200 anni di Infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quïete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare

L’infinito, XII dei Canti di Giacomo Leopardi

Era il 1819, anno della prima edizione originale della lirica, composta da quindici endecasillabi sciolti. Sono trascorsi duecento anni da L’infinito, il dodicesimo dei Canti che Giacomo Leopardi, 21enne, comporrà in questi anni giovanili.

Il Monte Tabor porta immediatamente alla mente l’omonima collina della Galilea, in Israele: entrambi immersi in un’atmosfera che ha in comune un’essenza profonda di pace, fatta di alberi antichi e profili dolci di terre immerse nel verde, questi colli portano con sé l’eco senza fine di un silenzio smisurato che diventa contemplazione. A Recanati il Monte Tabor è il Colle dell’Infinito: da qui, l’orizzonte immenso lascia scorgere le cime dei monti Sibillini. All’interno del parco si trova la sede del Centro Mondiale della Poesia e della Cultura.

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Nasce nel 1798 a Recanati, un tempo Stato pontificio e oggi provincia di Macerata, una distesa di terre fertili nelle Marche dove chi viaggia si perde fra piccoli borghi arroccati e rocche che si affacciano all’improvviso sul mare, distese di girasoli nella terra scura e boschi profumati, giganti verdi (sono 123 gli alberi monumentali classificati nelle Marche) lungo le piccole strade di campagna. La casa di Giacomo Leopardi si affaccia sulla piazza dove aveva vissuto l’infanzia, primo di dieci figli, insieme al padre, conte Monaldo, e la rigida madre, marchesa Virginia Mosca di Pesaro.

Durante gli anni di “studio matto e disperatissimo“, come li definisce, la spasmodica sete di sapere attinge ai grandi classici, dalla filosofia agli studi di astronomia. Viaggia attraverso culture e grammatiche differenti, imparando, quasi da solo, nove lingue (latino, sanscrito, greco, francese, inglese, spagnolo, tedesco, ebraico e yiddish). Secondo gli studiosi successivi i problemi di salute saranno forse manifestazione del morbo di Pott, o malattia di Pott, l’ipotesi finora più accreditata: una forma di tubercolosi extrapolmonare, spondilite tubercolare.

“Ma io non aveva appena vent’anni, quando da quella infermità di nervi e di viscere, che privandomi della mia vita, non mi dà speranza della morte, quel mio solo bene mi fu ridotto a meno che a mezzo; poi, due anni prima dei trenta, mi è stato tolto del tutto, e credo oramai per sempre”
Giacomo Leopardi agli amici, 1831

Sofferenza, dolore, desiderio. Sete di infinito. La poesia arriva, travolgente e totale come un’onda; a lei consegnerà la sua vita. Alla famiglia strappa il consenso a partire. Sarà un lungo viaggio attraverso l’Italia del sapere e dei letterati. Prima a Milano, poi a Bologna, dove Giacomo Leopardi vivrà al numero 33 di via Santo Stefano. Poi sarà a Firenze, Pisa e dopo aver rinunciato alla prospettiva di una cattedra in Germania a causa del clima troppo rigido per le sue condizioni di salute, di nuovo il ritorno al “natio borgo selvaggio“, Recanati. Successivamente tornerà, prima a Firenze e poi a Bologna, che rimangono due punti fondamentali nella mappa della sua storia, insieme a Napoli. Nella città partenopea dell’amico Antonio Ranieri, scrittore, la notte la usa per scrivere: si sveglia quando è già giorno fatto, all’inizio del pomeriggio. Nelle piazze inondate di sole e fra i vicoli pieni di luce e mercati, si ferma a bere caffè e si delizia con sorbetti e dolci. All’imbrunire ritorna sulle carte, su cui si addormenta a notte fonda per continuare qualche ora di sonno più tardi, quando è già mattina e Napoli si sveglia.

Addio, Totonno, non veggo più luce“, Antonio Ranieri racconta che furono queste le ultime parole di Giacomo Leopardi, che proprio a Napoli muore, all’improvviso, all’età di 39 anni. Era il 14 giugno 1837, quasi le nove di sera mentre di nuovo la notte scende e il grande poeta se ne va, fra le braccia dell’amico.  Recanati, sebbene avesse programmato di tornare per salutare la famiglia, non lo rivedrà più. Qui, sulla piazzetta, che è la piazza celebrata nel Sabato del Villaggio, si affaccia Palazzo Leopardi, casa natale del poeta. Lo stabile, aperto al pubblico,  assume la forma attuale dopo i restauri eseguiti dall’architetto Carlo Orazio e oggi è abitato dai discendenti. Uno dei luoghi in grado di scalfire il tempo e la memoria è la biblioteca di Giacomo Leopardi, dove sono custoditi oltre 20.000 volumi, antichi volumi raccolti dal padre Monaldo.

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Recanati, casa Leopardi a metà Ottocento

 

 

 

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