I bambini sono distratti

Volevo scrivere “maldestri”. Invece ho scritto “distratti” e forse è proprio così: i bambini sono maldestri perché sono distratti. Hanno la testa fra le nuvole, in un mondo tutto loro, perché sono così immersi, a tentare di capire questo mondo, che il senso sfugge ogni momento come un uccelletto che svolazza qui e là.

I bambini sono viaggiatori stranieri che tentano di barcamenarsi ogni istante in questo universo ancora tutto da scoprire e capire. Forse è per questo che sembrano distratti e i loro movimenti goffi, perennemente imprecisi: i sensi si sovrappongono e l’azione diventa maldestra.

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La parola distractus secondo il dizionario viene da distràhere… “separare”! “Tirare qua e là, disgiungere”, aggiunge il dizionario. Si usa anche in chirurgia per parlare dei legamenti, ma soprattutto il termine ci fa pensare alle mille mila deviazioni mentali: lo sviamento della mente che prende la tangente, così all’improvviso… e ci ritroviamo da un’altra parte. Ecco, distrazione è anche “svago”, capacità di spostare la mente dalla preoccupazione verso qualcosa di più divertente e leggero.

Ma quando siamo separati non possiamo essere nel qui e ora, forse è per questo che ci sfugge la realtà; ci cade tutto intorno come pezzi di un mondo in cui restiamo per un attimo indietro, solo per un attimo.

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Stasera ti sei addormentato presto, poi ti sei risvegliato che non era ancora ancora notte e con passo incerto hai deciso di scendere qualche gradino. Latte, biscotti, il fuoco della stufa, qualche chiacchiera. Hai rovesciato il latte. No, non mi sono arrabbiata: ho borbottato sì. Poi siamo risaliti, a leggere parole mentre il sonno tornava piano, è stata una bella giornata? ti ho chiesto come ti chiedo sempre. Sì, mi dici tu e intanto vuoi che io continui a leggere, così immagino la voce che ti culla e i sogni che prendono la forma dei personaggi e dei colori che leggiamo.

I bambini sono maldestri. Ma ci hai fatto caso? Se un adulto rovescia una tazza o rompe un bicchiere tendiamo a consolarlo e dire che non è successo niente di grave; se a rovesciare la tazza o spaccare un contenitore è un bambino sbuffiamo subito, ci arrabbiamo anche. Gli diciamo quasi sempre che non è stato attento. Sarà forse che: non prestare attenzione è da sempre peccato capitale, non solo nella nostra società ma da notti ancestrali. Abbiamo sulle spalle millenni in cui una mancanza di attenzione poteva costare la sopravvivenza, la vita in un soffio.

I bambini lo fanno apposta: sono maldestri. E sono maldestri perché sono distratti. E sono distratti perché non ci mettono impegno. E la mancanza di impegno è la peggio, la peggio di tutte: quello che ci hanno insegnato essere il principio della deriva. Forse è per questo che odiamo le distrazioni. Forse è per questo che mal soppportiamo la maldestrezza. Non possiamo concederla, né concedercela.

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Sarebbe bello farsi una risata, sì. Dei bicchieri nel momento esatto in cui si rompono, delle cose sgangherate dell’esistenza, dei piatti scivolati proprio quando stavi per riporli nel posto giusto ma avevi le mani insaponate – ti sarà capitato al meno una volta. Non ridere in generale, o ridere dopo, ma proprio in quel momento lì: nel momento “fatale”, diresti tu che ti sei lasciato affascinare da questa nuova parola l’altro giorno.

Imparare a ridere delle tazze rovesciate sarà un modo per venire a patti con i conti della vita che non tornano, le infiltrazioni, gli autobus persi e magari scoprire persino che messi tutti insieme i piccoli fallimenti sono l’avventura. Insieme scrivono l’avventurosa storia di questo viaggio sulla Terra, un posto nonostante tutto misterioso a qualsiasi età, disegnato e logorato dalla gravità, incomprensibile e in eterno movimento.

Volevo scrivere un appunto sulla maldestria e mentre lo faccio mi ricordo che se c’è una cosa che possiamo fare è allenare la pazienza. Allenare la pazienza non per sopportare, no. Al contrario. La pazienza, ne basta un chicco, è il fattore dis/trazione che forse ci permetterà di spostare l’attenzione dal bicchiere rovesciato a qualcosa di infinitamente più grande: basta fare un passo indietro e allargare lo sguardo alla scena intera. Siamo noi, siamo qui, siamo insieme.

La dis/avventura è “dis” solo per un accidente, se lo togli resta tutta la magia dell’esserci e vivere il momento. Un momento unico, come lo è ogni istante che viviamo, perché la vita no, non torna mai indietro e quando avremo novant’anni e rideremo fottendocene di tutto, ci ricorderemo soprattutto questo: quei punti sfuggenti che non si infilavano subito nell’ordito della trama. All’improvviso ci sembreranno bellissimi, come lo sono le disavventure ricordate dopo anni: le macchine che si sono fermate chissà dove, le feste andate male, gli autostop e quella volta lì… te la ricordi tu. Te lo ricordi, quante risate.

Non rimandiamole le risate. L’unica cosa che conta.

Io so camminare guardando all’indietro, mi hai detto tu.

Ma la vita no, amore mio. La vita va solo avanti.

È vero, mi dici tu. Il tempo non torna mai indietro. Ogni giorno è nuovo e non si può tornare a ieri