L’albero delle parole, libro di Donatella Bisutti

Tante poesie (138) e altrettanti poeti (per l’esattezza, 73) da tutto il mondo: è “L’albero delle parole”, unlibro di Donatella Bisutti. Alcune sono poesie di grandi poeti che tutti conosciamo, ma scelte fra i componimenti meno noti, quelli che a scuola non si studiano. Le scopri con un filo di stupore, perché ci metti un attimo a farle quadrare con il personaggio e ricomporre una nuova immagine del poeta. A questo ci pensa la biografia, una paginetta che introduce le poesie tratteggiando in poche righe il ritratto di una vita, di un carattere. Con leggerezza, quello stile giocoso che noi scambiamo per patrimonio dell’infanzia e invece è per tutti.
Insomma, una raccolta per bambini e non solo. Un libro per leggere poesie in famiglia.

Di ogni poesia, in fondo nella pagina, è segnato autore e raccolta da cui è tratta.
Così, questo libretto che ci sta seguendo in giro per casa e finiamo per aprire a caso e declamare,
in queste sere di inizio autunno,
finirà per appogiarsi sul tavolino del salotto e diventare
piccolo manuale da cui partire per andare a (ri)leggere poet e poesie.

Alcune le ho lette con sorpresa, come la pagina strappata da un diario di Montale in cui il poeta, studiato per altri versi, parla di un uccellino trovato. Altre non mi hanno risuonato, finora, e allora le leggo e lascio lì, risuoneranno ad altri o forse in altre momenti. Altre ancora mi hanno fatto scoprire poeti che non conoscevo e venir voglia di andarli a cercare e trovare nella loro lingua (che si sa, ogni traduzione è in realtà un’avventura impossibile e riesce solo quello che è sufficiente a dare il sapore).
Come questa, di Langston Hughes, che non conoscevo, che è stato poeta, ma anche giornalista e attivista, in quel Missouri fra gli anni Quaranta e Sessanta quando essere nero era una sfida che partiva dalla pelle. Hughes, che era arrivato nella grande New York con un treno in giovane età, inventerà un genere chiamato jazz poetry, e in America è conosciuto come il padre dell’Harlem Renaissance.

Era nato il primo febbraio 1901, quando il secolo era solo all’inizio, e se ne andrà nel 1967, dopo aver visto il mondo rivoluzionarsi. A proposito, sai com’è riuscito a diventare poeta? Lo racconta l’autrice D. Bisutti a pagina 216. Poverissimo e svantaggiato negli studi a causa del colore della pelle, faceva il cameriere (e il mozzo, per anni). Un giorno al ristorante in cui lavorava capitò un poeta importante, Langston Hughes (oltre a riconoscerlo) tra un piatto e l’altro scrisse velocemente una sua poesia e con nonchalance fece scivolare il foglietto con i suoi versi sotto al piatto di portata. Chi avrebbe avuto lo stesso coraggio? Da quel momento la sua vita cambierà per sempre. Sarà uno scrittore in grado di vivere delle sue parole e viaggerà per tutto il mondo.

“Quante volte, crescendo, solo per il fatto di essere negro, aveva dovuto, per non farsi vedere piangere “aprire la bocca e ridere”? Ma la poesia per fortuna non conosce colore di pelle e così Hughes diventò lo stesso un grande poeta anche se per riuscirci dovette superare enormi difficoltà”
Donatella Bisutti

Blues di nostalgia di Langston Hughes

Il ponte della ferrovia
è un canto triste nell’aria.
Il ponte della ferrovia
è un canto triste nell’aria.
Quando passa un treno
vorrei andare chissà dove.

Sono sceso alla stazione.
Avevo il cuore in bocca.
Sono sceso alla stazione.
Avevo il cuore in bocca.
In cerca di un vagone
che mi portasse al Sud.

La nostalgia, Signore,
è una cosa orribile.
La nostalgia,
è una cosa orribile.
Per frenare il pianto,
apro la bocca e rido.

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