“Se voglio divertirmi leggo”, è questa riflessione a inaugurare il Maggio dei libri 2019. Divertimento, una parola da masticare di nuovo, lentamente: che sapore ha nella nostra vita? Il filosofo greco Platone, vissuto intorno al 300 a.C., riguardo all’educazione e all’infanzia spiegava che la prima educazione dovrebbe essere proprio questo, una sorta di divertimento: un atteggiamento capace di mettersi in contatto con l’inclinazione naturale del bambino e trovare connessione, terreno fertile di idee e passioni che sbocciano da sé, apertura verso il mondo, naturale miccia di curiosità.
Io penso che il divertimento sia una cosa seria
Italo Calvino
Oggi le ricerche di discipline diverse trovano un punto di incontro nella direzione tracciata su questa strada antica. Sì, perché se abbiamo la possibilità di esplorare in libertà e lasciarci andare alla meraviglia, impariamo senza sforzo. Mentre ci divertiamo liberiamo noi stessi dal fastidio del dover fare e dalla pesantezza del dover essere: siamo quello che siamo, pienamente immersi nell’attimo del qui e ora, così com’è. Semplicemente.
Dalla naturale curiosità dell’essere umano, in forma di bambino, si dipana il filo di una conoscenza che ci porta lontano e tesse il nostro essere nel mondo. Diventiamo adulti e al tempo stesso restiamo piccoli, perché è la passione insaziabile di chi non si accontenta, è la fame della domanda inquieta e curiosa che si agita in noi, ciò che ci salva e fa uscire dagli edifici che ci costruiamo intorno, anno dopo anno, andando avanti nella vita. Edifici fatti di simboli e idee, di questo si tratta. L’esperienza che facciamo del mondo, vissuta sulla pelle, è la parete su cui arrampicarsi e guardare fuori; la dipingiamo con sfumature diverse e parole che ognuno sceglie in base al proprio vissuto. È ciò che ci permette di crescere e diventare ciò che siamo, eppure con gli anni questo si trasforma, sempre più solido e altrettanto rigido, nel muro delle nostre convinzioni.
Le finestre cognitive sono tutto ciò che possiamo accettare di far passare nella nostra mente, o che respingiamo per la nostra incapacità di guardare ciò che appare impossibile.
Attenzione, non impossibile in generale, bensì per noi. L’impossibile è il non-possibile in base alla nostra esperienza, ciò che irrimedialmente cozza contro le nostre convinzioni sul mondo e sulla vita. Ecco perché la saggezza di ogni popolo da secoli ci ricorda che il senso che diamo all’esistenza è ciò che dà forma al mondo: al nostro mondo, il nostro personale universo, quello in cui ci muoviamo e affrontiamo ogni giorno per il tempo che ci è dato vivere su questo traballante pianeta terra.
Il mondo narrato è il mondo vissuto, queste due realtà si intrecciano inestricabilmente come il filo di un ordito misterioso che nasce e si sviluppa da piani diversi, fatti di un’unica materia.
Noi siamo le storie che ci raccontiamo. E il modo in cui raccontiamo la nostra storia, nel bene o nel male, ci salva o affoga. Ci lascia uno spiraglio di luce o ruba energia, aggiunge speranza o la nega. Il nostro modo di dare senso alle cose e alla vita crea la realtà che viviamo, ogni giorno.
Anno dopo anno, il rischio è proprio questo. Sopravviviamo a noi stessi, agli eventi e alle piccole o grandi tragedie della vita: sopravvissuti lo siamo già, ognuno alla propria complessa esistenza, in questo esatto momento. Ma più passa il tempo, più il frutto della nostra esperienza diventa un nocciolo duro, essenza poco incline al cambiamento. All’elasticità del bambino si oppone la rigidità dell’adulto: due condizioni, quella del bambino e dell’adulto, che in fondo esulano dallo stato anagrafico per condensarsi in uno stato dell’essere.
La finestra tende a chiudersi, è inevitabile? NO. Forse la lotta più difficile è quella verso se stessi, per lasciarsi liberi dalle convinzioni che pensiamo di aver trovato, dai valori dati come massime inalterabili. L’esperienza che per me può aver funzionato per te magari non vale. Magari non vale neanche per me, in altri tempi e contesti.
Fare l’impossibile è una specie di divertimento
Walt Disney
Il divertimento ci insegna che un altro modo è possibile. Accade quando penso all’impensabile; quando mi lascio andare e mi immergo nell’autenticità, pura e cruda, della scoperta. “Scoprire” è sempre atto di meraviglia perché significa sospensione di giudizio e manifestazione della catarsi, trasformazione: “epìphaneia”, rivelazione, che negli antichi templi greci era fugace apparizione di un dio calato dall’alto, simbolo di un mistero che accade all’improvviso, che fugge dal noto per camminare brancolando nel buio.
Il nuovo prende forma nel buio dell’ignoto.
Da dove viene la parola divertimento? L’etimologia di questa parola, così come il verbo “divertire” e “divertirsi”, rimandano al termine latino divertere, ovvero “deviare, andare in un’altra direzione, volgere altrove”. Mentre mi diverto, io vado via; anzi, è il mio “io”, quello che di solito riconosco come “io” a sparire. Nella mia mente si apre lo spazio per un viaggio nell’altrove. Altrove: un posto speciale, il posto magico in cui io posso fuggire e andare lontano, anche solo per un attimo. (S)fuggire dalle costruzioni e dalle costrizioni, da tutto ciò che mi accerchia e mi assedia, dalla guerra mia e del mondo: qui trovo pace, ho spazio per respirare.
Quando leggo mi diverto
Quando mi diverto… vado altrove
Attraverso il gioco apro la porta che rende possibile l’impossibile. Entro in una stanza dove le pareti hanno un orizzonte infinito e inizio a sognare.
Lo psicologo ungherese Mihaly Csikszentmihalyi lo ha chiamato stato di flow. Si tratta dell’esperienza di flusso: è lo stato di coscienza che possiamo sperimentare quando siamo immersi in un’attività che ci prende completamente. Accade nello sport, come documentato da Csikszentmihalyi, che anni fa inizia questa indagine esaminando le performance di grandi atleti passati alla storia; le sensazioni sono simili alle parole usate dagli artisti che descrivono l’esperienza mentre sono immersi nella creazione di un’opera.
Il flow, flusso, accade mentre stiamo creando, sì; accade mentre nuotiamo, facciamo l’amore, sogniamo o ci lasciamo andare all’immaginazione. Accade mentre leggiamo o viaggiamo con il pensiero, fra i ricordi del passato o immaginando il futuro: secondo le neuroscienze quando immaginiamo di fare qualcosa nel nostro cervello si accendono gli stessi collegamenti neuronali di quando realmente facciamo quell’azione. Incredibile, vero?
Mentre leggo mi diverto. Mentre mi diverto immagino. Mentre immagino faccio un atto rivoluzionario, perché apro lo spazio per qualcosa di nuovo. Devio dalla strada dell’abitudine, scopro un percorso nuovo, scappo dalla rigidità e vado in un’altra direzione.
Mi rivolgo verso l’altrove e quando mi trovo là, in quello spazio dove “io” scompare, allora tutto accade. Mi immergo in un fiume in cui passato, presente e futuro si fondono, scavando nell’ossatura del mio cervello con le onde in piena di una trasformazione che tutto travolge, rigenera e fa risplendere di pura vita.
Ancora non si è capito che soltanto nel divertimento, nella passione e nel ridere si ottiene una vera crescita culturale
Dario Fo
Insieme al tema principale, l’edizione di quest’anno del Maggio dei libri seguirà 4 filoni tematici, con relative bibliografie, che ci portano verso percorsi differenti e ci immergono nella storia:
“Desiderio e genio. A cinquecento anni dalla morte di Leonardo Da Vinci”
“Dove sei giovane Holden? A cento anni dalla nascita di J.D. Salinger”
“Se questo è un uomo. A cento anni dalla nascita di Primo Levi”
“Guarda che luna! A cinquanta anni dall’allunaggio”
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