Adotta un nonno… al telefono

Isabella Conti, sindaca del Comune di San Lazzaro di Savena, in provincia di Bologna, ha lanciato un appello chiamando a raccolta tutti gli aspiranti volontari.
Pronto, come stai? Dalla fine di marzo 2020 oltre mille anziani del territorio bolognese vengono raggiunti al telefono e l’obiettivo non è legato solo al bisogno della spesa o le medicine, bensì… un contatto umano.
Perché (anche) le relazioni umane sono un bene di prima necessità.
O quanto meno dovrebbero essere considerate tali.

Il progetto “Pronto, come stai?” nato su iniziativa della sindaca Isabella Conti è una realtà attiva del Comune di San Lazzaro di Savena a Bologna. La risposta dei volontari non è tardata e ha dimostrato grande entusiasmo.

Che tipo di comunicazione stiamo utilizzando?

In un momento in cui molti sindaci hanno scelto, consapevolmente o (con più probabilità) inconsapevolmente una comunicazione basata sull’ansia, c’è chi usa i social e la tecnologia in maniera differente. Perché di strumenti ne abbiamo molti, dal telefono ai social, o le dirette video: l’empatia passa anche attraverso uno schermo. Passa attraverso le parole che decidiamo di dire, le azioni che usiamo per costruire il nostro quotidiano, i colori con cui riempiamo la giornata. Siamo noi il filtro.

Nessuno dovrebbe sentirsi solo, nessuno dovrebbe sentirsi abbandonato.
Nel piccolo comune di Silea, in provincia di Treviso, la sindaca Rossella Cendron ha deciso di utilizzare un megafono per speciali auguri di buon compleanno porta a porta.

Mi ero resa conto che i miei richiami nelle vie e nelle piazze erano ansiogeni, così ho spulciato all’anagrafe tirando fuori nomi e date di chi festeggiava il compleanno. È un modo leggero di stare vicino alla gente, per portare un po’ di sorriso e penso di esserci riuscita
Rossella Cendro

Prima ha destato stupore, ora quello degli auguri è diventato un momento atteso e così, in questa primavera in quarantena, il compleanno di bambini come Noemi, 8 anni, e Tommaso, 9 anni, ha avuto un’indimenticabile colonna sonora al ritmo delle loro canzoni preferite, su cui la prima cittadina si era documentata.
Gli atti di gentilezza nascono così, sono quelle piccole azioni capaci di cambiare l’umore di una giornata. A cambiare il mondo si arriva un passo per volta, ricordando che i veri guerrieri, in ogni epoca storica, sono quelli che sanno stringere i denti e guardare più in là, come alberi che non si lasciano abbattere ma continuano a fiorire anche nella tempesta.

Attraversare la distanza costruendo ponti

Manciate di chilometri più in là, il Comune di Falconara Marittima sta cercando di costruire un ponte fra due generazioni: giovani e anziani; due estremi che di solito nella vita quotidiana mostrano un legame profondo e indissolubile, nonni e nipoti, uniti da un amore senza spiegazioni e forse anche da una speciale visione data da ciò che comporta stare ai due estremi, in bilico all’inizio dell’esistenza gli uni e sulla fine gli altri.

Hai o conosci qualcuno che ha fra 17 e 25 anni? Puoi aderire al progetto “Pronto nonno” compilando online il documento, il Comune di Falconara Marittima sta cercando volontari.

In Toscana il progetto “Sei forte nonno” del Comune di Forte dei Marmi ha dato il via all’iniziativa di volontariato telefonico dedicata agli anziani organizzando un appuntamento giornaliero al telefono, compresa la voce del sindaco. Un modo per sentirsi più vicini grazie a una voce che arriva sul filo ed entra in ogni casa. Un modo per sapere eventuali necessità e difficoltà, conoscere lo stato quotidiano di chi è più solo… e scambiarsi un saluto.

E siccome abbiamo bisogno di raccontarci storie positive e le belle storie fanno sempre volare nel vento semi destinati a diffondersi e mettere radici, un altro nuovo progetto sta partendo, proprio in questi giorni. Un progetto che, questa volta, coinvolgerà anziani e studenti di scuola. La scuola è l’Istituto Comprensivo Ceretolo di Casalecchio di Reno: siamo partiti da Bologna e torniamo qui, in una provincia emiliana dove da sempre l’importanza del legame sociale è un aspetto coltivato, curato e tenuto in considerazione.

Il valore di una telefonata

Il progetto “Adotta un nonno” dell’Istituto Comprensivo Ceretolo di Casalecchio di Reno, coordinato dalla docente Rita Rossi, si sta attivando grazie alla passione di alcuni entusiasti genitori, che desiderano restare nell’anonimato, al preside e agli insegnanti, i quali stanno facendo rete con il Sindacato Pensionati al fine di portare l’iniziativa di volontariato telefonico all’interno del territorio della provincia bolognese.

Per gli insegnanti si tratta di un’occasione preziosa di apprendimento, attraverso l’intervista e il contatto diretto fra giovani e anziani, entrambi sollecitati a fare domande, raccontare la propria storia di vita. Non dimentichiamo che la parola anziano nasconde una folla molto vasta, che corrisponde a una fascia ampia, frammenti diversi del nostro Paese. Una persona di sessanta o settant’anni, anziani solo per etichetta ma che psicologicamente non consideriamo nemmeno fra gli anziani, rappresenta la prima generazione nata dopo la guerra: la generazione che ha conosciuto l’entusiasmo intrepido della ricostruzione, gli anni d’oro, la forza e chimera economica degli anni Ottanta e che questo può raccontare.

Empatia, un bene di prima necessità

Ma la vera solitudine oggi è fra gli anziani che superano (e sono sempre di più) gli ottanta e i novant’anni. Secondo i dati Istat 2019 in Italia esiste una media di 173,1 anziani ogni 100 giovani. Dal 2009 al 2019, i centenari d’Italia da 11mila sono diventati oltre 14mila; sono raddoppiate le persone che hanno raggiunto il traguardo dei 105 anni e oltre. Queste le stime prima dell’epoca Coronavirus, ora non sappiamo.
È l’ultima occasione per ascoltare le storie di chi ci può raccontare cosa significa essere vissuto in un altro secolo, aver affrontato la guerra, il lavoro minorile e condizioni di vita che oggi non possiamo nemmeno immaginare con la più sfrontata della fantasia.

Sono loro i veri anziani costretti alla solitudine: i vecchi che durante la quarantena scappano a buttare la spazzatura per guardare il cielo e sentirsi ancora vivi. Perché magari vivono soli, in tanti non hanno figli né parenti e non usano internet. In cucina a essere accesa è solo la scatola della televisione, che non fa domande e non dà risposte. E allora una voce che arriva attraverso il filo del telefono diventa viva e vera, portatrice di emozione e di significato.
Sapere che arriverà quella telefonata, a quell’ora del giorno, diventa un appuntamento, un modo per ingannare il tempo e ridere con la vita, sentirsi meno soli. Ed è questo che vedono i genitori. Non tanto, o almeno non solo, una nuova prospettiva educativa, ma semplicemente una possibilità per tornare a essere umani. Perché in un mondo dove siamo tutti sempre più soli, primi fra tutti gli adolescenti rinchiusi nelle bolle delle loro camerette anche in epoca pre-Coronavirus, accerchiati dalla vita virtuale dei videogiochi e di film lontanissimi dalla realtà, forse il vero atto di coraggio è prendere in mano un telefono e usarlo per quello che è: uno strumento con cui far sentire la propria voce.

La cosa più importante

Torneremo ad abbracciarci e lo faremo in presenza, vivi e veri, ma ricordiamoci che l’emozione dell’autenticità può arrivare ovunque, senza limiti, oltrepassare ogni distanza, valicare gli oceani. Lo hanno fatto prima di noi generazioni vissute in trincea, generazioni che dovevano attendere mesi prima di ricevere una lettera sgualcita, una fotografia in bianco e nero sufficiente a creare un legame con ciò che ci si era lasciati alle spalle.
Accade ancora. In tante parti di mondo, solo che adesso non ci facciamo caso.

Qualche anno fa un quattordicenne in fuga mi raccontava che dopo aver attraversato il deserto africano, la Libia, ed essere riuscito a nascondersi sotto il motore di un camion per passare dalla Grecia all’Italia, si era accorto di aver perso qualcosa di molto importante. La cosa più importante.
Il foglietto dove era scritto il numero di telefono del suo vicino di casa.
L’aveva perso in mare, in uno di quei barconi che vediamo al telegiornale e che in molti si fermano a commentare con speculazioni critiche pseudopolitiche che non dicono nulla sulla situazione emotiva delle persone che li vivono, in fuga. Il barcone si era rovesciato e lui dopo una notte in balia delle onde si era svegliato su una spiaggia, fradicio. Illegibile anche il foglietto dove l’inchiostro del numero scritto in blu si era sciolto fra le onde d’acqua salata.
Non ci sono poste in Afghanistan, non c’è un servizio postale. E l’unico numero di telefono capace di raggiungere i suoi genitori attraverso il contatto con una casa vicina, l’unica ad avere il telefono, l’aveva perso.
Era sopravvissuto, ma non poteva dirlo a nessuno.
In un mondo straniero con una lingua sconosciuta, senza contatti: isolato, come un naufrago su un’isola irraggiungibile. Perché irraggiungibile non è tanto, o solo, una questione di lontananza e vicinanza. Irraggiungibile è tutto ciò che non possiamo raggiungere, anche se a pochi passi da dove ci troviamo.

Non cadiamo nell’errore di non fare nulla per la paura di non fare abbastanza.
La cosa più importante è che a volte bisogna semplicemente accontentarsi di ciò che possiamo fare oggi, ognuno di noi ha strumenti a sufficienza per poter incidere, a modo suo, sul mondo. Anche per oggi. E farlo utilizzando la propria resilienza, il proprio coraggio e il proprio cuore, senza cedere a inutili allarmismi, ma anzi usando le parole come frecce capaci di colpire il bersaglio e generare fiducia.

Che cosa vuol dire “addomesticare?”
“È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…”
“Creare dei legami?”
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.
“Comincio a capire” disse il piccolo principe. “C’è un fiore… credo che mi abbia addomesticato…”
“È possibile”, disse la volpe. “Capita di tutto sulla Terra…”
“Oh! non è sulla Terra”, disse il piccolo principe.
La volpe sembrò perplessa:
“Su un altro pianeta?”
“Si”.

“Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?”
“No”.
“Questo mi interessa. E delle galline?”
“No”.
“Non c’è niente di perfetto”, sospirò la volpe. Ma la volpe ritornò alla sua idea:
“La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
“Per favore… addomesticami”, disse.
“Volentieri”, disse il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose”.
“Non si conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!”
“Che cosa bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…”

Il piccolo principe ritornò l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe.
“Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincero’ ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”.
“Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe.
“Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedi ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedi è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza”.
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.

E quando l’ora della partenza fu vicina:
“Ah!” disse la volpe, “… piangerò”.
“La colpa è tua”, disse il piccolo principe, “io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…”
“È vero”, disse la volpe.
“Ma piangerai!” disse il piccolo principe.
“È certo”, disse la volpe.
“Ma allora che ci guadagni?”
“Ci guadagno”, disse la volpe, “il colore del grano”

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