da dattero, non è estinta.
Le guerre e i cambiamenti del clima l’avevano fatta sparire, lei che invece era stata il simbolo di questo territorio, incisa sulle monete durante la dominazione dell’antica Roma.
Ora Methuselah, come è stata soprannominata, Matusalemme, guarda il mondo così trasformato in sua assenza e io me la immagino sorridere in quel modo che hanno solo gli alberi, infinitamente più saggi di noi, si sa, più pazienti e aperti a questo cambiamento che ci prende da dentro, tutti quanti.
Anzi, me LO immagino. Perchè a dire il vero, il piccolo seme ha dato origine a una pianta maschio. La dottoressa Solowey ha notato una stretta parentela fra Methuselah e una varietà antica di palme egiziane, le Hayany, che esistono ancora oggi. Una palma Hayany è stata impollinata con il polline di Methuselah.
Ora le famiglie hanno stretto il filo di un’unione che ha portato discendenti di una nuova popolazione.
Chissà, dove ci porterà questa storia.
Adesso Methuselah, esemplare di Phoenix dactylifera, vive al Arava Institute for Environmental Studies nel Kibbutz di Ketura, in Israele, dove è stata piantato una volta troppo grande per continuare ad abitare in un vaso.
Mentre tutto si trasforma e ci trasforma, inesorabilmente, questa storia ci insegna che il potere di un piccolo seme può ancora far succedere le cose, la vita. Ci ricorda che tutto può accadere, soprattutto l’imprevedibile.
Ci sconvolge la meraviglia la magia di ciò che appare e tu pensavi perduto per sempre.
Invece no, era solo dimenticato, era solo nascosto.
La forza è anche quella delle piccole azioni che cambiano il mondo, di una ricercatrice e del suo sogno.
Osare, bisogna. Sempre. Togliere dalla polvere, con pazienza.
Immaginare, con coraggio. Combattere e chiedere, per uscire dal buio.
Perchè solo ciò che esce allo scoperto, e fugge da un cassetto, infine germoglia.