Arrendersi

Mi arrendo. Mi arrendo

al caos, delle stanze e della vita. Mi arrendo

ai giochi che si smontano, alle cose che ci vuole più tempo a costruire che a distruggere. All’esistenza che ci decostruisce e rifà, come i mattoncini colorati da pensare in incastri sempre nuovi, come il pane e la focaccia, che se impasti due volte vengono più buoni ma poi te ne dimentichi

perché ci vuole tempo

ci vuole costanza,

ci vuole allerta. Quella che ti fa stare a occhi aperti, senza perderti un minuto del mondo.

Mi arrendo al non senso.

Perché il senso stiamo tutta la vita a cercarlo. Un filo rosso nel tempo, il segnalibro fra le pieghe del libro, un segno. Poi finisce che ci arrabbiamo e arrabbatiamo. Lo perdiamo, lo cerchiamo: scompare e riappare, a momenti

il senso.

Arrendersi è una parola bellissima. Lo conosci il senso di arrendersi? In latino, la nostra antica lingua, ad-rendere. Ad indica sempre l’avvicinarsi. Arrendersi, ad-rendere: dare in mano, darsi in mano all’altro. Consegnarsi.

Adesso tu non pensare alla guerra, al nemico che pensa a trafiggerti. In questi tempi di pace apparente a volte la guerra è un’altra, è della mente.

L’altro siamo noi.

Se l’altro siamo noi, lì di fronte sulla sedia del nemico c’è tutto ciò che rifiuti, tutto ciò che combatti. Che questo in fondo è il nemico, uno magari come te che però sta dall’altra parte.

Pensa pensa che meraviglia avere il coraggio di piegardi di fronte a quello che dentro di noi combattiamo. Far cessare, all’improvviso, la guerra. Osare un gesto di pace.

Arrendersi.

Mi arrendo agli abbracci, al tempo senza misura né misura. Alla bellezza. A ciò che fa saltare il cuore, a noi quando dormiamo vicini vicini e non ci importa la fretta. Alla vita che accade, senza senso, sempre in brutta copia, in perenne movimento come la felicità di una foto sfocata

allora sì, li ritrovo il senso. Come un 29 febbraio che accade di nuovo.